Il fuoco purifica e risolve un sacco di problemi. Quando in ballo ci sono i rifiuti, poi, le fiamme sono come manna dal cielo: migliaia di sacchetti si trasformano in un pugno di cenere. Tanti soldi in ballo, cittadini contenti, strade pulite ed energia da vendere. Il partito dell’inceneritore anche in Abruzzo raccoglie sempre più adepti e ha due assi nella manica. Il primo si chiama Gianni Chiodi, governatore dell’Abruzzo e principale sponsor, il secondo si chiama “emergenza”, quel pasticcio attorno allo smaltimento dei rifiuti che da vent’anni continua ad arricchire i soliti e a vessare gli abruzzesi, che già pagano tariffe rifiuti tra le più alte d’Italia. Anche se la battaglia è dura, visto che da queste parti il termovalorizzatore è vietato per legge. Ma le leggi si possono sempre cambiare. Nel frattempo in questo sistema ha messo il naso la magistratura.
L’Abruzzo ha sette discariche. Tre sono sono ormai piene fino all’orlo. Altre tre si riempiranno nel giro di pochi mesi. Se non cambierà qualcosa nel frattempo, presto la regione disporrà di un solo impianto. Quello di Cerratina, in provincia di Chieti, che dovrebbe accogliere i rifiuti di 1,3 milioni di abitanti.
Ma in due province l’emergenza è già realtà. Ormai da 24 mesi Teramo porta tutto fuori provincia e anche fuori dai confini regionali: in Molise, Emilia Romagna e Umbria con costi che lievitano fino a raddoppiare. Pescara potrebbe presto unirsi al turismo dell’immondizia, visto che la sua discarica ha i mesi contati.
Le soluzioni tampone non mancano. Il problema è che finora hanno vissuto solo sulla carta. Sono già state autorizzate quattro nuove discariche, due in provincia de L’Aquila e due in provincia di Teramo. Ma non sono neanche state realizzate. Ce n’è anche una quinta, sempre nel Teramano. Si chiama Irgine: è stata autorizzata e costruita ma non è mai entrata in funzione. (Vedi fotogalleria).
Il quadro sembra lo stesso di 17 anni fa, quando il Governo aveva già deciso di commissariare Abruzzo e Campania per il disastro rifiuti. Tra discariche abusive, altre in esaurimento e impianti quasi finiti e mai ultimati, ne era scaturita un’emergenza che arricchiva a dismisura pochi monopolisti. Perché in emergenza, si sa, tutto è lecito. Al contrario della Campania, l’Abruzzo evitò il commissariamento per miracolo. Tra il 1994 e il 2011 vi sono molte analogie. Solo le soluzioni sembrano differenti. Ora si parla di inceneritori.
È impossibile parlare di rifiuti in Abruzzo senza imbattersi in Rodolfo Valentino Di Zio e nella sua Deco, l’impresa di famiglia. Il re Mida dei rifiuti, 69 anni, gestisce le tre discariche più grandi della regione. Due direttamente, una attraverso la sua partecipata Tecnoambiente Srl. L’altro gioiello di famiglia è il Tmb di Casoni (in provincia di Chieti), cioè l’impianto per separare i rifiuti con trattamento meccanico-biologico. Una macchina da soldi: a Casoni arrivano ogni giorno i compattatori di sei consorzi comunali. Ma il cuore del potere della famiglia Di Zio è nelle società miste pubblico-private che gestiscono il ciclo dei rifiuti per conto dei comuni abruzzesi. O direttamente o attraverso società satellite il gruppo Deco è il socio privato di cinque aziende chiave:
– Ecologica Sangro, che gestisce i rifiuti per il consorzio Ecolan (Lanciano), per un totale di 53 comuni e 150.000 abitanti.
– San Giovanni Servizi, che opera per il comune di S.Giovanni Teatino, in provincia di Chieti
– EcoEmme di Montesilvano, la quintà città abruzzese, vicino a Pescara (50.000 abitanti).
– Ecologica srl, la partecipazione più importante di Deco. L’azienda gestisce i rifiuti di venti comuni per conto di Ambiente Spa. Tra questi anche Pescara.
– Sogesa spa: braccio operativo di Cirsu, consorzio di comuni del Teramano. Da qui però il gruppo Deco uscirà presto. La gestione disastrosa di Sogesa, a un passo dal fallimento, porterà alla liquidazione del socio privato e la società passerà al 100 per cento in mani pubbliche.
In tre di queste società (Sogesa, EcoEmme ed Ecologica) Di Zio è socio senza aver vinto una regolare gara pubblica di appalto. Il trucco è quello del subentro: per eludere l’obbligo di gara basta rilevare le quote di azionisti precedenti.
L’imprenditore abruzzese è un grande amico dei politici. Nel corso degli anni ha staccato assegni per finanziamenti (leciti e trasparenti) a tutti i partiti, con cifre che hanno toccato anche punte di 20-25mila euro: da Alleanza Nazionale al successivo Pdl, passando per il Pd senza negare qualche spicciolo anche a Rifondazione Comunista o al “circolo Lenin” di Tocco da Casauria.
Almeno due grossi procedimenti giudiziari coinvolgono non solo la Deco, ma tutta la rete di rapporti creati dalla famiglia Di Zio in vent’anni di monopolio. Carte che descrivono il metodo con cui è stata guidata per anni la macchina dei rifiuti in Abruzzo. Due indagini condotte dai pm pescaresi Anna Rita Mantini e Gennaro Varone.
