Viva la FifaAl via il Mondiale di Rugby, vale 500 milioni di euro

Al via il Mondiale di Rugby, vale 500 milioni di euro

Venti nazionali, seicento giocatori, 48 partite. E un giro d’affari terzo solo a Giochi olimpici e Mondiali di calcio. I numeri parlano chiaro. La medaglia d’oro (è proprio il caso di dirlo) degli eventi sportivi che generano il più grande indotto a livello mondiale è la rassegna a cinque cerchi. Secondo uno studio della società italiana Stage Up, che si occupa di business sportivo, i Giochi di Pechino del 2008 hanno generato incassi per quasi 2 miliardi di euro. Subito a ruota i Mondiali di calcio: per il comitato organizzatore della prima Coppa del mondo giocata in Africa, i ricavi hanno superato il miliardo di euro. La rassegna iridata di rugby, iniziata oggi in Nuova Zelanda, è pronta a catalizzare l’attenzione di tutto il mondo e a raggiungere gli incassi del Sei Nazioni, il più importante torneo rugbistico d’Europa: ad Auckland e dintorni si dicono sicuri di poter eguagliare i circa 500 milioni di euro prodotti nell’edizione 2010 dell’antico torneo giocato da Galles, Inghilterra, Scozia, Francia, Irlanda e (da qualche anno) Italia.

Fascino e soldi, nel Mondiale della palla ovale, si sovrappongono. La Coppa del mondo torna ad essere organizzata nella tana della nazionale della Nuova Zelanda. La squadra considerata tra le più forti del globo, è sicuramente la più affascinante. Gli All Blacks, chiamati così per la divisa tutta nera, sono celebri per la potenza e la velocità dei loro giocatori. Alcuni di loro sono veri e propri simboli sportivi, come Jonah Lomu, autore di 185 mete (i gol del rugby) in nazionale. Ma sono celebri anche per l’Haka, la danza maori che intonano prima di ogni gara. Ovunque giocano, registrano il tutto esaurito, per la gioia di appassionati e sponsor (l’Adidas, sponsor tecnico degli All Blacks, ha un contratto di 9 anni da 150 milioni di euro). Riempiono gli stadi non solo in patria, dove seguirli è una religione come da noi lo è vedere la serie A di calcio.

Anche nei loro tour europei. Come quando il 14 novembre 2009 arrivarono a Milano, a San Siro, la «Scala del calcio». Accaparrarsi un biglietto fu un’impresa. Quel match da tutto esaurito fu uno dei simboli della crescita dell’interesse degli italiani per il rugby: 10 anni prima, riempire un grande stadio calcistico per una partita di rugby sarebbe stato impensabile. La squadra più famosa del mondo non vince la competizione dal lontano 1987, anno del primo Mondiale della palla ovale, ospitato dalla stessa Nuova Zelanda assieme all’Australia. Una Coppa che per il Paese guidato da John Key sta diventando l’occasione per dare un deciso contributo alla sua economia. Attualmente la Nuova Zelanda, con un Pil di 117 miliardi di dollari (circa 90 miliardi di euro), occupa la 60° posizione nella lista degli stati per prodotto interno lordo. Secondo le stime della Federazione Mondiale del Rugby, la Coppa del mondo porterà un contributo di 507 milioni di dollari neozelandesi, circa 420 milioni di euro. 

Di questa vagonata di verdoni, secondo un’altra stima, quella  dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, 240 milioni di euro rimpingueranno l’economia di Auckland. L’amministrazione locale potrà così ammortizzare le spese per le opere pubbliche realizzate per il Mondiale. Spese che permetteranno alla città di poter usufruire delle infrastrutture costruite anche dopo la competizione. La città dell’omonima baia, che noi italiani conosciamo per le sfide di Coppa America tra Luna Rossa e Black Magic, è il simbolo del rilancio economico neozelandese grazie al Mondiale. «Il Rugby è un’ottima occasione per tenere trenta energumeni fuori dal centro della città», sentenziava Oscar Wilde. Ora invece si fa di tutto per andare a vederli impegnati in mischia o in touche. E le città non possono farsi cogliere impreparate. Auckland è già pronta. Il suo aeroporto internazionale è stato ampliato, il lungomare rinnovato e ammodernato, una nuova rete a banda larga è stata installata. Ultimato anche il centro Convention and Mobile Media per i giornalisti.

