«Io non avrei indetto uno sciopero generale adesso, soprattutto dopo aver firmato un accordo delicato e importante come quello del 28 luglio. Prima di partire così a razzo, avrei prima tentato la strada di una mobilitazione unitaria. E anche con tutto il successo e il seguito che può avere uno sciopero come quello del 6 settembre, quanto peserà il sindacato nel cambiare la manovra? Penso proprio poco…»
L’ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, è in macchina dalle sue parti e guida «da allegro pensionato, dal primo luglio sono ufficialmente in pensione», epperò non rinuncia a combattere l’idea che la sinistra debba appiattirsi sulle mosse anche di un sindacato importante e storicamente strategico come la Cgil.
«Condivido il documento che i tre quarantenni del Pd hanno presentato sull’inopportunità dello sciopero generale, ma comunque non lo firmerò, inutile tornarci sopra quando ormai è stato dichiarato».
Senta Chiamparino, lei deve sapere che c’è un folto drappello di persone, con alla testa chi le parla, che è ancora arrabbiato con lei.
«E perché mai?»
Come perché? Lei ci ha illuso, ci ha fatto credere che sarebbe sceso in campo come candidato premier, che avrebbe tenuto alta la bandiera riformista nel Pd e poi invece si è sfilato. Se le devo anche fare dei nomi significativi dei “traditi”, penso per esempio a Pier Luigi Battista del Corriere della Sera.
«Sì, ricordo il pezzo in cui scrisse che mi avrebbe votato. Guardi, meno male che non mi sono candidato. Due anni fa, al tempo del congresso, facevo ancora il sindaco a tempo pienissimo, se mi fossi diviso tra le due attività, forse oggi non avremmo Fassino in città. Ho visto troppi sindaci fare altri mestieri e mandare tutto a puttane…»
Resta il fatto che lei era considerato una speranza da molti, oltre che una risorsa.
«Parliamoci chiaro e parliamoci con le logiche di un partito come il Partito Democratico. A quel congresso avrei preso il 15%: che facevo, smettevo di fare il sindaco e facevo il capo corrente? No, mi spiace, la politica giusto per prendere il potere e poi dividersi in gruppi non fa per me, non ne ho proprio lo spirito. E poi non mi ci vedevo a pendolare tra Torino e Roma. In tanti anni ho imparato una cosa…»
E quale?
«Che una cosa sono quelli che smanettano solo nei sondaggi, un’altra quelli che poi vanno a votare davvero. Se lei va a vedere i dati di assoluti di quanti sono gli elettori di sinistra nel centro Italia, Emilia, Toscana, ecc, e li mette in relazioni col totale degli iscritti al Pd, capirà la semplice ma decisiva differenza».
E allora parliamo di questo Pd, di come sta messo.
«Mi sembra già un mezzo miracolo che abbia messo insieme una decina di proposte, dà almeno il senso di un partito che ha voglia di andare al governo».
Esaminiamole.
«Quelle più etiche non mi sembrano male. Tornare sui capitali scudati è certamente un’operazione che ha un senso, anche se in tutta onestà non so se sia tecnicamente fattibile. E poi l’altra è inevitabile, quel ritorno a una tassa immobiliare che un tempo era l’Ici e che permetteva a tutti i comuni d’Italia di offrire servizi all’altezza ai cittadini. Infine bisogna andare pesantemente sull’evasione, mettendo in stretta correlazione reddito e patrimonio».
Quest’ultimo punto sembra tanto un gioco da ragazzi, ma poi non ci riesce nessuno. Visco col suo reddito presunto si attirò gli strali del mondo.
«Eh, ma è lì che dobbiamo tornare. Si faccia un piccolo giro in uno qualunque dei porticcioli della Liguria e vedrà con i suoi occhi da dove bisogna cominciare. Ma se uno gira con un panfilo da 14 metri, può dichiarare meno di una certa cifra, come invece accade regolarmente in Italia? Se no, finisce come al solito, che vengono tassati solo gli stipendiati. Il fisco deve legare tre cose: attività, tenore di vita, patrimonio».
