Sono tanti i nomi che saltano fuori dalle grandi operazioni che Filippo Penati ha condotto prima da sindaco ds di Sesto San Giovanni e poi da presidente della Provincia di Milano. Ma, seguendo il filo della storiaccia di tangenti e corruzione, ce n’è uno che ritorna costantemente: sia che si parli delle aree ex Falck ed ex Marelli alla periferia nord est del capoluogo lombardo, sia della società di gestione autostradale Milano Serravalle. Il “sistema” di potere e affari che ruotava attorno a Penati aveva una banca di fiducia, ed era la banca di sistema per definizione: Intesa Sanpaolo.
E il nome della banca risuona ancora nel progetto Santa Giulia a Rogoredo, che con Sesto ha avuto in comune anche l’immobiliarista Luigi Zunino e alcune cooperative di costruzione emiliane. Di fronte a queste ricorrenze, non è necessario sposare né le dichiarazioni degli accusatori di Penati né le tesi della Procura di Monza – le indagini sono ancora in corso e, comunque, la parola definitiva spetta ai giudici – per notare che la presenza dell’istituto milanese, guidato dal 2002 dall’amministratore delegato Corrado Passera, è una costante. Dal lato della semplice erogazione di credito ai costruttori-immobiliaristi, ma anche da quello della regia finanziaria delle operazioni condotte, inclusa la scelta dell’imprenditore su cui di volta in volta puntare.
Né è certo una notizia che l’ascesa di Zunino sia stata accompagnata dall’appoggio di Gaetano Micciché, il banchiere a capo della divisione corporate di Intesa e braccio destro dell’amministratore delegato. Senza la generosità dei rubinetti di Intesa, un fenomeno come Zunino – per buona metà dello scorso decennio l’immobiliarista per antonomasia – non sarebbe stato possibile. Né è una novità che, nel 2005, l’acquisizione del 15% della Milano Serravalle – 8,83 euro per azione, per un totale di 238 milioni – sia stata finanziata sempre da Intesa.
Nella Serravalle la banca di Passera ci mette i soldi ma anche il presidente della società: Giampio Bracchi, professore del Politecnico di Milano, all’epoca vicepresidente dell’istituto. Sull’elevato prezzo pagato al venditore – quasi il triplo dei 2,9 euro a cui le aveva rastrellato il gruppo Gavio – si levarono subito molti dubbi e polemiche. A dispetto di una perizia della società di consulenza Vitale & Associati ma anche del successivo parere dei consulenti tecnici (Mario Cattaneo e Gabriele Villa) della Procura di Milano, investita del caso da una denuncia presentata dall’allora sindaco di Milano Gabriele Albertini. Gli uni e gli altri giudicano congruo il prezzo pagato in virtù della maggioranza assoluta così acquisita dalla Provincia. Tuttavia, il “premio” pagato non è servito granché in termini di estrazione di valore dalla complessiva partecipazione (53%) detenuta nella società che gestisce la Milano-Genova e le Tangenziali milanesi. In altre parole – è la tesi fondamentale di chi critica la gestione di Penati della Serravalle – una volta preso il controllo della società non è stata recuperata efficienza, non sono stati razionalizzati i costi (anzi) e la maggioranza conquistata a suon di milioni non è servita a nulla.
Più tangenti che premio di maggioranza, è invece la tesi dei pm di Monza. Sulla base delle dichiarazioni di uno dei due accusatori di Penati, l’imprenditore Piero Di Caterina, i sostituti Walter Mapelli e Franca Macchia hanno disegnato uno scenario diverso: e cioè che la somma di 2 milioni di euro passati nel 2008 da Bruno Binasco (manager del gruppo Gavio) a Di Caterina, in forma di caparra per un contratto poi lasciato cadere, «sia parte della tangente a loro [Penati e il suo ex braccio destro Giordano Vimercati, ndr] destinata per l’acquisto da parte della Provincia di Milano del 15% delle azioni della Milano Serravalle». Il motivo del pagamento a Di Caterina, secondo quanto dichiarato a verbale il 21 giugno 2010, sarebbe lo storno di tangenti «anticipate» negli anni al politico: «Penati mi ha parlato di questa operazione dicendomi che gli avrebbe consentito la restituzione dei soldi che mi doveva».
