Nel mese di marzo, il Governo ha annunciato in pompa magna una concreta revisione dell’articolo 41 della costituzione, programmando così un operato per favorire la libertà d’impresa e limitare l’intervento statalista sul piano economico, come ricordato dal ministro Tremonti durante il meeting di Cl dei giorni scorsi.
Sembrava effettivamente trattarsi di una sorta di linea guida significativa indirizzata verso i mercati ed un elettorato sempre meno convinto rispetto all’azione di governo, salvo poi cadere ancora in contraddizione con una legge che non favorisce il libero mercato ma anzi, ne limita in maniera netta la libertà sostanziale.
Si tratta della “Nuova disciplina del prezzo dei libri”, un disegno di legge promossa il 2 marzo dal senatore del PD Riccardo Levi e che ha ufficialmente superato tutto l’iter necessario per diventare realtà a tutti gli effetti grazie al consenso bipartisan di Pdl e Pd, eccezion fatta per i radicali.
La legge stabilisce, in sostanza, che da domani giovedì 1 settembre non sarà più possibile applicare ai libri degli sconti superiori al 15% del loro prezzo originario di copertina, tranne per qualche rara “campagna promozionale” che non potrà comunque superare il mese come arco di tempo prestabilito e neppure essere strategicamente posizionata nel mese di dicembre, notoriamente il periodo più interessante dell’anno per via della festività natalizia che porta un forte aumento dei consumi.
Ma la differenza tra un normale limite di sconto ed una campagna promozionale è risibile, poichè limitata dalla legge al solo 20%, rispetto al 15 dei periodi ordinari.
Stessi parametri anche nella regolazione della vendita di libri online (o “per corrispondenza), dove il limite di sconto applicabile è addirittura stato ridotto dal 20% iniziale previsto nel disegno di legge al 25% sul prezzo di copertina.
Si noti bene che in Italia la media di libri letti annualmente pro capite è di tre volumi, per una spesa di 65 euro all’anno per ogni italiano; un dato quest’ultimo, che ci piazza quasi in fondo ad una graduatoria europea capitanata dalla Norvegia, nazione in cui mediamente ogni abitante dedica alle librerie circa 208 euro all’anno.
Tutto ciò contrasta inevitabilmente le vane promesse decennali di rendere più accessibili libri e promozioni culturali di vario genere, con la tragica e già annunciata conseguenza di un impoverimento generale, sia sul piano morale che economico.
Uno studio condotto da due università italiane, Bologna e Trento, dietro commissione dell’Aie (Associazione italiana editori) ha infatti rivelato l’esistenza profonda e radicata di un rapporto più che mai diretto tra la quantità di libri letti e la crescita del Pil nazionale.
Detto ciò, rimane solo da sperare che non vengano imposte per via legislativa nuove regole disciplinate anche ai libri dei cari, vecchi mercatini dell’antiquariato, dove per 300 pagine (usate) di felicità a volte è sufficiente un solo euro.