«Aahhyaaaakk!!!», Sergio Bonelli è morto. Il grido con cui Zagor, il giustiziere di Darkwood creato da Bonelli nel 1961, era pronto a lanciarsi nelle più improbabili battaglie, oggi suona come un lamento funebre. Il disperato urlo di una prefica che si batte il petto. A 79 anni (ne avrebbe compiuti 80 il prossimo dicembre), il papà di Tex Willer, Mister No, Dylan Dog e tanti altri personaggi che da almeno 30 anni popolano le edicole e il nostro immaginario fumettistico, si è spento all’ospedale San Geraldo di Monza, dopo una breve malattia.
Sergio Bonelli era e resterà per sempre il nome e il cognome del fumetto italiano. L’unico autore e imprenditore che, con la pazienza e la qualità che contraddistinguevano le sue produzioni, era riuscito a creare una casa editrice di fumetti italiani solida e produttiva. Che tra le mille difficoltà del mercato del fumetto in Italia, l’invasione dei manga giapponesi e il marketing aggressivo degli eroi in calzamaglia americani, continuava a puntare su progetti ambiziosi, basati sullo sviluppo e la cura amorevole dei personaggi e delle tavole che li ritraevano. Conservando la fama del marchio di famiglia attraverso il passaparola e il rapporto di fiducia costruito negli anni con i lettori, più che con costose campagne pubblicitarie.
C’è chi lo tacciava di anacronismo, di passatismo culturale, di sedersi sugli allori rispolverando il successo di Tex e Dylan Dog, chiudendo le porte all’innovazione. Invece Bonelli, a dispetto del carattere un po’ burbero e della sua sconfinata passione per le imprese belliche del passato, era un uomo appassionato alle novità del fumetto, pronto a far lavorare giovani talenti su progetti coraggiosi. Come quando, negli ultimi anni, accanto ai personaggi più famosi aveva lanciato alcune miniserie autoconclusive: Brad Barron, Demian, Volto Nascosto, Cassidy. Una novità per chi, come Bonelli, adorava i personaggi a “tempo indeterminato”, «che quando ce li hai tra le mani, che fai, ti risparmi?».
Sotto la vigile supervisione di Sergio Bonelli e il suo inconfondibile tratto, la sua casa editrice è sempre riuscita a coniugare l’amore e il rispetto per le serie storiche senza perdere il treno del presente. Nata nel 1940 sotto il nome di Redazione Audace e guidata prima dal padre, Gian Luigi Bonelli (il creatore di Tex), e poi dalla madre Tea, la Sergio Bonelli Editore non ebbe inizi facili. Sebbene fosse una delle pochissime compagini del fumetto italiano contro l’invasione delle strisce americane, i personaggi di carta erano in Italia erano considerati una cultura di serie B. «Ci accusavano di istigare all’omicidio e di essere ignoranti», diceva Sergio in un’intervista. Ma «Audace» era tanto il nome dell’editrice, quanto la caratteristica peculiare dei Bonelli.
Anche quando, verso il 1960, Sergio rimane solo con la madre e la segretaria a condurre l’azienda, non si perde d’animo. Sono questi gli anni in cui inventa Zagor e fa nascere Mister No (che vedrà la luce nel 1975), eroe scanzonato e umano, non privo di difetti. Gli anni ’70 e ’80 sono periodi di espansione. Passano sotto gli inchiostri della Bonelli personaggi come Ken Parker, Martin Mystère e, nel 1986, Tiziano Sclavi suona per la prima volta il campanello urlante di Craven Road, numero 7. È nato il detective londinese più famoso del mondo, secondo solo Sherlock Holmes: Dylan Dog. «Non mi è mai piaciuta la pubblicità, ma per il lancio di Dylan decisi di acquistare degli spazi», raccontava Bonelli, svelando quanto amore e fiducia l’editore riservava per la sua nuova creatura.
Gli anni di Dylan Dog sono quelli dell’affermazione nazionale ed internazionale. Sergio Bonelli diventa la pietra di paragone del fumetto italiano. «Bonelliano» è un aggettivo capace di descrivere non solo le pubblicazioni dell’ex Audace, ma di denotare tutta una schiera di artisti che guardano al maestro fumettaro come fonte di ispirazione per il loro tratto: i cosiddetti «bonellidi». L’azienda di famiglia si espande e con 40 dipendenti e più di 200 collaboratori in Italia, diventa la più importante realtà del fumetto made in Italy.
Anche quando, con l’arrivo degli “anni zero”, il fumetto subisce un tracollo, Sergio Bonelli capisce che la qualità e la tradizione della sua editrice sono i pilastri sui quali poter sopravvivere alla concorrenza di internet e videogiochi. «Sarebbe ingiusto dire che c’è la crisi perché voi ragazzi non leggete: capisco l’importanza che hanno altri interessi rispetto ai fumetti», diceva quando gli facevano notare come i lettori di fumetti fossero precipitati a un quarto di quelli degli anni ’80. Ma sapeva anche che l’amore per il suo prodotto era ricambiato dai suoi lettori e che dalle nicchie di appassionati poteva ancora sopravvivere ed espandersi la voglia di fumetto.
Una cura, quella di Sergio Bonelli, che dalle pagine in bianco e nero spesso passava ai dipendenti: «La vera fatica è la responsabilità di avere tante persone», si legge in un’intervista del 2002 a Ink 22. «Quando eravamo quattro gatti», confessava, «c’era l’impressione che fosse un gioco che tu potessi smettere da un momento all’altro. Adesso è diventata un’azienda pesante, come numero di persone, e questo senso di responsabilità si sente». Perché in Italia chi dà lavoro ai fumettisti è una mosca bianca: «E allora uno tiene duro anche per non lasciare le persone senza lavoro». Speriamo tengano duro anche i suoi successori ora che il maestro se n’è andato. Chissà dove. Forse, semplicemente, nell’Altrove tante volte visitato da Martin Mystère, dove le storie non muoiono mai.
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