Chi è Venizelos, l’uomo che può salvare la Grecia o portarla nel baratro

Chi è Venizelos, l’uomo che può salvare la Grecia o portarla nel baratro

Il voto è andato bene, anzi, meglio del previsto: 153 a favore, contro i 144. Il parlamento greco ha approvato la prima tappa del pacchetto di misure di austerity presentate dal ministro delle Finanze Evangelos Venizelos: l’allargamento della tassa sulla casa. Quattro euro per metro quadrato, dal 2012 fino al 2014. Il risultato era appeso al filo, secondo le previsioni, di cinque parlamentari. Sono stati di più. Ma i timori della caduta del governo di Papandreou continuano: il ritorno al voto resta un rischio concreto. In tanti sono contrari alle misure, giudicate troppo severe, di tagli e tasse. Ma non sembra che la Grecia abbia molta scelta. Le tranche di prestiti della troika (Bce, Fmi, Eu), che non sono altro che i salari e gli stipendi di ottobre, dipendono proprio da queste misure. A portarle avanti è proprio lui, Venizelos, che secondo il quotidiano ellenico Ekathimerini non è altro che l’emblema di tutti i mali di Atene. Voglioso di potere, effimero e indecifrabile, il titolare del Tesoro greco è un evergreen della politica di Atene, come dimostra il suo sito web. E non è affatto detto che sia la persona più affidabile per questo ruolo, più delicato che mai. 

È questo il messaggio di Venizelos, 54 anni, uomo corpulento e dal grande intelletto, designato per salvare la Grecia o portarla nel baratro. «Questa non è la crisi, ma la strada per uscirne», ha spiegato nella sua conferenza stampa di oggi. Ma nessuno sembra ascoltarlo davvero. Prima del voto, i manifestanti hanno preso d’assedio la sala delle conferenze interrompendo il ministro con urla, fischi e vecchi slogan. Alcuni presi dai giorni in cui cadeva il regime dei colonnelli: nelle strade del 1974 si invocavano «Pane, Istruzione, Libertà». Sembra che non sia cambiato nulla, e il presagio è sinistro. Ma «l’Europa non può lasciarci fallire, altrimenti falllisce essa stessa», rassicura.

Cercava di spiegare, al ritorno da Washington, che ormai serve solo uno sforzo «sovrumano». La Grecia è sull’orlo del collasso, e di fronte all’ipotesi di nuove tasse e nuovi tagli, è stato proclamato uno sciopero. La popolarità di Venizelos è crollata, insieme ai titoli di stato greci. La maggioranza si sta disfacendo, sotto i colpi del dissenso. Ma non è ora di litigare, spiega Venizelos. Ora «è tempo di combattere».

E lui, volente o nolente, è in prima linea. Fin da quando, a malincuore, ha accettato la poltrona da ministro dell’economia. A dire il vero, l’aveva già rifiutata due volte. Nel caldo agitato del rimpasto di metà giugno, lo scranno di via Nike (con il compito apocalittico di risanare i conti pubblici greci) costituiva il timore inconfessato dei ministri del Governo. Nessuno lo voleva, Poi, per tutti, il sollievo: Venizelos accetta. Non poteva tirarsi indietro ancora: insieme al dicastero, aveva ottenuto la carica di vice-primo ministro. Un passo in avanti e una libertà di manovra che il predecessore, Giorgios Papakostantinou, silurato per dissidi interni, non aveva. E così, Venizelos ha bevuto il calice avvelenato.

Il premier, George Papandreou, aveva tentato di nominare, prima di lui, il suo consigliere personale ed ex-vice all’Ecd, Lucas Papademos. Lui, però, si è ben guardato dall’accettare. L’unica soluzione era l’intelligenza fulminante di Venizelos, la sua retorica à la Churchill, e l’esperienza da dinosauro della politica. Poteva essere anche pericoloso: quattro anni fa, alle primarie del partito, Venizelos era uscito sconfitto proprio da Papandreou, con uno scarto di meno di 200.000 voti. Uno smacco. Ma era il 2007, e ormai sembra passato un secolo. Con la crisi, primo ministro e ministro dell’economia devono agire in tandem.

