Mubarak va a processo, ma il nuovo Egitto ancora non si vede

Mubarak va a processo, ma il nuovo Egitto ancora non si vede

Il contesto in cui inizia oggi al Cairo il processo all’ex presidente Hosni Mubarak, il figlio Gamal e altri esponenti del vecchio regime è estremamente teso e presenta tratti di paradossale drammaticità.

L’anziano raìs è ammalato da tempo e le vicende di Piazza Tahrir e del suo “esilio in patria” non hanno fatto altro che peggiorare le cose. I servizi di sicurezza da anni hanno messo in allarme le cancellerie sullo stato di salute di Mubarak.Operato prima negli Stati Uniti poi in Germania, la rivoluzione lo ha colto nel mezzo di un processo di transizione che avrebbe quasi certamente portato all’investitura del primogenito Gamal, non senza traumi interni con la potente casta dei militari. E invece, detronizzato dalla piazza, Mubarak trascorre i giorni che gli restano in un letto di ospedale a Sharm el-Sheikh. E, con quello stesso letto, verrà trasportato domani davanti al giudice civile per rispondere delle accuse di strage, violenza, omicidio.

Attorno al palazzo di giustizia e incollati al televisore ci saranno i giovani di Piazza Tahrir, i militari della giunta provvisoria al potere, gli esponenti dei movimenti islamisti. I primi sentono fortemente l’emozione della rivalsa contro il carnefice di tanti loro compagni, ma allo stesso tempo sanno che il rimedio potrebbe essere peggiore del male. La giunta militare del Maresciallo Tantawi potrebbe infatti utilizzare il processo al Faraone come uno specchietto per le allodole, un parziale e gattopardesco risarcimento.

In realtà, a quasi cinque mesi dall’inizio delle rivolta egiziana, il paese è sempre più sull’orlo del baratro economico e civile. La piazza è contesa tra gli “indignati” che vedono scippato il senso e lo spirito della rivoluzione, gli islamisti, che considerano il vuoto di potere come un’occasione unica per scalare le istituzioni, i militari, che nella continuità dal vecchio regime non hanno alcuna intenzione di abbandonare il potere. Forse, come hanno rilevato numerosi analisti, la maggior parte delle cosiddette “rivolte di primavera” sono in realtà colpi di stato militari mascherati.

Per l’Egitto potrebbe essere senz’altro così. La minaccia dei Fratelli musulmani da un lato e le condizioni economiche precarie dall’altro stanno portando la giunta militare ad insistere sempre più, all’interno come nei circoli internazionali, sulla strategia dell’attesa: no ad elezioni immediate e no ad aperture troppo audaci sul fronte dei diritti e del pluralismo.

Il processo di scrittura di una nuova Costituzione “democratica” è iniziato senza troppi entusiasmi, ovvero senza coinvolgere i giovani della rete e quelli della piazza. La stessa Piazza Tahrir assomiglia oggi ad un proscenio di cartone che da spazio ai diversi movimenti, al solo fine di contarne peso e consistenza. I militari hanno fatto sgomberare tende e banchetti proprio in vista delle manifestazioni di domani, in concomitanza con l’inizio del processo a Mubarak. Ma, appena qualche giorno fa, quello spazio è stato occupato da quasi due milioni di militanti dei Fratelli Musulmani, impegnati ad inneggiare al valore assoluto della legge islamica.

In tale contesto, il processo rischia di essere un’ulteriore messa in scena, il tentativo di una nemesi nazionale che non apre però la scena ad un nuovo Egitto. Mubarak verrà con ogni probabilità, tra molti mesi, condannato al massimo della pena e, alla fine, graziato per le sue condizioni di salute.

Dietro le quinte si muove una guerra fra bande fatta di vendette e di ricatti. Non esattamente il clima più adatto al Ramadan. Il caos nel paese è totale e, come spesso accade, non va ricercato solo nella capitale. Il Sinai è terra di nessuno, con bande di predoni impegnate a trafficare in armamenti ed esseri umani, oltre che sabotare ripetutamente i gasdotti verso Israele, boicottando quella pace tra vicini che costò già la vita a un Presidente egiziano quarant’anni fa. Le spiagge dei resort a cinque stelle sono quasi vuote e i business centre non vagliano un affare da mesi. Dalle espressioni della corte e da questo processo si capirà molto dell’Egitto di domani, prima ancora che di quello di ieri.

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