Lo chiamano “caporalato a squillo”, vittime sono gli immigrati che lavorano nelle aziende di macellazione emiliane. Siamo in provincia di Modena, nel cosiddetto triangolo del maiale tra Vignola, Castelnuovo e Spilamberto. «Qui» spiega Umberto Franciosi della Flai Cgil di Modena «non emergono fatti eclatanti come quelli che sono accaduti a Rosarno, ma la presenza della mafia si manifesta anche attraverso il lavoro nero e il nuovo caporalato». Non è indenne la rossa Emilia dal lavoro nero nel settore agroalimentare e in quello della macellazione delle carni, dove i rinomati prodotti di eccellenza celano sfruttamento e lavoro nero.
Il ciclo lavorativo parte più o meno la sera. Un sms, avvisa i lavoratori migranti della prossima destinazione di lavoro. È così, anziché morire dal freddo alle quattro del mattino nelle piazze dei paesi ad aspettare il caporale, si sta seduti a casa ad aspettare che qualcuno ti faccia lavorare. È il sistema brevettato dalle cooperative di facchinaggio “spurie”(cioè fasulle) che in Emilia vengono utilizzate nella macellazione o nei trasporti, mentre in Lombardia nel settore dell’edilizia ci sono le finte partite iva di imprese individuali di stranieri dell’est.
Le cooperative di “facchinaggio” nella macellazione. Juan ,36 anni boliviano è stato uno dei primi a denunciare, alla procura di Lodi, i meccanismi malati delle cooperative di facchinaggio. «Ho girato diverse cooperative». La situazione era sempre la stessa. Nell’ultima «non mi hanno mai consengato il contratto di assunzione». Ma il quindici di ogni mese un caporale pagava in contanti una busta paga a zero ore. In provincia di Modena, Samir, 29 anni, lavora in una azienda di macellazione ed è socio lavoratore di una cooperativa fasulla. Taglia le cosce di maiale per fare i salumi, ma il suo dovrebbe essere lavoro di facchinaggio.
Si tratta di un nuovo caporalato che si sviluppa attraverso le cooperative cosiddette “spurie” con un abbattimento dei costi di 12 euro l’ora ad operaio. Somministrazione del lavoro, si affrettano a denunciare dagli uffici provinciali del lavoro, che possono svolgere solo le agenzie preposte. Ma sotto l’ombra di cooperative si nascondono vere e proprie “aziende dello sfruttamento”. I soci di una cooperativa, per legge, quantomeno dovrebbero essere a conoscenza dello statuto e delle scelte . In realtà i migranti, spesso costretti a diventare soci delle stesse cooperative, sono veri e propri dipendenti subordinati a un datore di lavoro.
All’agenzia interinale si sostituiscono società che, infrangendo la legge “affittano” i propri lavoratori ad altre aziende. Spesso, come accade in provincia di Modena, sono costretti a svolgere mansioni molto diverse rispetto a quelle previste per le cooperative di facchinaggio. Si tratta di una sorta di esternalizzazione delle attività produttive. Secondo i dati di Union Camere in Italia ci sono 151 mila cooperative che «resistono alla crisi». Sicilia e Lazio sono le regioni italiane a più alta presenza, ma crescono del 2 per cento in Lombardia, per un totale di un milione e 400 mila impiegati in diversi settori.
Il comune di Castelnuovo Rangone, il paese del maiale
«E’ una filiera viziata» spiega ancora Umberto Franciosi. «I migranti sono costretti a fare parte di cooperative delle quali sono soci, anche versando solo un euro. Si tratta di una forma anomala di cooperativa, perché i soci non partecipano alle assemblee sociali e non hanno il contratto specifico, ma sono inquadrati come lavoratori che si occupano di logistica. Tra le due tipologie contrattuali c’è una differenza di circa 2 mila euro l’anno a livello contributivo e, in quanto soci lavoratori, possono scendere sotto la soglia contrattuale in casi di emergenza».
Questo nei fatti significa perdere i propri diritti sindacali. Gli immigrati che operano nelle aziende di macellazione emiliana sono in buona percentuale di origine srilankese, nigeriana e ganese o provenienti dai paesi dell’Est. I nuovi caporali operano per le aziende committenti e coinvolgono stranieri per un prezzo molto più basso di quello previsto dal contratto che, in media, si aggira intorno a 27 euro l’ora e che per il migrante si dimezza a 11 euro. Senza sottovalutare i gravi rischi mortali nel lavoro della macellazione delle carni. Perché per gli operai-migranti non ci sono dispositivi di protezione, né formazione per tagliare le carni. Una busta paga mensile in netto è di 1500 euro, di questi 1000 vanno dati come “trasferta Italia”, ovvero niente contributi né premi, mentre il lavoro effettivo viene quantificato in 500 euro. «Hanno paura a denunciare» conclude il sindacalista «perché certamente temono le ritorsioni». Omissione contributiva al Nord, caporalato al Sud. Il viaggio dei migranti che da Lampedusa approdano nel nostro paese è drammatico.
In Lombardia caporalato in edilizia. Milano si conferma capitale del “caporalato sms” in edilizia. Come i colleghi emiliani, sono meno visibili delle piazze rumorose all’alba. I caporali cercano di passare inosservati e ricorrono sempre più spesso al passaparola oppure al cellulare (via sms) per organizzare le squadre di lavoranti a giornata. In edilizia a Milano e provincia una quota che oscilla tra il 30 e il 40% della manodopera lavora in nero e il 15% del totale dei lavoratori vengono reclutati da caporali.
Dieci euro di paga oraria per prestazioni straordinarie, notturne o festive, comprese tredicesima, ferie e malattie per i lavoratori di origine rumena. Già nel 2008 la Cisl Lombardia denunciava le condizioni di sfruttamento di una società di intermediazione del lavoro che offriva dieci euro per la manodopera proveniente dalla Romania. «La proposta fu inviata a diverse aziende dell’area bresciana, precisando che le imprese possono sostituire il personale in giornata e cessare il suo utilizzo senza alcun preavviso». La Cisl lombarda denunciava il rischio di una nuova forma di caporalato.
Quanto poi finisca nelle tasche di questi lavoratori è tutto da scoprire. Probabilmente, secondo una stima del sindacato, è meno di cinque euro l’ora.