LOCARNO – L’applauso più grande, completo di standing ovation, la Piazza Grande di Locarno lo ha riservato a Mario Pini. Al signor Mario Pini, che da circa 40 anni è il proiezionista che fa girare le pellicole di quella rassegna – raffinata e popolare allo stesso tempo – che è il Festival del Film di Locarno. L’altro omaggio, sentitissimo, è andato al regista ginevrino Claude Goretta (La merlettaia, La provinciale) che alzandosi a fatica dalla sedia a rotelle su cui è costretto da anni ha ritirato il Pardo alla carriera.
Ma ieri sera il pubblico locarnese è stato affettuoso e generoso anche con i tanti giovani – attori e registi – che hanno vinto i Pardi di questa 64esima edizione del Festival.
A cominciare dalla regista svizzero-argentina Milagros Mumenthaler, non ancora 35enne, che ha conquistato il Pardo d’Oro con l’opera prima Abrir puertas y ventanas, un delicato racconto ambientato a Buenos Aires in cui tre ragazze affrontano il lutto per la perdita della loro nonna. La giuria – presieduta dal produttore portoghese Paulo Branco e di cui ha fatto parte il regista italiano Luca Guadagnino – ha poi mostrato di Best Intentions, del rumeno Adrian Staru, cui è andato il premio per la miglior regia. Il Pardo speciale della giuria è stato invece consegnato a Tokio koen di Shinij Aoyama. Si nota anche la presenza italiana. Con i gemelli Gianluca e Massimiliano De Serio, cui viene assegnato il premio Don Quichote per 7 opere di misericordia, mentre il friulano Alessandro Comodin vince l’ambito riconoscimento Cineasti del presente con L’estate di Giacomo. Il pubblico, infine, torna protagonista votando a grande maggioranza il Prix du Public Ubs per Bachir Lazhar di Philippe Falardeau, storia di un immigrato algerino che che si fa passare per maestro elementare a Montreal, opera premiata anche dalla rivista Variety.
«Questa edizione del Locarno Film Festival si chiude con un bilancio molto positivo sia in termini artistici che di pubblico partecipante. Nonostante il maltempo dei primi giorni di agosto abbia condizionato le proiezioni in Piazza Grande, il pubblico è aumentato ancora rispetto allo scorso anno», commenta a caldo il direttore artistico del Festival Olivier Père, che da tre anni è alla guida della rassegna locarnese, dopo aver diretto la Quinzaine des réalisateurs del Festiva di Cannes.
Sembra quasi che a Locarno ci siano due anime, quella del concorso e quella di Piazza Grande…
«Anche quest’anno ho voluto marcare una differenza tra il concorso internazionale e le proiezioni destinata a Piazza Grande. In Piazza devono andare i film che rappresentano le emozioni forti del cinema, le risate, le lacrime, le passioni, che vengono esaltate dallo schermo gigante. Ma non dimentichiamo che la Piazza è anche capace di riconoscere i film autoriali – in questa edizione abbiamo avuto 8 prime mondiali su 16 proiezioni – e il film di Kaurismaki, Le Havre, già passato a Cannes, ha avuto un pubblico di 7-8 mila spettatori. Il concorso internazionale ha invece la funzione di individuare i giovani talenti e di premiare il cinema d’autore. Quest’anno abbiamo avuto tre opere prime che si sono alternate a quelle di registi di fama più consolidata».
Come si colloca Locarno nella competizione fra i Festival, in particolare in rapporto a Venezia e a Cannes?
«La competizione è relativa, anche se bisogna riconoscere che i film di qualità ma di impatto maggiormente commerciale preferiscono la visibilità offerta da altre rassegne. In realtà il nostro lavoro è molto condizionato dalla qualità dei lavori che vengono realizzati di anno in anno. Quest’anno, sia a Cannes, che qui a Locarno, che immagino anche a Venezia, il livello artistico delle opere in concorso è stato particolarmente buono».
Il Festival di Locarno non pecca di eccessivo eurocentrismo?
«Noi diamo sicuramente molto spazio alla cinematografia europea e alle opere di paesi come Romania, Portogallo, Francia, Germania, oltre che italiane, naturalmente. Quest’anno tuttavia anche gli Stati Uniti, con la retrospettiva di Vincente Minnelli o con Super8, il film di apertura del Festival in Piazza Grande, hanno avuto uno spazio rilevante. Senza contare le presenze, anche premiate, del cinema asiatico, giapponese, coreano e indiano».
Quali sono a suo parere gli autori più promettenti del cinema italiano?
«Ci sono giovani registi come Luca Guadagnino, Crialese, Garrone che rappresentano la continuità con la grande tradizione. Altri autori, tra cui Bellocchio, hanno realizzato in questi ultimi anni alcuni dei loro migliori film. E vorrei ricordare il filone documentaristico che con Piazza Tahrir di Stefano Savona dimostra di essere vitale e in crescita. Sembra invece più appannata la grande scuola della commedia all’italiana, che nonostante il successo di pubblico al botteghino appare ripiegata su stessa con opere minori e di sapore localistico, prive della forza dei film di maestri come Risi o Monicelli».