«In Libia serve un altro uomo forte, o sarà guerra civile»

«In Libia serve un altro uomo forte, o sarà guerra civile»

Al momento, il destino del regime di Gheddafi è chiaro. Più oscuro e complicato appare, invece, quello che accadrà dopo. Tripoli non è ancora del tutto nelle mani degli insorti, ma sembra ormai questione di poche ore. A parte poche sacche di resistenza, «la popolazione ha accolto, anzi aiutato l’ingresso dei ribelli», spiega il professor Karim Mezran, professore di studi mediorientali presso la Johns Hopkins University di Bologna e Direttore del Centro di Studi Americani di Roma. E ora, come sarà definito il futuro della Libia? «Difficile prevederlo: tutto dipenderà da tre fattori».

Vediamo quali. «Il primo punto, è la frammentarietà della coalizione bengasina, molto disomogenea, su tutti i livello. Il Consiglio di Transazione Nazionale, ad esempio, non rappresenta tutta la coalizione». Un punto sottolineato da più parti, in particolare guarando alla variegata composizione etnica e tribale. «Il secondo fattore, sarà di tempo. Quanto ci vorrà per ristabilire l’ordine in Libia». È chiaro che il secondo e il primo sono intrecciati, spiega Mezran. «Sarà importante che emerga una figura carismatica, forte, in grado di mediare e di unificare le parti». Chi potrebbe essere? «Un’ipotesi, ma non peregrina, è Abdessalam Jalloud, ex-numero due di Gheddafi». Un personaggio dalla forte identità che potrebbe rivelarsi prezioso. Del resto, fa notare Mezran «è stato liberato poco tempo fa dagli insorti. C’era senz’altro un accordo. Però un’operazione simile rivela una loro intenzione». Jalloud avrebbe le doti necessarie per prendere in mano la situazione, «è molto potente e potrebbe davvero riunificare il Paese, facendo da mediatore tra le fazioni dei lealisti del vecchio regime e gli insorti».

Altrimenti? La situazione «sarebbe molto grave. Il Consiglio ha una leadership molto debole. Gli interessi particolaristici dei componenti sono forti, e finirebbero per prevalere». Lo scenario potrebbe evolversi, in poco tempo «in una guerra civile». Con un problema ulteriore: «è molto alta la possibilità che, nel disordine, prevalga la componente islamista». Gli estremisti religiosi, specifica il professor Mezran, sono ben presenti nella milizia ribelle. «Sono organizzati, agguerriti e pronti a tutto». Un rischio elevatissimo, spiega. Ed è necessario, allora, «che si imponga presto una personalità carismatica forte che sappia tenere unito il Paese, restituendo pace e ordine».

«Un terzo punto decisivo» continua Karim Mezran, «sarà la presenza dell’Occidente». Se manterrà il controllo del Paese nella fase di transizione, allora sarà possibile per la Libia intraprendere il cammino verso una formazione democratica, spiega. «Ma se mollerà il colpo, e lascerà cadere tutto, allora c’è il collasso. Sarebbe anche una cosa molto lunga». Secondo il professore, «la cosa migliore sarebbe che i Paesi occidentali organizzassero una commissione internazionale per la gestione dei fondi», anche quelli derivati dallo scongelamento dei beni di Gheddafi. «L’utilizzo sarà diretto alla ricostruzione della Libia, e anche al finanziamento del nuovo corso politico». Però «questi ultimi andranno assegnati con attenzione, con un grano di sale». L’affare dei prossimi anni sono gli appalti per la ricostruzione, ricorda Mezran, e con probabilità i Paesi occidentali cercheranno di accaparrarseli.

Uno scenario complicato, ma la felicità festosa della gente di Tripoli è notevole. «Non solo: queste immagini avranno un effetto di grande portata anche al di fuori della Libia». In Siria, in particolare. «L’effetto di emulazione sarà molto forte, per le persone», spiega. E rinforzerà, di conseguenza, le aspettative dei rivoluzionari siriani contro Assad. Che, non per nulla, ha già parlato la scorsa notte, proprio mentre il regime di Gheddafi crollava con l’assalto a Tripoli. È probabile, allora, una connessione degli eventi, scaturiti dalla Libia e che potrebbero raggiungere anche altre coste del mediterraneo. 

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