Ho appena ascoltato la telefonata (intercettata) del 2009 tra Berlusconi e il signor Lavitola. Parlano del Lodo Alfano, poi di Fini, poi del Capo dello Stato, infine dei destini di un generalone della Gdf. Confesso subito che Berlusconi mi ha immalinconito, mi ha persino mosso a tenerezza. Ed è solo la prima delle telefonate, ne arriveranno a vagonate. Ma altre non ne sentirò, mi basta questa (peraltro fatta con un uomo e dunque sgravata da ulteriori moralismi).
Lo senti col suo vocione bolso, in preda a sconforto cosmico per i rovesci della politica che gli piovono sul capo come meteoriti. È visibilmente abbattuto e non ne fa mistero, c’è un elemento di salutare umanità in quella decadenza post-giovanilista, come se la confessione telefonica avesse in fondo le virtù salvifiche di una nuova consapevolezza, come se il piegarsi alle debolezze rivelate all’amico riaprisse per un momento, ma solo per un momento, il quaderno della sua intimità.
Solo che dall’altra non c’è il vecchio Fedele, compagno di cento pianoforti e di altri cento e più consigli di amministrazione, non c’è il compagno di tante avventure che ti sta dicendo: Silvio, non pensi che magari è il caso di fermarsi?, non c’è il Confa che ti ammira ma neanche indugia al servilismo, non c’è il dottor Confalonieri che in tutti questi anni ha tenuto insieme la dignità di una grande azienda come la Fininvest.
No, dall’altra parte del filo c’è un povero, orrendo faccendiere, al quale sembra che un Cavaliere spento abbia affidato parte delle sue fortune (non solo economiche), che ignobilmente approfitta di una barca che affonda, che lascivamente lo stupra salutandolo con un inarrivabile «dottore, stia su», che giostra il suo destino rimodellandolo sulla potenza che ancora gli resta, lui Presidente del Consiglio di un paese fondamentale come l’Italia e l’altro, impavido perforatore di ventri molli, con il cinismo ma anche l’improbabilità che solo italiani di questa fatta possono mostrare.
Ma come si fa a ridursi in questo stato di dipendenza, come è stato possibile restringere un mondo fatto di adesione sociale com’è stato per tutta la vita il mondo di Silvio Berlusconi a un microcosmo lurido di affaristi senza scrupoli, come è stato possibile gettare alle ortiche l’idea del Grande Sognatore che a sua volta aveva illuso milioni di piccoli sognatori e ritrovarsi – oggi – a dover subire l’assalto dei corvacci che aspettano solo di vedere la carcassa fredda, come è stato possibile provare l’onta dell’abbandono collettivo per il protagonista autentico di una (non compiuta, e per molti neppure iniziata) rivoluzione liberale?
Vogliamo per il tempo che le resta, caro dottor Berlusconi, un percorso diverso, barattando tutti i Lavitola del mondo con la dignità di cui può disporre, magari trasformandola in ammortizzatore sociale, come se a quel semaforo che sta per diventare verde ci fosse da accompagnare all’altro lato della strada un signore anziano, anche molto simpatico, che in cambio di quella buona azione ti racconterà un po’ dei suoi ricordi di premier. Noi, da parte nostra, se lei ci aiuterà, dobbiamo impegnarci a rispettarla di più, rispettare il ruolo che lei ancora ricopre e che all’estero vale per quel che vale. La differenza tra i regimi e le democrazie è l’eleganza della fine. Non creda non ci abbia amareggiato vedere una foto festosa e importante su tutti i giornali di oggi, che ritrae – sorridenti e insieme – Sarkozy e Cameron in trionfo a Tripoli. Non siamo forse anche noi italiani dei ricostruttori in quella terra?
Basta umiliazioni, per noi e per lei, gentile Presidente. E noterà che non abbiamo fatto neanche un piccolo accenno al genere femminile.