Marchionne decida se cambiare l’Italia o andare in America

Marchionne decida se cambiare l’Italia o andare in America

«Faccio fatica a capire…aspettiamo di leggere la sentenza… mi sembra che il giudice abbia dato un colpo al cerchio e un altro alla botte. Difficile intuire come un contratto legittimo possa essere antisindacale». Così Giuseppe Berta, professore di Storia contemporanea alla Bocconi ed esperto di relazioni industriali, commenta a bocce ferme la decisione del giudice di Torino sulla querelle Fiat-Fiom. Si discuteva della nuova società creata ad hoc dal Lingotto per lo stabilimento di Pomigliano e delle modifiche sostanziali al contratto: 18 turni di lavoro, meno pause, possibilità di aumentare gli straordinari, divieto di sciopero contro le clausole contenute nell’accordo, ma anche formazione obbligatoria e retribuzioni più alte. Secondo Landini e compagni era illegittima, di avviso contrario la squadra di Marchionne.

Per il giudice del lavoro Vincenzo Ciocchetti hanno ragione entrambi, o meglio non ha ragione nessuno. Dice che il comportamneto della Fiat è antisindacale e quindi la Fiom va riammessa, ma al tempo stesso respinge il ricorso dei metalmeccanici della Cgil e quindi salva Fabbrica Italia Pomigliano.
Morale della favola: «Questa scelta spinge la causa automobilistica a rinviare, anzi a sospendere, gli investimenti. Poi bisognerà vedere per quanto tempo». Rischi? «Se la sospensione si protrae si potrebbe arrivare a una cancellazione parziale del progetto Fabbrica Italia», prevede Berta. E la Fiom? «Minaccia di avviare causa individuali dei singoli lavoratori, ma credo si aspettasse di più. Non solo da questa sentenza, ma anche su Melfi, sui tre lavoratori licenziati, dove invece è stata sconfitta. E’ chiaramente in atto uno scontro tra la segreteria del sindacato guidato da Susanna Camusso e Landini. Uno scontro che dopo l’estate dovrà risolversi. Perché nel tempo il conflitto perenne diventerebbe insostenibile per tutte le parti in causa».

Insomma, nessun vincitore e per adesso tutti sconfitti. Anche perché il tempo stringe. Marchionne, del resto, a ogni occasione buona continua a ribadire lo stesso concetto: il sistema Italia non aiuta e se l’empasse non si sblocca il Lingotto è pronto a prendere in considerazione altre opzioni. «Visto il clima politico ed economico – continua il professore – investire da noi in questo momento non è certo allettante… per Pomiglianio, i 700 milioni per la nuova Panda, si fa … lo stabilimento campano sarà operativo ad ottobre…quelli che rischiano di più sono Mirafiori e Grugliasco». Che per adesso restano congelati.
Insomma, ancora una volta la vera sfida per il sistema industriale del Paese si giocherà a Torino. Se si sbloccano Mirafiori e l’ex Bertone allora si innesca un effetto domino, altrimenti…

Torino capitale. Sarà che c’è la Fiat. Sarà che l’auto e il suo indotto han chiamato mano d’opera per decenni. Sarà che, da sempre una delle anime di questa città è quella operaia e rossa. Fatto sta che quasi tutte le grandi svolte nella storia del lavoro del Paese hanno visto Torino protagonista. Quattordici ottobre 1980, la marcia dei 40mila quadri del Lingotto contro i picchetti a oltranza delle frange più estreme. Segna un cambio di tendenza epocale nei rapporti tra parti sociali e aziende. Metà gennaio 2011, con un risicatissimo 54% di preferenze il referendum di Mirafiori sancisce nuove regole per la fabbrica: possibilità di aumentare la turnazione, divieto di scioperare contro le clausole dell’intesa, incremento degli straordinari. Come a dire: per competere nella globalizzazione dobbiamo produrre di più, in cambio vi diamo più salario.

Solo il primo passo. Perché era chiaro che quell’intesa, validata prima a Pomigliano e poi Torino, in poco tempo sarebbe diventata nazionale. E così è stato. L’accordo dello scorso mese su rappresentanza e contrattazione decentrata tra Confindustria-Cgil,Cisl, Uil e Ugl, dice proprio questo. Mette nero su bianco che le intese aziendali o di secondo livello possono derogare quelle nazionali. E quindi che nelle fabbriche si possono stabilire delle regole diverse (ovviamente con il via libera di chi rappresenta i lavoratori) a seconda delle fasi di produzione e delle singole esigenze. Non solo. Dice che una volta sancite, quelle regole vanno rispettate. Insomma: basta scioperi poche ore dopo che le parti hanno faticosamente trovato la quadra.

