LOCARNO – La chicca della 64esima edizione di quello che è considerato “il più piccolo dei grandi Festival” e il “più grande dei piccoli festival” del cinema – il Festival del film di Locarno – è il Pardo alla carriera che è stato consegnato ieri sera in Piazza Grande a Claudia Cardinale. Una presenza di spicco quella della grande attrice italiana, che segue di pochi giorni l’omaggio tributato al regista newyorchese Abel Ferrara e ad attori di fama internazionale come Gérard Depardieu e Bruno Ganz. Perché quest’anno il direttore artistico Olivier Père ha voluto giocare la carta delle presenze celebri accanto a quella, più consueta, dei film di qualità per attirare l’interesse del pubblico e per creare l’evento.
Gérard Depardieu sul palco del Festival (brunocesare – Flickr)
Bruno Ganz, Pardo alla carriera al Festival di Locarno (najbo – Flickr)
Folla a una proiezione in Piazza Grande (brunocesare – Flickr)
Locarno, tuttavia, continua a non essere, né vuole diventare, un Festival “mondano”. «Il vero punto di forza della nostra manifestazione è dato dalla felice compenetrazione tra le esigenze del grande pubblico che vota i film presentati fuori concorso in Piazza Grande e le opere più sperimentali o autoriali proiettate nel concorso internazionale o nelle altre sezioni del Festival», sottolinea il direttore marketing Mario Timbal.
Grazie a questa formula una manifestazione dotata di un budget di 11,5 milioni di franchi, circa la metà di quello di Venezia, di Cannes e di Berlino, ha saputo conquistarsi il ruolo di quarto grande festival cinematografico d’Europa, a dispetto del proliferare di rassegne analoghe, o dei tentativi più o meno velleitari (vedi il Festival di Roma) di scalzare le realtà più consolidate.
L’altra sera in Piazza Grande, seguito da un pubblico di circa 6mila spettatori, è stato proiettato il lungometraggio di Patricia Mazuy “Sport de filles”, con Bruno Ganz (altro Pardo alla carriera) e la giovane Marina Hands. Una storia che si svolge nell’ambiente dell’equitazione e degli allevatori di cavalli da competizione, in cui si realizza l’incontro tra una giovane cavallerizza di origini contadine e priva di fortuna (Marina Hands) e un maestro dell’arte dell’addestramento (Bruno Ganz)che tenta di sfuggire alla violenza del ricatto della ricca consorte e della ancora più invadente amante americana.
Di tutt’altro tenore, anche se centrato ancora una volta sulla complessità del rapporto di coppia, “Thanator”, Ultimi giorni a Gerusalemme, film presentato in concorso dal giovane regista israeliano-palestinese Tawfik Abu Wael, nato nella piccola città di Umm al-Fahm, in Israele, e diplomatosi alla Cinema School dell’Università di Tel Aviv. «In questo lavoro ho voluto raccontare una storia d’amore complessa e tormentata tra un uomo di mezza età, un medico, e una giovane donna che proviene da un milieu borghese e intellettuale. Il fatto che entrambi siano palestinesi e vivano a Gerusalemme est è puramente accidentale perché la vicenda avrebbe potuto svolgersi ovunque nel mondo. A chi obietta che non ho fatto un film politico rispondo che tutto è politica, lo sono i rapporti umani e di lavoro e anche i legami amorosi», afferma il regista. Più che una visione “anni Settanta” della società, il film trasmette la sensazione di una voglia di normalità spinta all’eccesso, quasi fino al punto di negare l’esistenza di una situazione “speciale” nella vita dei protagonisti.
Le poche scene che mostrano il muro che divide Gerusalemme o la durezza di un controllo al check point sembrano estranee alla vicenda amorosa narrata dal regista. «In realtà l’occupazione della nostra terra che noi viviamo da parte dello Stato ebraico entra dentro di noi e nelle nostre vite e condiziona i nostri sentimenti in modo viscerale, senza lasciare via di scampo», afferma l’attrice Zuhaida Sabbagh. È forse una metafora politica il fatto che i due protagonisti, una volta lasciata Gerusalemme e raggiunta Parigi si lascino senza una parola e proseguano autonomamente le loro vite, separando definitivamente i loro destini inconciliabili?
Un fotogramma del film di Tawfik Abu Wael
Locandina di Tahrir di Stefano Savona, in anteprima a Locarno (brunocesare – Flickr)
Fra le sedie di Piazza Grande (Luigi Casanova – Flickr)