Mancano otto mesi alla conclusione del mandato da presidente di Confindustria, e di tornare in azienda – il colosso siderurgico che il padre Steno ha fondato alla fine degli anni ’50 – Emma Marcegaglia non sembra avere molta voglia. Quelli erano anni di miracolo economico, l’Europa unita muoveva i primi passi, e al vertice della lobby degli industriali c’era un industriale del calibro di Angelo Costa. Anni ruspanti e gloriosi.
Oggi invece corrono tempi tristissimi: fra declino economico, degrado politico e sfiducia degli investitori verso il debito pubblico dell’Italia, mentre tutto il Vecchio continente rischia di affondare nelle sabbie mobili di una crisi bancaria come non se ne vedevano da ottant’anni. Un programma vastissimo da affrontare per chi, ed è il caso della Marcegaglia, si è appena proposta di «salvare l’Italia». Sul tavolo, peraltro, ci sarebbero anche altre questioni un po’ più vicine alla ragione fondativa della Condindustria, ma ugualmente irrisolte da molto tempo, come l’incapacità di riuscire a rappresentare davvero gli interessi delle imprese italiane. Anche perché andrebbe prima chiarito di quali imprese si parla: se di quelle che vivono e muoiono di e sul mercato, o di quelle che prosperano grazie alla benevolenza della politica, esercitata attraverso la spesa pubblica o le tariffe amministrate. Nei corridoi di Viale dell’Astronomia, la sede romana della lobby guidata dalla Marcegaglia, se ne trovano dell’uno e sempre più del secondo tipo.
Il gruppo Marcegaglia, va detto, appartiene alla prima categoria, e però negli ultimi anni non ha saputo resistere alle lusinghe dei business sussidiati dai contributi pubblici (il fotovoltaico) o che si interfacciano con il pubblico (gestione rifiuti e termovalorizzatori in Puglia). È indubbio, comunque, che l’attuale presidente di Confindustria sia espressione di una cultura d’impresa meno fumosa di quella che è stata sbandierata, per esempio, da Luca Cordero di Montezemolo, suo predecessore in Viale dell’Astronomia.
Così ‘Emma’ è stata capace di strappi storici (l’accordo-quadro per la riforma del modello contrattuale con Cisl e Uil, da cui la Cgil di Guglielmo Epifani) ma anche di altrettanto storiche ricuciture. L’accordo del 28 giugno che riforma il sistema di relazioni industriali in materia di contratti e rappresentanza aziendali – con la partecipazione della Cgil nel frattempo passata sotto la guida di Susanna Camusso – è un merito della Confindustria targata Marcegaglia, anche se la scossa che ha portato a questo risultato è stato il braccio di ferro voluto da Sergio Marchionne nello stabilimento Fiat di Pomigliano.
Ancora pochi giorni fa, quando è stato ratificato definitivamente l’accordo interconfederale, Emma ha scelto la pace sindacale anziché insistere sull’articolo 8 della manovra di Ferragosto, che potenzialmente apre una breccia sulle tutele legali in materia di licenziamento. Una scelta saggia in un momento di tensione, spiegano fonti vicine alla Marcegaglia, anche per non compromettere i risultati fin qui raggiunti. A destra, però, l’hanno presa come un tradimento e soprattutto come un ulteriore indizio della volontà di scendere nell’agone politico. Il premier Silvio Berlusconi, scrive stamattina Repubblica, sarebbe furente: «La presidentessa è a fine mandato. Pensa al suo futuro in politica e di poter diventare il leader che il centrosinistra sta cercando». Secondo il Giornale, «è pronto per lei un posticino di governo nel futuro». Certo è, annota in tanti tra coloro che seguono da molto vicino il cammino del sindacato degli imprenditori, “che per un biennio pieno Emma è stata ferma e buona. Ha espresso anzi una moderna forma di collateralismo, sostenendo di fatto tutte le scelte del governo, anche quelle che facevano male alle imprese”. Certo, il cambiamento di umore nella sua base resta un punto forte per capire il cambio di rotta della Marcegaglia.