E poi c’è la questione dello stadio cittadino, che ospiterà otto partite, compresi il match inaugurale e la finalissima del 23 ottobre. Dopo l’annuncio della scelta della Nuova Zelanda come sede dell’evento, nel 2005, il comitato organizzatore presentò il progetto per un nuovo impianto, il New Zealand Stadium, colosso da 60.000 posti. I cittadini non hanno gradito l’accantonamento del mitico Eden Park e il Consiglio regionale di Auckland non ha fatto passare la proposta, optando per la ristrutturazione della casa storica degli All Blacks, costruita nel 1900. Così Eden Park, lo stadio che vide la nazionale vincere la Coppa del mondo nel 1987, ha aumentato la propria capienza. Ma senza essere un ecomostro. Anzi, è un eco-capolavoro. Oltre alla straordinaria vista sulla città, l’Eden Park è dotato di una struttura in vetro che cattura e riutilizza la luce solare.

La precedente edizione della Coppa, giocata in Francia nel 2007, ha generato un surplus di 140 milioni di euro. Quattro anni dopo si punta a fare meglio. A cominciare dalle cifre sui telespettatori. Saranno 4 miliardi, secondo quanto annunciato lo scorso 6 settembre da un raggiante Bernard Lapasset, presidente della Federazione Internazionale Rugby, nella conferenza stampa di presentazione del Mondiale. E Martin Snedden, capo dell’organizzazione, già parla di «grande successo commerciale». A cominciare dai biglietti. In terra neozelandese sono attesi 95mila tifosi di tutto il mondo. Fino a questo momento l’incasso dei biglietti è di 246 milioni di dollari neozelandesi (circa 146 milioni di euro), con l’obiettivo fissato dall’organizzazione di arrivare a 268 milioni di dollari (quasi 170 milioni di euro).

Eppure, fino a qualche mese fa si è rischiato il flop. Dei 29mila australiani attesi, a inizio maggio erano stati venduti solo 1500 pacchetti. Gli Aussie hanno sempre considerato la Nuova Zelanda come una meta a buon mercato, ma il prezzo dei biglietti, lievitato anche del 500%, e delle strutture alberghiere, li hanno tenuti a casa fino a che i prezzi non sono stati abbassati. Sarebbe stato un grande spreco, non solo in termini economici, non vedere gli australiani «invadere» la Nuova Zelanda per vedere l’ennesima sfida tra gli acerrimi nemici Wallabies (soprannome della nazionale australiana) e All Blacks. Kiwi contro canguri. Sarebbe stato come se al Mondiale di calcio in Sudafrica, lo scorso anno, non si fossero presentati i tifosi argentini e brasiliani, vicini geograficamente come australiani e neozelandesi ma divisi da anni da una grandissima rivalità.

Solo nell’ultimo periodo, sono stati staccati 77 milioni di dollari di biglietti e mancano 50 giorni prima che i restanti 22 milioni di dollari di biglietti rimasti vengano venduti. Numeri importanti, che spiegano perché sia stata scelta la Nuova Zelanda come sede del Mondiale. Quando fu il momento di eleggere il Paese ospitante, si pensò al Giappone. Un nuovo mercato, quello asiatico, tutto da scoprire e quindi ancora da sfruttare. Inoltre, c’erano gli stadi del Mondiale di calcio del 2002 già pronti per essere usati. Invece i dubbi sul fatto che la Federazione asiatica non avesse mai ospitato un evento di tale portata fece virare la scelta sul paese dei «Tutti neri». Era necessario affidarsi a una realtà di grande tradizione, per ospitare il Mondiale di uno sport in continua crescita. Di pubblico e soldi. Per rafforzare il trend positivo globale del rugby, anche fra quattro anni la rassegna iridata si giocherà in una Paese dal grande retroterra rugbistico: l’Inghilterra.

