«È un sollievo, non la soluzione». Professore di Teoria e politica monetaria internazionale all’Università Bocconi e consulente di banche centrali, Franco Bruni accoglie positivamente l’atteso intervento della Bce sul mercato del debito, che ha consentito un recupero del Bpt (e la riduzione dello spread con il Bund intorno a 300 punti base). Ma, nell’intervista rilasciata a Linkiesta, non concede troppe illusioni: «C’è da lavorare adesso, tocca alla politica».
Alla fine i mercati hanno ottenuto quanto chiedevano: la garanzia di un supporto monetario della Bce al debito di Italia e Spagna. Adesso staranno tranquilli?
L’effetto positivo è comprensibile. Gli acquisti di Btp e Bonos spagnoli servono però per affrontare l’emergenza, ora devono essere seguiti da provvedimenti sull’economia. Governo e Parlamento, devono lavorare molto questa settimana per delineare le riforme che sono state annunciate.
L’annuncio di liberalizzazioni e pareggio di bilancio dato da Tremonti e Berlusconi è sufficiente?
C’è molto da fare per capire esattamente quali saranno i contenuti. Al momento è tutto per aria, il governo deve far vedere quello che vuole fare, bisogna capire se la sinistra ci sta e in che misura e fin dove si spingono i sindacati. Se lavorano duro, e fra giovedì e venerdì si trova un accordo e si riesce a comunicarlo, allora vorrà dire che l’intervento Bce è servito. Altrimenti non c’è intervento che tenga. Gli interventi di liquidità sono efficaci per dare sollievo, ma non per risolvere il problema alla radice.
Si parla sempre più frequentemente di una nuova fase di quantitative easing… ci siamo?
Meglio non parlare di quantitative easing sennò a Francoforte si innervosiscono (ride)… diciamo che questo è un intervento di mercato aperto classico, per fornire liquidità al mercato, in questo caso ai debitori sovrani. In teoria la Bce dovrebbe sterilizzarlo, ritirando la liquidità, da un’altra parte il quantitative easing tende a stimolare l’economia, in concreto è sempre la banca centrale che stampa moneta.
Quali saranno, secondo lei, le dimensioni dell’intervento della Bce?
In teoria, gli ammontari non hanno limite, quello che ha limite è il tempo. Quando superano un certo numero di giorni, le operazioni di mercato aperto diventano difficili da sterilizzare. E chi è contrario – come la Germania o l’Olanda – alzerà sempre di più la voce contro il rinnovo di queste misure.
Italia e Spagna devono sperare nella mediazione dei francesi?
I francesi sono sempre più prudenti nel seguire la linea del rigore, e questo perché, lo dico e scrivo da tempo, la Francia e la solidità della sua situazione finanziaria, sono parecchio sopravvalutate. L’unico suo punto di forza è che la politica francese fa da sponda alla Germania, per cui fino a quando questa Europa non la distruggiamo del tutto, Parigi ha un suo ruolo e peso. Nel frattempo però devono mettere a posto la situazione della finanza pubblica e recuperare credibilità politica in un contesto di elezioni presidenziali ai limiti del surreale.
Che cosa non la convince dell’economia francese?
A parte la credibilità politica, due sono i loro punti deboli: la finanza pubblica e le banche, che sono state aiutate in modo molto opaco dal loro governo. Sono convinto che il supervisore bancario europeo, l’Eba, prima o poi dovrà affrontare questa situazione e chiarire se le banche francesi stanno godendo di protezioni e aiuti nell’ambito del mercato interno europeo.
Questi aiuti sono correlati ai sospetti, che di tanto in tanto circolano, su Société Générale? Ogni tanto si sente qualche analista preoccupato del fatto che questa banca possa ritrovarsi nelle stesse difficoltà della Lehman Brothers.
Su questo punto quello che so non lo posso dire. Certo è che per il suo peso nel mercato dei derivati e in quanto banca depositaria, Société Générale, come Lehman in America, svolge ruolo cruciale ed è molto più sistemica di quanto possa far pensare la sua ampiezza.