In meno di una settimana sono andati alle urne i cittadini di tre paesi del Golfo Persico: Bahrein, Emirati e Arabia Saudita, mentre l’Oman si prepara al voto per il prossimo 23 ottobre, dopo che il parlamento ha ottenuto poteri legislativi a seguito delle proteste di piazza. Si tratta delle prime elezioni nella regione dall’inizio delle rivoluzioni del 2011: le monarchie della penisola, riuscite a tenere a bada l’effetto domino della “primavera araba”, sembrano ora tentare la strada del “consenso guidato” in sistemi istituzionali dove le cariche che contano davvero sono di natura ereditaria o a nomina diretta del re.
I leader di questi governi autarchici si proclamano favorevoli a riforme in senso democratico, ma insistono sulla gradualità del processo, e di fatto non allentano la presa sugli incarichi governativi di peso. Per Staci Haag, direttore regionale del Golfo per il National Democratic Institute, il voto è comunque un importante trampolino di lancio verso una maggiore democrazia, anche se la transizione nel Golfo Persico tende ad essere molto più lenta rispetto ad altre aree del Medio Oriente.
Bahrein
In Bahrein si andrà al ballottaggio il primo di ottobre, dopo la tornata del 24 settembre, per scegliere 17 dei 40 deputati della Camera dei Rappresentanti, Majlis Al-Nuwab. Per i cittadini è il terzo appuntamento elettorale dal 2002, anno in cui il voto è stato reintrodotto nella costituzione, dopo 27 anni di assenza. Non si tratta di un rinnovo del parlamento, bensì di un tentativo di riempire quei seggi rimasti vuoti dopo le dimissioni degli esponenti del partito d’opposizione Al-Wafaq, che hanno lasciato gli incarichi per protestare contro la repressione delle manifestazioni di piazza.
Il diritto di voto nel paese resta comunque confinato ad una minima parte delle istituzioni: il re infatti eredita la carica, nomina il capo di governo e tutti i 40 membri dell’altro ramo del parlamento, la Majlis Al-Sura, o camera di rappresentanza governativa. In più, nonostante la popolazione sia in gran parte composta da musulmani sciiti, le più alte cariche sono in mano alla minoranza sunnita. Secondo i dati del Cepps, il Consortium for Elections and Political Process Strengthening, solo poco più della metà degli aventi diritto si sono registrati al voto: 187mila persone su 300mila; e questo dato, sommato all’invito sciita al boicottaggio, potrebbe ridurne ulteriormente la presenza nelle istituzioni. Un voto di facciata può non bastare, e la monarchia lo sa, visto che non ha mai cessato le azioni repressive nei confronti di chi, anche in questi giorni, ha continuato a sfilare per le strade della capitale Manama. Alla vigilia delle elezioni, 22 persone sono state arrestate proprio con l’accusa di aver scoraggiato la partecipazione.
Emirati Arabi Uniti
Lo scorso 24 settembre si è votato anche negli Emirati: su 5 milioni di abitanti, solo 129mila sono stati ammessi come elettori del Consiglio Federale Nazionale (Majlis Al-Ittihad Al-Watani), l’organo di rappresentanza delle sette monarchie dell’Unione composto da 40 deputati, suddivisi in 20 eletti dal popolo e 20 nominati dalle autorità. Un grande passo avanti rispetto al 2006, quando solo poco più dell’1% della popolazione aveva potuto esprimere una preferenza. Il dato più rilevante si chiama Shayka Ghanim Al-Ari, prima donna nella storia del paese a ottenere un seggio nella piccola monarchia di Umm Al-Quwayn. Durante la campagna elettorale alcuni candidati hanno preso posizione contro la mancanza di trasparenza nella selezione degli aventi diritto al voto, e organizzato dibattiti sull’importanza delle elezioni. Altri hanno incontrato i cittadini casa per casa.
Per legge negli Emirati ogni candidato può spendere fino a 2 milioni di dirham per promuoversi, circa 540mila dollari, e può raccogliere fondi nelle comunità locali ma non all’estero. Eppure lo stesso Consiglio Nazionale non convince: non solo per le inesattezze nel conteggio delle schede che alcuni candidati hanno già denunciato e per la conquista di gruppi di seggi da parte di troppi membri delle stesse famiglie, ma per gli scarsi poteri decisionali realmente in mano ai suoi membri. Ma d’altra parte, quando i risultati sono stati ratificati, il ministro degli Interni ha ribadito che tutti i ricorsi presentati, legittimi nella forma, non lo erano nella sostanza. Perchè la costituzione non prevede il raggiungimento di un quorum per dichiarare valido il voto.
Arabia Saudita
In Arabia Saudita le urne si sono aperte il 29 settembre, sette giorni dopo la data prevista inizialmente, per votare la metà dei membri dei 285 consigli municipali. Su oltre 28 milioni di abitanti, i cittadini registrati per il voto sono stati 1milone e 200mila. Ma l’attenzione internazionale, più che sul valore del voto per una rappresentanza priva di poteri vincolanti e con il solo diritto di emanare raccomandazioni, si è concentrata sulle dichiarazioni di apertura del re Abdallah nei confronti delle donne, e della possibilità di dotarle di un diritto di elettorato attivo e passivo dal prossimo appuntamento elettorale nel 2015. È la seconda volta che si vota nel paese dove il re è anche capo di governo con carica ereditaria, e il consiglio consultivo unicamerale è a sua nomina diretta per tutti e 150 i membri; e dove le donne, che la scorsa estate hanno manifestato contro il divieto di guidare, non possono portare con sé il proprio documento di identità, né uscire di casa senza un tutore.
Il giorno dopo il discorso del re una 30enne è stata condannata a 10 frustate dal tribunale di Gedda per aver usato l’auto. Il quotidiano Arab News ha raccolto il commento di Muna AbuSulayman, attivista per i diritti umani: «C’è ancora una grande divergenza fra l’idea di concessione di partecipazione politica e la punizione. E dobbiamo ancora lavorare tanto per portare la giustizia in linea con le dichiarazioni dell’esecutivo».
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