A Tripoli. I ribelli sono arrivati, hanno conquistato la Piazza Verde, e già deciso che la rinomineranno Piazza dei Martiri. Nelle loro mani sono caduti anche due figli di Gheddafi, e sopra, il fuoco della Nato si concentra, implacabile, sul suo bunker. Ormai è dato per spacciato. Ma il colonnello, nonostante tutti gli appelli internazionali e i titoli dei giornali, resiste. Sotto il suo controllo resta ancora una parte della città. E la guerra si è trasformata in una guerriglia combattuta strada per strada. Non sono pochi i lealisti che, rimasti nella capitale, temono l’arrivo dei ribelli. Per difendere le loro proprietà, certo. Ma anche per convincimento. Tra gli edifici, Gheddafi ha piazzato cecchini e uomini armati, per rallentare l’avanzata dei ribelli. Chiede una trattativa, perché sacche di resistenza sono dappertutto, e non si arrende, né fugge.
Anche se la resa, forse, sarebbe l’ipotesi migliore. Nelle ultime 24 ore, le reazioni internazionali vanno in questa direzione. Tra gli altri, il ministro degli esteri italiano Franco Frattini indica nella resa «l’unico sentiero percorribile» per il raìs. Aggiunge, poi, che i tecnici dell’Eni sono già al lavoro, con gli insorti, per riattivare gli impianti di petrolio e gas. Insomma, il gruppo italiano, sottolinea Frattini, avrà ancora un futuro nel settore energetico libico. Da parte sua, invece, il primo ministro inglese David Cameron annuncia che «la fine di Gheddafi è vicina». Sull’esito della guerra, spiega in una nota i presidente francese Nicolas Sarkozy «non c’è alcun dubbio. Ma Gheddafi si allontani, per risparmiare al suo popolo ulteriore sofferenza». La Cina dice che rispetta la scelta del popolo libico e si dichiara rassicurata dalle dichiarazioni dei ribelli, che manterranno gli impegni presi e i contratti stipulati con loro. Fuori dal coro solo il leader venezuelano Hugo Chavez, che denuncia «i governi democratici europei, non tutti: si sa quali sono» perché «stanno demolendo Tripoli, abbattendo case, scuole, ospedali e campi agricoli». In più, «senza alcuna giustificazione». E ha chiesto a Dio la pace in Liba, «perché sta avvenendo un massacro».
Il bilancio delle vittime delle ultime 24 ore, secondo le affermazioni del portavoce libico Mussar Ibrahim rilasciate alla tv Al Jazeera, sarebbe di 1.300 morti, di cui molti, dice, sarebbero stati provocati dai bombardamenti della Nato: «un bagno di sangue». Mentre, secondo alcuni reporter del Guardian a Tripoli, è grande per gli insorti la gratitudine per Nato, Cameron e soprattutto Sarkozy.
Da venerdì la marcia delle forze antigovernativa è cresciuta: l’operazione “Alba della Sposa di Mare” prevedeva attacchi dai tre lati (sud, ovest, est) coordinati con fitti bombardamenti Nato. La conquista di centri chiave come Zlitan, e Zawaiyah, con l’importante raffineria che forniva energia a Tripoli e di Brega, porto strategico, hanno segnato la svolta. In più, defezioni importanti tra i fedelissimi del regime, e la morte del capo dei servizi segreti hanno indebolito la resistenza. L’arrivo a Tripoli, però, non ha ancora significato la fine di Gheddafi: girano voci su trattative internazionali per trasferire il raìs in Venezuela o in Angola, ma nessuna confermata. Per ora, il raìs resta a Tripoli, e non sembra voler abbandonare la città. A tutti i costi.
Per approfondire:
Approfondimento di Al Jazeera sulla battaglia di Tripoli
Il servizio di Euronews che raccoglie le dichiarazioni del segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen che ha detto: «Il regime di Gheddafi sta chiaramente crollando»
Una parte della diretta che la Bbc sta dedicando alla presa di Tripoli
Al Arabiya racconta l’entrata a Tripoli delle forze del Consiglio nazionale di transizione