Fallisce pure l’economia verde e ora Obama tenta il rilancio

Fallisce pure l'economia verde e ora Obama tenta il rilancio

Come da tradizione, lunedì 5 settembre, negli Usa, si è celebrato il Labor Day, Festa dei lavoratori. Ma non per tutti e di sicuro non per i 1.100 dipendenti della neo-fallita Solyndra, l’azienda californiana diventata simbolo dell’industria green dopo la visita del presidente Obama agli stabilimenti di Fremont nel 2010 e la maxi garanzia di prestito di 535 milioni di dollari erogata dalla Casa Bianca l’anno precedente. Un prestito pubblico per quello che il presidente voleva trasformare in uno dei fiori all’occhiello della propria amministrazione. E Invece il fotovoltaico a stelle e strisce si sta rivelando una vera e propria “balla verde”. Tra il possibile effetto-domino che l’istanza di fallimento di Solyndra può innescare e la maggiore competitività cinese anche nel settore delle rinnovabili, il presidente americano deve difendersi dalle accuse dei repubblicani di aver fatto dell’azienda di Fremont un uso politico e di aver sprecato il denaro dei contribuenti. Specialmente mentre presenta al Congresso il nuovo piano del lavoro. 

Fondata nel 2005 da veterani delle industrie di chip e hard-drive della Silicon Valley, l’azienda di Fremont avrebbe dovuto essere la Apple dei pannelli solari. Gli inizi furono da brivido. Nel giro di un paio di anni gli investitori raccolsero più di 1 miliardo di dollari. L’avanzata tecnologia di produzione e la qualità del film fotovoltaico prodotto, disegnavano un futuro di solidi ritorni economici. E nei dintorni della Silicon Valley non era difficile reperire chi ci credesse. I venture capital fecero gara per accaparrarsi l’equity, garantendo copertura finanziaria al nascente «gioiello delle energie rinnovabili». La Solyndra utilizzò gran parte del capitale raccolto in grossi investimenti per aumentare la propria capacità produttiva, passando ad una economia di scala in grado di installare impianti in tutto il mondo con un ruolo fra i leader mondiali del settore.

Con 140 milioni di dollari di fatturato, 1100 dipendenti, due impianti di produzione e 500 installazioni in tutto il mondo per un totale di 16 milioni di pannelli prodotti nel solo 2010, la Solyndra appariva una ditta solida. Nel 2008 apre un proprio distaccamento in Germania, spalancando le porte al ricco mercato europeo pompato dagli incentivi statali. E nel giugno di di quest’anno incassa la più grande commessa della sua breve storia: un megaimpianto da 3MW per un costo complessivo dell’opera di 10,3 milioni di euro.

Al di là del sogno, però, la Solyndra non riesce a concretizzare risultati sufficienti. Nel momento in cui la produzione diventa di massa, sul mercato compaiono i cinesi, i più aggressivi competitor in cui l’azienda potesse imbattersi. I pannelli made in China, grazie agli incentivi di Hu Jintao e con costi di produzione ridicoli, sconvolgono il mercato, costringendo l’aziende ad abbattere i costi. A tutto questo si aggiunge il calo della domanda provocato dalla crisi. «Siamo giunti a fine corsa», dichiarava a fine agosto Peter Lynch, analista americano del fotovoltaico industriale: «I costi per unità prodotta ammontano a 6 dollari quando la Solyndra è costretta a venderli per la metà. E se volesse essere competitiva dovrebbe abbassare i prezzi a 2 dollari, forse 1 e 50. Questo non è più sostenibile».

Che il piano industriale della Solyndra non fosse dei più competitivi, sono oggi in molti a sostenerlo. E che l’amministrazione Obama abbia chiuso tutti e due gli occhi mentre staccava l’assegno milionario, è la tesi dell’inchiesta che i membri repubblicani della Commissione energia hanno presentato alla Camera. Dall’indagine sul prestito si scopre infatti che uno dei suoi maggiori investitori, George Kaiser, fu a suo tempo grande sostenitore di Barack Obama, non solo politicamente. Nel 2008 Geoge Kaiser raccolse dai 50 ai 100mila dollari per la campagna dell’attuale presidente. E i maligni sostengono che proprio grazie a questo finanziamento i vertici del Tesoro si siano sentiti in dovere di ricambiare. «Il supporto di Obama alla Solyndra appare più politico che economico», denunciano i repubblicani. «Abbiamo prove che la Casa Bianca monitorasse la Solyndra ed avesse interesse a comunicare con i vertici aziendali per garantire il prestito», sostiene Fred Upton, presidente della Commissione Energia.

Ora l’azienda-pupillo del presidente non è la prima a richiedere l’amministrazione controllata: nell’ultimo mese è stata preceduta da SpectraWatt ed Evergreen Solar, nonostante qualche giorno prima, il 25 agosto, l’ultimo rapporto Solarbuzz (società di analisi di mercato nell’ambito dell’energia solare) avesse fatto intravedere ben altra realtà. Il crollo dei prezzi degli impianti e gli incentivi statali lasciavano presagire una seconda metà del 2011 d’oro per il fotovoltaico a stelle e strisce. Gli Usa, sempre secondo la previsione di Solarbuzz, sarebbero arrivati a rappresentare il 15% del mercato fotovoltaico nel 2015, contro il 5% attuale. Ma il settembre nero del fotovoltaico made in Usa, dopo l’annuncio di Solyndra, ha colpito anche la First Solar, leader mondiale nella produzione di pannelli fotovoltaici, dimostrando che un possibile effetto domino potrebbe travolgere tutto il settore. Questa sera (alle 2 ora italiana) Obama proporrà misure «per aiutare l’economia americana, in particolare le piccole imprese, i senza lavoro, per mettere più soldi nelle mani del ceto medio americano». E i risultati di agosto – non è stato creato alcun posto di lavoro- non inducono certo all’ottimismo. Come pure la vicenda Solyndra che fa temere che qualcosa di grosso non funzioni non solo a Wall Street ma anche alla Casa Bianca. 

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