Flop degli indignados: a Piazza Affari Giulietto Chiesa e cinquanta persone

Flop degli indignados: a Piazza Affari Giulietto Chiesa e cinquanta persone

«È una nuova Seattle quella che sta nascendo. Un movimento che ci riporta ai Social Forum degli anni ‘90, ai giorni di lotta di Genova». Inizia con queste parole l’Antibanks Day di Milano, manifestazione lanciata dal movimento Take the square perché il 17 settembre si protesti contro la crisi in tutte le piazze delle principali Borse mondiali. Ma sotto al dito medio di Cattelan, in piazza Mezzanotte, l’unico ricordo del 2001 è il computer attorno a cui un drappello di ragazzi ha allestito una rudimentale redazione: «Per restare connessi con le migliaia di nostri compagni che oggi occupano le piazze di tutto il mondo in questo giorno di lotta», continuano a ripetere dai microfoni.

Migliaia di persone forse a Londra, forse a Wall Street. Forse contando tutti assieme i manifestanti delle 16 piazze occupate oggi nel mondo. Perché di fronte alla Borsa di Milano, la grande occupazione paventata da giorni sui siti antagonisti conterà  cinquanta persone, due tende e una decina di cani. E non pare andare meglio all’estero. Su twitter, i manifestanti di New York segnalano che i media si stanno disinteressando della questione. E chiedono di aumentare gli appelli alla partecipazione sulla rete: «Solo 10 mila tweet in un giorno», lamenta un antibanks blogger, «una miseria finora».

A Milano, intanto, arringa la folla un redivivo Giulietto Chiesa. Il tema è uno dei suoi cavalli di battaglia: «Controinformazione ed economia». Una spolverata alle tesi complottiste dell’11 settembre, un nuovo libro, qualche bandiera che sponsorizza il suo sito e lui è di nuovo in piazza. Ma la folla applaude calorosamente solo quando una giornalista di La7 lo interrompe per un’intervista “urgente”. Allora lui ironizza: «Non vedete? Questa assemblea popolare vale meno di un servizio da tre minuti in prima serata».

E ai microfoni del Tg di Mentana ribadisce il concetto cardine del suo intervento: «Ho letto questa mattina che la Finlandia vuole il Partenone a garanzia del debito greco. Io non mi stupisco, questa idea rappresenta la politica dell’Europa: pur di farti pagare il debito sono pronti a privatizzare ogni cosa». E sulla stessa linea continua l’ex corrispondente da Mosca de La Stampa: «Ogni persona nasce al mondo con 30 mila euro di debito che pendono già sulla sua culla», continua a ragionare Chiesa. E allora, chiede la giornalista, quale sarebbe la soluzione? «Ovvio, dovremmo immediatamente smettere di pagare».

D’altra parte, come informano i cartelli affissi ad ogni angolo di piazza Mezzanotte, più numerosi degli stessi manifestanti: «Questo non è il nostro debito». E allora perché non «farlo saltare»? «Drop the debt», si legge ovunque sui volantini distribuiti. Un tempo questo era lo slogan con cui si ammonivano i politici, rei di inasprire il debito sugli stati africani incapaci di ripagarlo. Un tempo era motto carico di borghese pietà, sbandierato come elemosina. Oggi che siamo noi ad essere insolventi è diventato un grido di protesta.

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