In Libia i ribelli rischiano “un successo catastrofico”

In Libia i ribelli rischiano “un successo catastrofico”

Forse stavolta la fine si avvicina davvero. Forse, però. Perché sono sei mesi esatti che è scoppiata la ribellione contro Gheddafi, e già altre volte si è detto e pensato che la fine del colonnello fosse quasi raggiunta. Stavolta, però, le notizie che circolano sembrano, per il raìs, davvero negative.

L’avanzata dei ribelli procede senza sosta. Tripoli è circondata dai tre lati. Da Sud, la conquista di Garyan ha dato un nuovo impulso alle forze antigovernative, e spianato la strada verso la capitale. Da occidente, sarebbero anche in possesso di Sabratha. A Zawiyah, c’è ancora confusione, ma sembra che i ribelli stiano avendo la meglio, allontanando le forze del regime. Sarebbe una svolta importante: Zawiyah è un punto strategico per i pozzi petroliferi. Il condotto che collegava la città con Tripoli, e alimentava le truppe del raìs, è stato tagliato martedì. Questo ha reso più difficile l’approvvigionamento di energia. In ogni caso, la battaglia non è ancora conclusa. A tenere bloccati i ribelli, per il momento, sono rimasti alcuni cecchini che, da ore, difendendo la postazione, impediscono l’accesso alla raffineria. E anche se l’attacco finale è pronto, e sarà sferrato a breve, sembra che la battaglia non sia ancora finita. Poco lontano, la situazione è diversa: Badr e Tiji, sono state abbandonate dalle armate del regime nelle mani dei ribelli, come riporta la Reuters. I soldati si sarebbero asserragliati a Zuworah e a Sameel. Un ripiego.

Ma ora gli anti-Gheddafiani stringono la morsa e vogliono chiudere il cerchio attorno alla capitale. Mentre Tripoli, in mezzo, diventa un deserto. Secondo l’Ansa, sarebbero in migliaia ad abbandonare la città. Spinti dalla mancanza di acqua, di cibo e di gas (e la crescita quadruplicata dei prezzi) gli abitanti fuggono, superano i checkpoint di Gheddafi e si rifugiano nelle montagne vicine. Oppure cercano di superare il confine, non molto distante, con la Tunisia.

Forse non lo sanno, ma non sono gli unici a fuggire. Secondo alcune voci, anche Gheddafi, sarebbe intenzionato ad abbandonare il campo e lasciare la Libia. Lo rivela una fonte militare al quotidiano libico (ma con sede a Londra) al Sharq al Awsar. Il colonnello avrebbe già preso accordi con le parti, deciso di lasciare i poteri al ministro della giustizi a Muhammad Alqamoda e posto le sue condizioni: «cessate il fuoco immediato e ritiro delle truppe Nato». In cambio, l’addio a Tripoli. «Gheddafi è gravemente malato». Questa è la voce che è circolata (e che avrebbe motivato, o coperto come un pretesto) la presunta fuga del colonnello, in cerca di cure. Anche se non tutti ci credono. «Dal Sudafrica sono arrivati all’aeroporto internazionale di Tripoli due Airbus, di cui uno vuoto», continua la fonte dell’ Al sharq al Awsar. Si sospetta che possa trasportare Gheddafi, i suoi familiari e alcuni membri del regime all’estero, al sicuro. A quanto sembra, in Venezuela. L’inviato del presidente venezuelano Chavez si sarebbe incontrato con i delegati di Gheddafi a Djerba, in Tunisia. E avrebbero raggiunto l’accordo. Ma forse non è solo così.

Se anche Gheddafi (forse) lascia la Libia e la partita, non è detto che la fine della guerra si traduca in una vittoria per le forze anti-regime. Al massimo, sarebbe un «successo catastrofico». O, detta in modo più morbido, «un successo caotico». Lo rivela un ufficiale della Nato al Times. Il motivo? Il vuoto che Gheddafi lascia dietro di sé risucchierebbe ogni tentativo da parte dell’opposizione di formare un governo. Non sarebbero in grado: la morte del generale Abdel Fatah Younis, ucciso il mese scorso da un membro della sua stessa milizia, ha portato al dissolvimento del governo del Consiglio Nazionale di Transizione, e ora la caduta di Tripoli sarebbe «lo scenario peggiore. La commissione esecutiva dei ribelli è scomparsa, e l’intera struttura è fragilissima. Niente l’ha sostituita, lasciando il campo alle divisioni tribali», che sono ancora fortissime. Insomma, sarebbe una sconfitta, mentre già da tempo la guerra per il controllo della Libia si sovrappone a una guerra per il controllo del Consiglio Nazionale di Transizione tra le varie componenti. Per sedare le polemiche, Mustafa Abdel Jalil, presidente del Consiglio, ha promesso che basteranno otto mesi dopo la caduta del regime, e il potere sarà trasferito in un’assemblea eletta.

Ma tra le divisioni dei ribelli, e i dubbi della Nato sulla ricostruzione, suona ancora il dubbio che Gheddafi lasci (se mai) Tripoli proprio ora come scelta strategica. Un modo per rendere ancora più difficile il gioco ai suoi avversari. E, se non è malato come dicono, non si è senz’altro arreso.

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