Tagliare i prezzi del 10% e rimettere in moto l’economia locale. Sembra fantascienza. E invece è l’obiettivo dello Scec, uno strumento che permette ad artigiani, commercianti o piccole imprese, di creare una rete di solidarietà e cercare di resistere alla crisi accettando di guadagnare qualcosa di meno.
Lo Scec ha l’aspetto di una banconota, con tagli che vanno da 0,50 a 50. L’acronimo sta per “Sconto che cammina” e a inventarlo è stato un gruppo di economisti, consulenti di impresa e imprenditori che si sono riuniti nell’associazione Arcipelago Scec.
Presente a Napoli come nella provincia di Milano, lo Scec non è una moneta vera e propria, anche se il valore di una sua unità corrisponde a un euro. Si tratta di un buono, distribuito inizialmente alle famiglie, che permette di avere uno sconto dal 10 al 30% nei negozi che decidono di accettarlo. Non bisogna pagare nulla per averlo e, soprattutto, non è convertibile in euro.
Raccontata così, può sembrare una forma di fidelizzazione, come le tessere punti del supermercato. Lo Scec invece non punta solo a ridurre i prezzi: «Si crea anche una rete locale di persone e famiglie che usano questo buono, e di imprese e aziende che naturalmente lo accettano. Con la veste innocua di uno sconto, si crea la possibilità di trattenere sul territorio la ricchezza, ed evitare così il drenaggio finanziario della grande distribuzione, che assorbe il reddito del territorio per non reinvestirlo, se non in minima parte, su questo», spiega Pierluigi Paoletti, uno dei fondatori dell’associazione ed ex consulente creditizio con una laurea in legge e specializzazione in finanza.
Per aderire al progetto basta poco: ci si iscrive gratis (anche se donazioni sono benvenute) tramite il sito (www.scecservice.org) al proprio “arcipelago” regionale di riferimento, ovvero alla rete di piccole comunità locali, dette “isole”. Si ottengono i primi 100 Scec utilizzabili presso gli esercizi o i professionisti che aderiscono al progetto. Quando si acquista qualcosa si paga così una parte in Scec, corrispondente alla percentuale di sconto, invece che in euro. In pratica, se si vuole comprare un vestito che costa 100 euro e lo sconto è del 10%, si pagheranno 90 euro e i restanti dieci in Scec. Una volta finiti se ne possono richiedere altri e sarà l’isola regionale a decidere, assieme all’arcipelago, se emetterne di nuovi.
Cinema, falegnami, alimentari, pizzerie, tappezzieri, commercialisti, caseifici, gioiellieri che ricevono Scec invece di euro, possono spenderli solo nei negozi che aderiscono alla rete locale, cercando di costruire un ciclo virtuoso che rafforzi i legami all’interno della comunità, quasi un social network economico che rilanci anche le produzioni locali di qualità. Come se dopo lo slow food debba venire lo slow cost.
Per descrivere meglio le dimensioni del fenomeno: l’associazione conta già 16.500 soci che hanno la possibilità di spendere i loro buoni in oltre duemila aziende sparse in dodici regioni in Italia. Il valore degli Scec in circolazione, a oggi, corrisponde a circa 3,78 milioni di euro.
Il punto di forza di questi buoni rischia però di essere anche un limite. Per funzionare occorre partire da una massa critica di famiglie e commercianti che crei relazioni: se a Napoli è stato un successo, la realtà stenta a decollare in una città come Milano.
Il gruppo inizia a lavorare a un progetto di monete locali o “complementari” già da prima del 2005. Il punto di partenza sono gli esperimenti di Svizzera, Germania e Inghilterra. In Italia, però, la legge non le consente. Diventa necessario inventare un nuovo strumento. Nascono così diversi progetti che germogliano in realtà piccole e grandi dove riesce a scattare la coesione sociale: il Selese a Verona, il Kro a Crotone, o il Tyrus a Terni, o ancora l’Ecoroma ad Acilia e a Napoli con circa 600 aderenti tra professionisti, artigiani e imprese.
«Ci siamo ingegnati con serietà negli studi che stavamo compiendo per trovare un elemento che non andasse a intaccare le norme fiscali e di emissione monetaria», aggiunge Paoletti. «Quello che abbiamo fatto è stato elaborare un meccanismo conosciutissimo per sfruttarlo a fini sociali anziché commerciali».
Nel 2008 nasce l’associazione che unisce in una rete tutte queste esperienze locali. Che funziona, finché la Guardia di Finanza non decide di capire di cosa si tratti e, soprattutto, perché un’associazione culturale sia impegnata in una attività che somiglia molto all’emissione di moneta. A luglio 2010, l’Agenzia delle Entrate dà finalmente parere positivo sancendo la legittimità legale. Per i commercianti, lo Scec corrisponde a uno “sconto incondizionato” (un esempio a caso, un buono acquisto da due euro per il detersivo piatti) e come tale va contabilizzato. La differenza rispetto ai buoni sconto tradizionali è che può essere riutilizzato.
Timori di falsificazione non ce ne sono: le banconote sono numerate e stampate con meccanismi di sicurezza, esiste il conto online e comunque sono buoni sconto. Per essere usati si deve comunque comprare qualcosa.
Il passo successivo del sistema Scec è quello di cercare di coinvolgere le amministrazioni locali, come a Monteveglio (Bologna) dove stanno lavorando col comune. «Gli enti locali non saranno più in grado di erogare servizi se non aumentandone il costo. Basta pensare alle mense scolastiche: con l’adozione da parte dell’ente locale si aiutano le famiglie che potrebbero pagare una parte della quota in Scec. A loro volta le amministrazioni possono mettere la loro accettazione come requisito nei bandi». Se le amministrazioni lo facessero, precisa Paoletti, potrebbero usarli o con i fornitori oppure per gli aiuti economici alle famiglie in difficoltà.
L’associazione cerca collaborazioni anche con le scuole. A Cutro, in provincia di Crotone, sta cercando di portare avanti il progetto di un emporio, gestito da una cooperativa, che parte dal lavoro di studezione cerca collaborazioni anche con le scuolenti dell’Istituto agrario. Il suo compito sarà vendere prodotti locali, dopo averli lavorati, dividendo i profitti con i coltivatori stessi.
Per scelta e per le caratteristiche intrinseche del progetto, la grande distribuzione resta esclusa dal circuito. L’associazione, spiegano, cerca di non essere troppo restrittiva. «Una volta abbiamo rifiutato un’agenzia scommesse nel salernitano che aveva chiesto di entrare», sorride Paoletti.
L’obiettivo finale resta quello di coinvolgere i cosiddetti indifferenti e soprattutto di cercare di instaurare buone pratiche, rispetto dell’ambiente e valorizzazione del territorio, per riuscire così a trasformare una comunità nel patrimonio di se stessa.