Ce l’ha fatta l’industria italiana a superare la crisi del 2009? E in che condizioni si trova oggi la manifattura nazionale mentre divampa la terza crisi finanziaria in appena quattro anni, dopo la bolla dei mutui subprime e il trambusto innescato dal crac Lehman Brothers?
I dati cumulativi 2011 su 2030 società italiane, appena pubblicati dall’Ufficio studi di Mediobanca, fotografano lo stato di salute dell’industria e del terziario tricolori, attraverso una rielaborazione delle voci di bilancio a tutto il 2010. È una buona base di partenza per cercare di capire la forza delle fabbriche italiane (quelle incluse nel campione coprono il 43% del fatturato della manifattura) ora che su di esse si addensano le nubi di una tempesta che ha già investito i governi, le banche e le Borse.
Il fatturato mostra un quasi completo recupero dei livelli pre-crisi: a fine 2010 il dato cumulativo del campione, 586 miliardi di euro, è sotto del 6,7% rispetto al 2007 e del 9,4% del 2008, che è stato anno da record per la manifattura. Viene inoltre stimato che già nel primo semestre di quest’anno ci possa essere stato un recupero completo. Le esportazioni sono in aumento (+10,9% sul 2009) ma ancora sotto del 10% rispetto al 2008. Anche l’utile netto è in linea con il 2008, un po’ per merito dei tassi più bassi di cui industria e servizi hanno goduto nel post-Lehman, ma soprattutto grazie agli utili incassati dalle consociate estere.
Quanto alla tassazione, l’aliquota fiscale effettiva – espressa come rapporto percentuale fra imposte effettivamente pagate dalle 2030 imprese appartenenti al campione e il loro utile lordo pre-tasse – la notizia è che dal 2007 a oggi la pressione fiscale è scesa di quattro punti percentuali. Dal 29,6% al 25,6 per cento. Hanno contato le perdite fiscali dell’anno precedente, ma anche l’aumento dei dividendi che non sono soggetti, come le plusvalenze, all’Ires (l’imposta sul reddito delle società). Continua però la penalizzazione delle medie imprese (pressione fiscale effettiva del 34,6%) rispetto rispetto ai gruppi maggiori (22,3%) e alle società quotate (18,8%). Fra le imprese italiane a controllo estero, invece, le imposte sono ammontate al 30,6% del loro utile lordo (erano al 37,6% nel 2007).
Per comprendere come si sono mossi gli industriali per affrontare operativamente la crisi, un buon punto di partenza sono i dati sulla produttività del lavoro, che nel 2010 è risalita senza però riconquistare il terreno perduto. Resta inferiore del 7,7% rispetto al 2007. Il guadagno di produttività però non è stato determinato da investimenti tecnici, rimasti anzi a un livello relativamente basso: in calo del 18% rispetto al 2007, che peggiora al 24% se si considerano solo le imprese private. La strategia adottata è stata dunque la riduzione del personale: nel triennio 2008-2009-2010 le imprese incluse nel campione hanno tagliato 70.207 posti di lavoro (-5,1%), in gran parte nell’industria (52.744 persone), il resto nel terziario.
Solo nel 2010 c’è stata una ripresa degli investimenti: 25,4 miliardi di euro (sempre riferiti al campione in esame), in salita di oltre il 5% sull’esercizio precedente ma in calo del 21% rispetto ai 32 miliardi che le stesse 2030 imprese sostenevano nel 2001. Da un lato la variazione ultima dei volumi investimenti è incoraggiante, dall’altro, se si spinge indietro lo sguardo, si trova una indicazione significativa su come le imprese industriali e terziarie italiane si siano mosse negli ultimi dieci anni.
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