Con l’incontro di oggi, è la prima volta che vengono convocati a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, rappresentanti delle comunità islamiche cittadine. La novità rispetto a precedenti incontri è che questa le comunità erano presenti al gran completo. Il tema più scottante resta sempre quello: la creazione della moschea. «Anche se non è la priorità», spiega Paolo Branca, docente di Lingua e Letteratura araba a all’Università Cattolica di Milano. Lo studioso era presente all’incontro, che ha definito «pacato, senza proteste», in qualità di membro del Comitato sull’Islam italiano promosso dal ministro dell’interno Roberto Maroni per studiare e formulare pareri sulle moschee e la situazione della religione islamica.
Professore, la moschea si farà, allora?
Al momento, non è la cosa più urgente. Non solo per il Comune, ma per le stesse comunità islamiche, è più conveniente intervenire sui centri islamici che ci sono già, perché vengano riconosciuti. Le moschee di quartiere, del resto, hanno molto più senso, ed è meglio partire da qui.
E perché?
Perché il mondo islamico è variegato, prima di tutto. La moschea cittadina porta con sé tutta una serie di questioni complesse. Non solo dove, quando, come. Ma anche a chi sarà affidato, ad esempio. L’Islam non è univoco. Sono divisi: sciiti e sunniti, per esempio. Ma anche dalla lingua e dall’origine. Ci sono islamici arabi, ma anche bengalesi, senegalesi. Costruire una moschea cittadina, senza un piano preciso, è complicato.
Si affaccia forse l’idea di non farla?
No, non è così. Si farà, certo. A loro piace l’idea, e anche secondo me è giusto. Anche solo come simbolo. È importante però, che ci sia prima un’azione generale per il riconoscimento delle comunità islamiche, per diversi aspetti.
Ce li dica.
Partirei dalla libertà di culto, ma solo perché siamo in argomento. In Italia ci sono 750 luoghi di culto islamici, ma solo due moschee: a Roma e a Segrate. Quella di Segrate, poi, è funebre. Serve solo per i funerali, mentre per tutto il resto si ritrovano nel capannone accanto. Già questa situazione non è dignitosa né producente. Molti non vanno nelle moschee perché sono topaie. Non ci sono controlli, si alimenta la paura e così via. E questo è uno.
Poi?
Poi si deve ragionare sulle urgenze. Nell’incontro di oggi, molto pacato, i rappresentanti hanno raccontato anche quello che fanno a livello sociale. Ad esempio, offrono assistenza legale, corsi di italiano, aiuti ai carcerati. Hanno anche ottimi rapporti con le altre comunità: ad esempio, in via Padova la parrocchia ha permesso l’utilizzo del campo sportivo per la preghiera del venerdì. Sono prassi di buon vicinato che di solito faticano a raggiungere i media. Da un certo punto di vista, ci sono cose che ostacolano i rapporti con le istituzioni che andrebbero almeno considerati.
A cosa si riferisce?
Per esempio, alla cittadinanza. Sono procedure complicate e molto lunghe. Molti nascono qui, e sentono l’Italia come il loro paese. Quello d’origine dei genitori spesso lo visitano solo d’estate, e non tutti gli anni. Diventare cittadini italiani alla soglia dei trent’anni è troppo, tantissimo tempo. Più che una madrepatria, l’Italia diventa una matrigna. Ma questo è un problema più ampio. Per altri, ad esempio il matrimonio, non viene ancora riconosciuto a livello civile.
Questo rientra nella questione delle intese della religione con lo Stato.
Sì e no. È chiaro che la libertà di culto è tutelata, anche se non c’è un’intesa. Si potrebbe dire che la mancanza di un’unica rappresentanza frena l’Islam, in questo processo di creare delle convenzioni con lo Stato. Ma non è qui il punto. L’Islam non è una chiesa da 14 secoli. Lo dobbiamo costringere noi a diventarlo? Non è logico né conveniente: non serve a nulla omologare quello che è plurale, e non siamo nemmeno di fronte a un’etnia dominante, come può essere quella degli algerini in Francia o dei turchi in Germania.
E quindi?
Meglio agire in modo pragmatico, a livello locale, senza smuovere i massimi sistemi. Sicuramente si arriva a buone conclusioni.
Cosa intende?
Ad esempio, in questo mese di Ramadan sarà importante, per noi del Comitato, andare in giro per i centri della città. Saranno delle visite utili per una mappatura. Cercheremo di metterli un po’ di concorrenza tra di loro, per fare in modo che emergano le pratiche migliori, e che chi le fa diventi nostro interlocutore.