Davvero la presidente, 46 anni, pensa alla politica? Gli elementi per sospettarlo ci sarebbero tutti. Da questa estate è stato un crescendo. Rotto l’incanto degli imprenditori con il governo e archiviati i panegirici a Giulio Tremonti, «il ministro che ha tenuto fermo il timone italiano nella tempesta della crisi» – che erano stati la cifra politica del Sole24Ore – Emma è passata al contrattacco. Scossa dal terremoto finanziario estivo, la base degli industriali ha chiesto una parola chiara e forte. E la Marcegaglia non ha potuto sottrarsi. I toni sono diventati più aspri. Dall’intervista rilasciata a metà agosto a Roberto Napoletano, direttore del Sole fresco di nomina, alle dichiarazioni di questi giorni sembra trascorsa un’epoca.
«Il tempo è scaduto, il governo agisca o avrà responsabilità gravissime», è stato l’ultimo avvertimento, accompagnato dalla richiesta di dimissioni firmata da Napoletano. Ieri è arrivato il Manifesto in cinque punti «per salvare l’Italia»: riforma delle pensioni; abbassare il debito e ridurre ingerenza del pubblico nell’economia; vendita del patrimonio pubblico; privatizzazioni e liberalizzazioni; infrastrutture. Obiettivi che per la verità sono da sempre nei proclami di Berlusconi e Tremonti, ma che sono sempre rimasti inattuati.
Eppure dedurre da questo allarme per il futuro del paese, che in questi giorni le imprese stanno sperimentando come stretta creditizia, la voglia di “scendere in campo”, nello stesso campo in cui gioca il centrodestra, è forse prematuro. Anche perché c’è già un altro esponente confindustriale, Montezemolo, che sta cercando spazi d’azione politica. Il fatto che sia prematuro non vuol dire, però, che Emma non abbia accarezzato l’idea, magari mettendola nel cassetto. Per ora. Le proteste e l’insoddisfazione per quello che doveva essere il “governo degli imprenditori” sono ormai diffusi in tutto il Nord, soprattutto nel Nordest, dove molti imprenditori e responsabili locali delle associazioni territoriali hanno mandato un messaggio inequivocabile ai vertici di Viale dell’Astronomia: «Aspettiamo un tuo cenno per scendere in piazza».
L’impatto politico e d’immagine di una simile protesta sarebbe devastante per Berlusconi e per il suo governo. Emma, comunque, è cauta. Non avendo ancora deciso sul da farsi, vuole evitare di tirare la volata a Montezemolo e alla sua Italia Futura. Del quale, per la verità, l’imprenditore medio del Nord – fatta forse eccezione per quelli di stretta osservanza Fiat – non si fida molto. Passare dalla protesta a una leadership politica non è semplice, e non è detto che sia nelle corde del primo presidente donna nella storia di Confindustria. L’idea che stia pensando a costruire un partito degli imprenditori viene liquidata come “un mix fra chiacchiere dei giornali e livore di politici che temono di essere scavalcati”.
Nell’agenda Marcegaglia, infine, c’è anche il tema della successione. Per ora l’unico nome forte in campo è quello dell’industriale della chimica Giorgio Squinzi (gruppo Mapei), mentre sembra aver perso terreno la candidatura di Gianfelice Rocca, lanciata da Alberto Bombassei (Brembo). Né è mai davvero decollata quello di Aurelio Regina, caro a Montezemolo. A meno che cada il governo, nel qual caso tutto verrebbe rimesso in discussione e l’asse Abete-Della Valle-Montezemolo potrebbe ritentare la partita. Per Emma, invece, se non cederà alle sirene della politica, potrebbe spalancarsi la strada che porta alla poltrona di presidente del gruppo Sole24ore.