L’affare più grosso porta a Teramo e alla costruzione di un inceneritore, affare stimato dagli inquirenti in 15 milioni di euro. Un’inchiesta che ha scosso i vertici del Pdl abruzzese. Nello scorso aprile il pm Mantini ha chiesto il rinvio a giudizio per Rodolfo Valentino Di Zio e per l’ormai ex assessore alla Sanità (ma de facto assessore ombra ai rifiuti) Lanfranco Venturoni. Impigliati nella rete delle intercettazioni anche due senatori della Repubblica, Fabrizio Di Stefano e Paolo Tancredi. Secondo l’accusa ognuno faceva la sua parte per affidare la costruzione di un termovalorizzatore al patron della Deco. Schivando la gara d’appalto, stornando soldi pubblici per deviarli verso le casse di Di Zio. E togliendo di mezzo fastidiosi lacciuoli legislativi.
Già, perché secondo il piano rifiuti approvato nel 2007 dalla giunta di Ottaviano Del Turco in Abruzzo non si può costruire un inceneritore senza che prima sia stata raggiunta la quota del 40% di raccolta differenziata. Obiettivo lontano, visto che l’Abruzzo è ancora al 28%. La clausola oggi vacilla sotto un fuoco incrociato. Intercettato al telefono, Di Zio appare molto preoccupato e lavora per farla cancellare. Per ironia della sorte il monopolista ha il miglior alleato possibile: il presidente di Regione. Tra gli obiettivi del suo mandato infatti, Gianni Chiodi ha previsto l’abolizione della soglia “in modo da progettare e realizzare immediatamente un piano di termovalorizzazione con uno o più impianti sul territorio regionale”. Gianni Chiodi era al corrente delle manovre di Di Zio e del suo assessore Venturoni. Perché era il suo ex assessore all’Ambiente Daniela Stati a parlargliene al telefono. Il governatore non è stato però indagato e la posizione della Stati è stata stralciata dall’inchiesta.
Eppure proprio Teramo è l’esempio di come la differenziata possa funzionare bene anche in Abruzzo. In pochi mesi, dopo l’avvio della raccolta porta a porta in città, il capoluogo di provincia è arrivato a sfiorare il 70 per cento di rifiuti differenziati ritirando il premio di comune riciclone 2011.
Il secondo filone d’inchiesta è l’affaire Ecoemme, la società di Montesilvano dove Deco è il socio privato senza gara d’appalto. L’accusa, per tutti, amministratori e tecnici, è quella di aver creato un regime di monopolio a favore della famiglia Di Zio. Non si salva nessuno. Destra e sinistra, sono tutti coinvolti. A Montesilvano gli indagati sono nove. Assieme ai reali della monnezza abruzzese ci sono anche il sindaco Pasquale Cordoma; Lorenzo Sospiri, consigliere regionale e comunale del Pdl; Antonello De Vico, sindaco di Farindola e coordinatore provinciale Udc e Massimo Sfamurri, del Pd, presidente di un’altra partecipata pubblico-privata, la Ambiente spa nella provincia di Pescara.
Parafrasando lo slogan di una vecchia pubblicità, dove c’è Di Zio c’è un’inchiesta. Anche quando il patron di Deco non è coinvolto direttamente. Perché sembra che tutti facciano a gara per compiacerlo. Succede a Lanciano, dove la Procura indaga per abuso d’ufficio su Franco Gerardini. Non un tecnico qualunque, ma il numero uno del Servizio gestione rifiuti in Regione, accusato di aver favorito Deco e aver messo i bastoni tra le ruote a un suo potenziale concorrente. Gerardini (ex sindaco di Giulianova con il Pds) è diventato il numero uno dell’Sgr con Del Turco ed è stato riconfermato da Gianni Chiodi.
Ma sull’immondizia abruzzese incombe anche un’altra ombra. Quella della mafia. Da due anni Giancarlo Falconi, giornalista teramano e blogger “ficcanaso”, denuncia il rischio di infiltrazioni in TeAm (la spa che gestisce i rifiuti teramani) attraverso il socio privato Enerambiente. Sul suo sito “i due punti”, attraverso visure societarie e verbali d’assemblea Falconi è riuscito a dimostrare come l’ex amministratore delegato di Enerambiente, Stefano Gavioli, da anni intrattenga rapporti d’affari con Angelo Zito. Zito fa il commercialista in Lussemburgo. In passato ha gestito i soldi del clan Graviano di Palermo, tra i responsabili riconosciuti delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Per questa accusa Zito ha chiesto nel 2000 il patteggiamento per un anno e quattro mesi di pena.
Stefano Gavioli è un prezzemolo dei rifiuti. La sua Enerambiente lavora con diversi consorzi in tutta Italia. Poi la prefettura di Venezia gli ha rotto le uova nel paniere. Inviando una informativa atipica antimafia a tutti i comuni che le hanno affidato la gestione del pattume. Ed è così che Marano di Napoli e Rosignano (Livorno) lo hanno messo alla porta.
Eppure, nel silenzio generale della politica e dei giornali sulle denunce del blogger Falconi, il rapporto tra il comune di Teramo e il gruppo Gavioli non si è mai interrotto. Neanche dopo la tegola di agosto, quando un’inchiesta della Procura di Catanzaro ha portato al sequestro dei beni della Gavioli spa e all’arresto dell’ex ad Giovanni Faggiano.