Pieno di furbi in giro…
«Pienissimo. Per esempio ci sono quelli che vendono un certo prodotto e che dichiarano il minimo per rientrare negli studi di settore. Troppo comodo».
Molto comodi anche i privilegi della casta, no?
«Ma figuriamoci, comodissimi. Prima di abolire le province che, detto tra noi, è un falso problema, facciamo ‘sto benedetto dimezzamento dei parlamentari. Sono mille? Bene, cominciamo con 500 alla Camera e 250 in un Senato federale, con persone scelte tra i governi locali».
La patrimoniale?
«Può anche andare bene, ma non mi convince una botta e via. Più strutturale, più strutturale, un sistema di tassazione sul patrimonio…»
Chiamparino, che impressione le fanno tutti questi ricconi che invocano equità, che offrono i loro soldi ma nessuno li vuole?
«Guardi, in parte c’è del gran snobismo, sapendo benissimo che non succederà. Dall’altra parte, la parte buona, c’è una presa d’atto che davvero le diseguaglianze sono arrivate a un punto che definire spaventoso non è esagerato».
Torniamo al sindacato. Un Pd veramente riformista dovrà mettere nel conto di perdere parte dei voti di chi è iscritto alla Cgil?
«Non mi sembra il rischio principale. La gente vota il partito che le appare più credibile per far crescere il Paese e per ridurre le ingiustizia. Distinguerei molto tra addetti ai lavori ed elettori, non c’è proprio sovrapposizione. Pensi alla Lombardia, dove uno studio ha rivelato che più del 50% degli iscritti alla Cgil aveva votato Formigoni».
L’altro giorno, una sua vecchia conoscenza ha lanciato una sfida politica: Marchionne ha incoronato Montezemolo, è rimasto sorpreso?
«Se devo dirla tutta, non mi pare che ci sia stata questa grande investitura. Almeno, io gli ho dato il peso di una discussione, non dico da bar ma quasi, tra tifosi del Toro su chi far giocare nella finale di Champions, un’eventualità un po’ lontana nel tempo…»
Zero credito, quindi?
«Non voglio dir questo, ma è veramente troppo presto per parlarne, si devono creare le condizioni, le persone devono fare i loro passi, insomma non è q ui dietro l’angolo…»
Ma lo spazio politico per una nuova formazione c’è?
«Che questa classe di governo sia a fine corsa, questo ormai è evidente, e che a sinistra ci sia un’esigenza riformista, mi pare altrettanto evidente. Per cui lo spazio c’è, ma attenzione: niente uomini della provvidenza e nessuna ricetta miracolistica».
Chiudiamo con le prospettive del Partito Democratico.
«Bersani mi pare abbia tutte le condizioni per poter essere il leader di una coalizione…»
Un momento, Chiamparino, si ricordi ciò che le ho detto in testa. Noi ci sentiamo ancora feriti dal suo ripensamento e adesso vorrebbe condirci con un Bersani d’annata. Eh no!
«Ok, va bene. Diciamo che mi pare inevitabile una discussione importante all’interno del partito, come inevitabile ormai la buona e democratica abitudine alle primarie…»
E qualcuno alzerà il dito per candidarsi contro Bersani?
«Questo non lo so, non è questione di personalismi, se è per quello dita alzate ce ne sono fin troppe. Si tratterà di ragionare su un programma, su una coalizione possibile, sull’idea di Paese. E poi scegliere».
Chiamparino voterà Bersani?
«Io valuterò in base a tutto quello che le dicevo e poi sceglierò».
Ma lei è della partita o ormai si sente un pensionato? Sa, io devo relazionare gli altri traditi sulle sue intenzioni…
«Mettiamola così: in politica non si va mai in pensione».