Ma l’edizione successiva del 2019, anche sotto la spinta di personaggi illustri come John Kirwan (campione del mondo con la Nuova Zelanda nel 1987, ex allenatore della nazionale italiana e ora tecncio del Giappone), si terrà proprio nel Paese del Sol Levante. Secondo i calcoli della Federugby internazionale, dunque, fra 8 anni il movimento sarà talmente cresciuto da poter aprirsi a nuovi mercati. I numeri lo dimostrano. A partire dall’Europa fino al nostro Paese. Il solo Sei Nazioni del 2010, torneo fondato nel 1883 che si gioca tra le nazionali europee di Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda e Francia (e da ultima l’Italia dal 2000), è stato visto dal vivo da oltre un milione di persone. L’indotto tra di vendita biglietti, trasporti, cibo e bevande e sponsor ha sfiorato i 500 milioni di euro, contro i 438 milioni di euro dell’edizione 2008. Il Mondiale di calcio di Sudafrica 2010 ebbe un impatto di circa 1,2 miliardi di euro. Il pallone sferico riesce ancora a tenere a distanza quello ovale, ma da quando nel 1823 uno studente della scuola inglese di Rugby, William Webb Ellis, decise che il pallone si poteva usare solo con le mani, distinguendolo dal football, negli ultimi anni questo sport sta coinvolgendo realtà con meno tradizione rispetto alle big dell’emisfero australe. Vedi l’Italia.

Ci sarà un motivo se Sky Italia ha acquisito i diritti del Mondiale. Secondo i dati della Federazione Italiana Rugby, il giro d’affari annuale della Federazione stessa sfiora i 90 milioni di euro. Una somma alla quale contribuiscono soprattutto gli sponsor. Tra partner media, sponsor istituzionali e supporter, sono 25 le aziende coinvolte. Per essere sponsor federale, l’investimento minimo annuo è di 200mila euro. In media, ogni azienda ne versa 300mila. Il Gruppo Fiat contribuisce con 500mila euro annui. La Cariparma, sponsor che compare sulla maglia, versa 1,1 milione di euro all’anno. Poi ci sono i diritti tv del Sei Nazioni. Dallo scorso anno, Sky li trasmette in esclusiva in Italia con un contratto da 13 milioni di euro per 3 anni. Ai quali vanno aggiunti gli 8,5 milioni di euro che arrivano dalla suddivisione dei proventi del torneo tra tutte le partecipanti. Aumentano i soldi (il budget della Fir è di 29 milioni di euro, contro gli 11 miliardi di lire del 2000), ma non solo.

Sale anche il numero di squadre (558 nel 2000, poco più di 1000 a fine 2010) e tesserati (dai 30mila del 2000 ai quasi 70mila odierni). I giocatori dell’Eccellenza, la serie A del rugby vinta l’anno scorso dal Petrarca Rugby di Padova, non arrivano ancora a percepire le cifre dei divi italiani del calcio. Professionisti solo dal 1995, i rugbisti nel nostro Paese guadagnano in media tra i 2000 e i 3000 euro al mese. Francesco Totti, capitano e uomo simbolo della squadra di calcio della Roma, di euro al mese ne prende 400mila. Il rugby professionistico, in Italia, ha comunque generato un indotto di 38 milioni di euro, secondo solo al calcio, per ora irraggiungibile con un giro d’affari relativo al 2010 di 1,5 miliardi di euro (ma con un indebitamento netto di 500 milioni di euro). Ora i tifosi italiani  saranno attesi da risvegli in piena notte per vedere le partite. Il XV azzurro debutterà domenica 11 settembre alle 5.30. Una levataccia per l’esordio mondiale contro l’Australia.
 

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