Reggerà? «A Torino – spiega il segretario piemontese della Uilm, Maurizio Peverati – ci sono tutte le premesse per avere una contrattazione territoriale molto intensa». Perché? «Lì dove il tessuto industriale è storicamente forte – vedi Piemonte, Lombardia e Veneto – si delegherà sempre di più agli accordi di secondo livello. Qui la Fiat e il suo indotto pesano per più del 50%. E la partita vera si giocherà nelle piccole e medie imprese che lavorano direttamente per il Lingotto o per il suo indotto. Penso a carpenterie, utensilerie, allo stampaggio che potranno modulare sempre di più l’offerta alla domanda».
Esempi? «La produzione Fiat accelera e le commesse aumentano. A questo punto io sindacalista avrò spazio per chiedere un incremento del salario a fronte di orari di lavoro più intensi. Nel caso opposto invece farò una trattativa diversa. Mantenimento dell’occupazione, corsi di formazione per il personale che potrebbe essere impiegato in mansioni differenti ecc».

Il pressing di Chiamparino. In poche parole più flessibilità. «Stiamo semplicemente copiando, in ritardo, quanto è stato fatto in Germania», commenta l’ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. «Il nostro tessuto industriale è prevalentemente inserito nel mercato industriale, nell’export dell’auto, nel suo indotto e nella meccanica elettronica. Dare a lavoratori e manager la possibilità di sedersi intorno a un tavolo per contrattare anche in deroga al contratto nazionale porta sicuramente dei vantaggi…». E continua: «La parte più importante dell’accordo Confindustria-sindacati riguarda l’esigibilità. Cioè la certezza che quanto stabilito dal 50% più uno di chi rappresenta i lavoratori sia un vincolo per tutti. Basta guardare ai nostri brand di successo. Penso a Lavazza, Ferrero, Prima Industrie sono tutte aziende che non hanno avuto turbolenze sindacali. E’ il segnale che la strada tracciata è quella giusta».

Insomma, le trattative si spostano sempre più dal nazionale alla fabbrica. Ma i sindacati sono pronti? Ci sono figure preparate a sedersi davanti all’impresa per rivendicare i propri diritti? «Sarà necessaria – sottolinea Berta – una maggiore competenza nella contrattazione in chiave partecipativa. Bisognerà rafforzare i terminali delle rappresentanze sindacali. E Torino, per la sua storia, potrebbe fare da apripista». Ma non è per niente scontato. «Le parti sociali – continua – devono superare l’attuale fase di contrapposizione. Ho l’impressione che il problema sia soprattutto la Fiat. La stessa Fiom non è così intransigente quando non si parla del Lingotto». Come andrà a finire? «Come detto, lo scontro tra la Cgil e suoi metalmeccanici non durerà all’infinito. Alla lunga potrebbe essere la Camusso a prevalere, anche perché certe iniziative di Landini e compagni, si veda la partecipazione alle manifestazioni No-Tav, creano imbarazzi. Oggi la Fiom si muove più come un’organizzazione movimentista che come una parte sociale tesa alla contrattazione collettiva».

Ma sindacati a parte, il vero nodo resta la Fiat. Cosa farà Marchionne? «Le uscite di Marchionne – spiega Chiamparino – sono dettate dalla preoccupazione per le decisioni della magistratura. Credo che nelle sue prese di posizione sia molto influenzato dalla situazione americana, quella che vive quasi quotidianamente che però è molto diversa dalla nostra. Se mi chiede un giudizio le dico che alcune forzature, tipo il tira e molla con Confindustria, sono sbagliate perché trascurano il contesto nel quale vengono fatte».

Ma c’è qualcosa che all’ex primo cittadino più amato d’Italia proprio non torna. «Se un grande gruppo – conclude Chiamparino – dice di voler investire 15-16 miliardi nel Paese, dovrebbe avere a cuore anche i cambiamenti che si verificano nel sistema delle relazioni industriali. E invece dice di voler uscire…». Quindi? «Penso che la Fiat con Fabbrica Italia potrebbe fare quello che negli anni ‘50 fece Adriano Olivetti: aprire la strada a una nuova epoca dei rapporti tra aziende a parti sociali». 

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