Non solo. Venizelos rischia tutto. Può entrare nella storia greca come il ministro del default. O come il salvatore della patria. Una posizione che, nella sua lunga marcia politica, mai si sarebbe sognato di avere. Dopo gli studi in legge, la cattedra e le pubblicazioni che si inseriscono nel dibattito internazionale, divenne una figura di spicco nel Paese nel 1989. Il primo ministro Andreas Papandreou, lo scelse come avvocato in un processo per corruzione. Si innamorò, a quanto si dice, delle sue abilità oratorie: grazie a Venizelos fu scagionato e lo portò con sé ai vertici del Pasok. Per lui comincia la scalata: nel 1990 entra a far parte del Comitato Centrale. Poi, nel 1993, viene iscritto nelle liste elettorali per le politiche e vince a man bassa nella sua regione: Salonicco.

La sua intelligenza spaventa, e di più il suo senso di concretezza. Non è uomo da dettagli. «Spietato, bulimico di potere. Un investimento politico rischioso», dice l’editorialista di Athens News Mark Dragoumis, suo critico acerrimo, che nel 2007 avvertì: «farebbe qualsiasi cosa per ottenere voti, non importa se delittuosa o disprezzabile». Venizelos comincia il Grand Tour nell’esecutivo. Tra cariche e poltrone, non si lascia sfuggire nulla. Nel 1993 diventa vice-ministro alla Presidenza, e portavoce del Governo. L’anno dopo, si insedia nel ministero della Stampa e dei Media, fino al 1995. Dal 1995 al 1996 è ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni, mentre il 1996 lo passa al ministero della Giustizia, fino a settembre, quando si trasferisce alla Cultura, che occuperà fino al 1999. Ma non è finita. Dal 2000 al 2004 assume la direzione del ministero di Cultura e Sport, organizzando in prima linea i Giochi olimpici del 2004. È proprio per quest’ultima carica che il suo ruolo all’interno del partito viene criticato più fortemente. In tanti sospettano che si sia intascato diverse mazzette nell’ambito degli appalti dei siti olimpici. 

Venizelos ha fatto tutto, conosce tutti, è l’uomo giusto in ogni situazione. Gli rimane soltanto di sferrare l’attacco alla cima: nel 2007, dopo una bruciante sconfitta del Pasok, annuncia la sua candidatura alla guida del partito. Ma perde, Come si è detto, contro di lui, c’è George Papandreou, figlio del Papandreou che lo aveva iniziato alla politica, e che gode dell’eredità del padre, popolare come un Pertini ellenico. Tuttavia, in tanti criticano Papandreou, considerato troppo “americano” per un compito cruciale come quello che si sta prefigurando. In molti preferiscono Venizelos, che però durante un comizio del Pasok, nel novembre 2007, ha uno scatto d’ira in diretta tv e rivela a tutta la Grecia uno dei suoi punti deboli. Vince Papandreou e per Venizelos, molto vicino agli ambienti bancari del Paese, sembra chiudersi il sipario della politica. 

Ma è tenace, Venizelos, e tutto lascia pensare che non sia finita: «Venizelos ha slancio politico, e vuole diventare primo ministro», spiegano alla Reuters ambienti vicini alla troika. Del resto, l’idea del primo ministro è di proteggere la propria immagine affidando a Venizelos l’incarico di portare le cattive notizie ai greci. In questo senso, ha funzionato. Venizelos può quasi diventare un caso da studiare per la velocità con cui la sua popolarità si è dissipata. Un capitale consumato in pochi mesi, fino al dileggio pubblico.

A lui non importa. Va avanti: si incontra con i delegati di Fmi, dell’Unione Europea e della Bce. Parla con Angela Merkel. Vola a Washington, ascolta le misure consigliate, le prende, le applica. Ma non deve contrattare solo con gli stranieri. Nel suo disperato tentativo di salvare la Grecia, il vero nemico è in casa. L’opposizione, che giudica irresponsabile, perché, dice, cerca solo la caduta del governo. E poi la maggioranza. Venizelos spende ore per mantenere compatto il partito, ricucire gli strappi di correnti, convincerli che no, le elezioni ora non ci vogliono. Sarebbero la disfatta di un Paese che le Agenzie di Rating hanno tagliato fino alla certezza del default. E al termine di tutto questo, se guarda fuori dalla finestra, vede piazze e strade gonfie di manifestanti umiliati e inferociti. Contro di lui, la Grecia intera. Ma nelle sue mani, il destino di un Paese, e forse di tutta l’Europa. Sì, uno sforzo «sovrumano». Ce la farà?