Ma che c’entra la banca di sistema per definizione con il dare e l’avere di questo sistema di tangenti? Secondo Di Caterina, nella riunione in cui si decise il sovrapprezzo era presente, fra gli altri, Maurizio Pagani, responsabile del settore infrastrutture di Biis, anche lui indagato per concorso in corruzione. La Biis è il braccio del gruppo Intesa specializzato nella finanza pubblica ed è guidato da Mario Ciaccia, ex magistrato della Corte di conti. I pm monzesi puntano ad appurare se la banca abbia avuto «un interesse proprio da perseguire oltre alla normale attività di erogazione del credito». Per i magistrati la banca è «assieme ai politici l’elemento di continuità anche se non di coerenza, in ragione di decisioni ondivaghe, negli undici anni della storia della riqualificazione dell’area Falck». Una «ingombrante presenza» che «limita e condiziona le scelte del costruttore Pasini (che aveva rilevato l’area industriale dismessa dalla famiglia Falck verso la fine del 2000, ndr), aumentandone il grado di debolezza verso i pubblici amministratori».
È la prima volta che, in un documento giudiziario, viene formulata un sospetto così esplicito contro la banca. Nel 2001, hanno ricostruito Mapelli e Macchia, la prima tranche della tangente pagata da Pasini a Penati per ottenere il via libera a sviluppare l’area ex Falck di Sesto, transita in Lussemburgo tramite Banca Intesa, e viene poi monetizzata in contanti: modalità che «inducono a ritenere che la banca, come sostiene Pasini, fosse assolutamente consapevole e complice nell’illecito». Ricostruzioni che andranno ovviamente dimostrate nel processo ma che, già da ora, aprono quanto meno qualche interrogativo sui sistemi di controllo del gruppo.
Il ruolo di Intesa è centrale, poi, nella girandola di immobiliaristi che si susseguono a Sesto come a Santa Giulia. Due progetti distinti che hanno tuttavia in comune, a parte il principale istituto finanziatore, lo stesso immobiliarista, la Risanamento di Zunino, e la presenza del mondo cooperativo emiliano, in particolare del Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna, il cui vicepresidente Omer Degli Eposti è indagato per concussione. A Sesto, la partecipazione delle cooperative, secondo Pasini, sarebbe stata imposta «per compiacere la controparte politica nazionale», ovvero i vertici del Pd (all’epoca ancora Ds).
È, infatti, il management di Intesa che, stando alle dichiarazioni di Pasini, avrebbe deciso il cambio di cavallo sull’area ex Falck. Il metodo non sarebbe stato dei più fair: da un lato mancavano le autorizzazioni per procedere con i lavori, dall’altro «gli interessi per il finanziamento che avevo ricevuto da Banca Intesa continuavano a lievitare: ammontavano a circa 14 milioni di euro l’anno». Lavori fermi e fiato dei creditori sul collo: il peggior incubo per un costruttore. Fin quando, nel 2005, spunta all’improvviso Zunino. «La presentazione dell’acquirente – racconta – è stata fatta dalla banca e fu Saviotti (Pierfrancesco, allora direttore generale di Intesa, oggi a.d. del Banco Popolare, ndr) ad assicurarmi che questa persona avrebbe pagato per contanti». Anni dopo tocca a Zunino farsi da parte: una nuova cordata guidata da Davide Bizzi subentra. Le banche restano, ma cambiando debitore possono evitare spiacevoli accantonamenti sul conto economico.
In tutto questo l’ex Falck è ancora lì che aspetta e Sesto rimane squarciata in due da un’area vasta un milione e 300mila metri quadrati. Quali che siano le responsabilità penali che verranno accertate per tutti soggetti coinvolti, quella più grande è sotto gli occhi di tutti: il sistema, e le sue banche, non portano risultati per la collettività.