Due trentenni vogliono portare il MIlanoFilmFestival in serie A

Due trentenni vogliono portare il MIlanoFilmFestival in serie A

“Questo Festival preferisce la polvere della piazza al tappeto rosso, perché sulla Piazza si sta in tanti, mentre sul tappeto rosso ci si spintona”. Dice così la pagina di apertura con cui i due giovani direttori artistici del Milano Film Festival – Alessandro Beretta e Vincenzo Rossini – presentano le sezioni e i film che dal 9 al 18 settembre vengono proiettati nella rassegna milanese. E mentre la Mostra del Cinema di Venezia  si preparava ad arrotolare i tappeti rossi, al Parco Sempione e al teatro Strehler – la piazza e il cuore del Milano Film Festival – è tutto un brulicare di operai che montano ponteggi e di giovani indaffarati negli stand, nelle librerie all’aperto, nei padiglioni e nelle sale.

“Quest’anno, fra le tante novità del Festival, c’è l’arricchimento dei luoghi di proiezione e di incontro per il pubblico. I film, in concorso e non, verranno proiettati anche al centro San Fedele, che ha una lunga tradizione di rassegne cinematografiche di alto livello, al cinema Anteo, uno dei luoghi principali in cui si manifesta la cultura cinematografica di Milano e che speriamo possa permettere al MFF di avvicinare un pubblico meno giovane anagraficamente ma di cinefili colti, e infine il Rosetum, in una zona meno centrale della città, dove con il frate cinefilo Stefano Dubini abbiamo concordato uno per uno i film da mostrare in sala”, ci racconta il giovane direttore artistico Vincenzo Rossini. Un 27enne di origine pugliese e formazione ferrarese che insieme al 33enne Alessandro Beretta, ha sostituito dopo 15 anni la guida storica di Beniamino Saibene e Lorenzo Castellini, i fondatori del Festival.

Un budget di 900mila euro il MFF, circa 60mila biglietti staccati nella scorsa edizione e un totale oltre 100mila presenze “perché il festival diventa un luogo di aggregazione anche per chi magari poi non va ad assistere alle proiezioni”, sottolinea Rossini. Il MFF, in altre parole è diventato uno dei grandi eventi culturali della città è c’è la sensazione che si appresti a compiere un ulteriore salto di qualità.

“Abbiamo portato da 10 a 15 i film del Concorso Lungometraggi e poi c’è il Concorso Cortometraggi, con 55 opere prodotte da registi che non hanno superato i 40 anni di età”, aggiunge Rossini. Il MFF nasce infatti nel 1996 come un festival di corti, una forma di creazione audiovisiva che in Italia è quasi del tutto priva di canali di distribuzione, a differenza di quanto avviene in altri paesi dove il “corto” è molto radicato anche nella cultura stessa dei Festival cinematografici.
Tra le novità del Festival c’è poi la sezione “The Outsiders”, i fuoriclasse del cinema internazionale, che mostra fuori concorso e in anteprima assoluta per l’Italia le opere di autori che raccontano personaggi fuori del comune.
La caratteristica forte del MFF, tuttavia, è la sua “transnazionalità”, il cui gene condiziona profondamente le scelte artistiche dei curatori. Ad esempio con la selezione di opere come “All That Glitters”, del regista ceco Tomàs Kudrna, girato nella repubblica del Kirghizistan, in Asia centrale. Un film che nelle intenzioni dell’autore vuole raccontare “le molte stranezze che accadono quando democrazia e capitalismo vengono introdotti in una nazione in cui gli abitanti non posseggono veramente l’autonomia economica per prendere decisioni”. Oppure che emerge nella poetica del regista indiano Prashant Bhargava, che in “Patang” racconta la grande festa degli aquiloni, intrecciata con le vicende di un uomo che da nuova Delhi fa ritorno al suo paese natale nel sud dell’India.

O ancora nel presentare, con Mad Bastards, del regista australiano Brendan Fletcher, il viaggio intrapreso da un ex galeotto da Perth al Nord dell’Australia per incontrare il figlio tredicenne che non han mai conosciuto. La narrazione sull’Italia è affidata invece alla coppia registica (e nella vita) Gustav Hofer e Luca Ragazzi, che molti ricorderanno nel documentario “Improvvisamente l’inverno scorso”, premiato al Festival di Tel Aviv, e che raccontava in chiave ironica le vicende legate al progetto di legge per il riconoscimento delle coppie di fatto, anche omosessuali, in Italia.

Italy: Love it, or leave it”, l’opera presentata quest’anno al MFF, racconta il progetto dei due autori di lasciare l’Italia, come tanti loro amici hanno fatto, per trasferirsi all’estero. Prima di prendere la decisione, tuttavia, Luca e Gustav compiono un viaggio di sei mesi in giro per lo stivale, raccogliendo le storie di chi è stato messo nelle condizioni di andar via, ma anche di chi ha scelto di resistere.

Il MFF, festival sociale, dei giovani e degli autori emergenti non rincorre esotismi. I milanesi saranno direttamente coinvolti e si sentiranno chiamati in causa domenica sera con la proiezione in Piazza Grande (Parco Sempione) del documentario collettivo con la supervisione di Luca Mosso e di Bruno Oliviero “Milano 55,1 – Cronaca di una settimana di passioni”, che fa rivivere la settimana cruciale per il destino della città intercorsa tra il primo e il secondo turno delle recenti elezioni amministrative.
La scelta di dare spazio alla retrospettiva di un autore come Jonathan Demme (“Il silenzio degli innocenti”, “Philadelphia”), sempre in bilico tra le produzioni indipendenti e i grandi successi hollywoodiani, punta infine a inserire il MFF nel circuito dei festival di contenuti, ma non programmaticamente “alternativi”. “Il fulcro degli appuntamenti di questa retrospettiva sarà la prima europea del documentario “Journey”, che racconta la vita di Neil Young, un’opera che in questo momento è in programmazione al Festival di Toronto”, sottolinea Rossini. La rassegna su Jonathan Demme non si limiterà alla proiezione dei grandi capolavori del regista ma si arricchisce dei documentari, dei lavori per la TV e delle videoclip dell’autore. Il regista incontrerà il pubblico milanese in una lezione di cinema che precederà la visione del documentario su Neil Young.

L’altro importante omaggio, che punta in questo caso a soddisfare le aspettative dei cinefili più attenti al linguaggio musicale e delle colonne sonore dei film, è quello dedicato a Randall Poster, music supervisor per registi come Wes Anderson e Todd Haynes. Poster presenterà al MFF una selezione di 5 pellicole tratte dalla sua filmografia e una selezione di 5 grandi classici della storia del cinema che hanno influenzato la sua carriera. Anche Poster incontrerà il pubblico del festival in una masterclass sul mestiere del music supervisor.