MADRID – «Vogliamo votare la nostra Costituzione». «No alla riforma della Costituzione, si al referendum». Anche in Spagna si mobilitano i sindacati, dai maggiori (Ccoo, Commissioni Operaie e Ugt, Unione generale dei lavoratori) ad altre venti sigle sindacali e associazioni di lavoratori, tutti uniti in una manifestazione di protesta per dire no alla riforma Costituzionale che limita il deficit pubblico, passata alla Camera con un procedimento d’urgenza quasi senza un dibattito parlamentare e soprattutto senza un referendum.
In 50mila secondo le stime hanno sfilato per le strade di Madrid e di altre 30 città spagnole, indignados compresi, che unitisi alla fine nella loro Puerta del Sol hanno ringraziato sarcasticamente i sindacati per la loro presenza. Un partecipazione non elevatissima se si pensa che la Spagna ha 47 milioni di abitanti. Non è una novità per la Spagna di Zapatero la polemica contro i difensori dei diritti dei lavoratori, accusati di essere stati troppo accondiscendenti in tutti questi anni con il governo socialista. Ma forse quella che i segretari stessi hanno definito «una rottura con i patti di Toledo del 1997» (in cui si firmarono le condizioni generali e da allora imprescindibili per i contratti di lavoro nazionali e le pensioni d’anzianità), come già avvenne l’anno scorso in occasione della riforma del lavoro, hanno spronato anche i sindacati a scendere in piazza.
Alla testa del corteo che in pochi minuti ha raggiunto l’ex accampamento degli Indignados a Puerta del Sol, Ignacio Fernandez Toxo, segretario del Ccoo e Candido Mendez dell’Ugt che chiedono di aggiungere un’urna in più alle elezioni nazionali del 20 novembre perché siano i cittadini spagnoli a decidere se cambiare o no la Carta Costituzionale. Il nuovo articolo 135 della Carta, infatti, non è un cambio da poco, visto che mette al centro della stabilità dello stato non quei patti che ricordano i sindacati, ma il tetto del deficit, e lo fa con un procedimento d’urgenza, secondo un accordo tra il Partito Popolare e il Partito socialista al governo che addirittura travalica l’astio della campagna elettorale per le elezioni nazionali, togliendo di fatto il diritto ai cittadini di approvare le regole costituzionali.
A queste considerazioni politiche si sommano i dati che i segretari dei due maggiori sindacati snocciolano prima che inizi la protesta e che proverebbero l’inutilità della riforma costituzionale. Candido Mendez così ce lo spiega prima che il corteo parta alla volta di Sol: «Questa riforma costituzionale fatta in maniera così precipitata pretende di essere l’unico elemento in grado di tranquillizzare i mercati finanziari, e per questo viene approvata ad una velocità inusitata. Ma i politici devono riconoscere che nessuna delle riforme fatte finora è servita a questo scopo. Anzi, non solo non sono servite a questo ma non hanno ottenuto neanche l’effetto di dare una stabilità finanziaria e un futuro al paese», spiega Mendez che aggiunge che «ci sono motivi sufficienti perché i senatori non si uniscano alla decisione presa dai deputati. Credo che in ogni caso si dovrebbe indire un referendum, perché questo è un tema troppo delicato per non coinvolgere i cittadini» sottolinea il segretario dell’Ugt «non è una riforma qualsiasi. Al contrario cambiando un articolo della Costituzione si vuole cambiare tutta la base su cui poggia la Costituzione spagnola: si alterano le relazioni tra il governo della nazione e le comunità autonome, si vuole dare priorità alla riduzione della spesa a spese degli obiettivi costituzionali come il diritto alla sanità, all’educazione, e l’obiettivo di ampliare il mercato del lavoro. La questione preoccupa molto il popolo spagnolo» avverte Mendez «e nessuno si nasconda dietro la guerra delle cifre, e minimizzi la gravità della situazione, o della decisione che si è deciso di adottare, perché il costo politico e sociale che adesso non possiamo quantificare, in non molto tempo darà i suoi frutti e se ne vedranno gli effetti su tutti i fronti, soprattutto su quello democratico».
No alla «riforma express», dice Ignacio Fernandez Toxo a capo del Ccoo. «Non è necessaria per lo scopo che si vuole raggiungere, vedi la caduta della borsa di oggi». E Toxo ricorda che «quando si iniziò a fare le riforme a maggio dell’anno scorso, provocando una confusione sociale in Spagna con conseguente sciopero generale, lo spread stava a 164 punti», e che «oggi siamo arrivati oggi a 325 dopo aver toccato i 400».
Insomma, il problema dell’economia spagnola secondo i sindacati «non è costituzionalizzare il controllo dei conti pubblici, togliendo in questo modo ogni margine di manovra per fare davvero qualcosa per il lavoro o per le riforme sociali». L’unico risultato che si può raggiungere così «sono effetti disastrosi soprattutto per la democrazia, per quel patto raggiunto con grande sforzo nel 1977 e che ora al contrario si vuole rompere ideologizzando una forzatura della Costituzione». Ma la preoccupazione più grande che sembra stare dietro la decisione delle sigle sindacali di non indire uno sciopero generale è che cambiando la Carta senza che siano i cittadini spagnoli a deciderlo «si aprirebbe un’altra crisi che si unirebbe a quelle già esistenti, quella economica e quella della disoccupazione accentuando così la crisi sociale» come spiega Toxo.
Cosa che non soltanto la Spagna debilitata economicamente non si potrebbe permettere, ma che sarebbe una contraddizione in termini trattandosi proprio della Spagna di Zapatero. «Non si predichi in un modo agendo in un altro, altrimenti questa più che democrazia potrebbe sembrare un despotismo» conclude il segretario del Ccoo.