L’agente MormoraLa prima di Scola a Milano: “La crisi più grave è quella della fede”

La prima di Scola a Milano: “La crisi più grave è quella della fede”

MILANO – Ha ragione il giovane parroco di Santa Maria del Paradiso, parrocchia a due passi da Crocetta: ci metteranno un po’ ad abituarsi al cambiamento. Quand’è distratto e va a memoria, gli scappa ancora: «preghiamo per il nostro vescovo Dionigi», tant’è forte l’abitudine dopo anni di Tettamanzi. Quasi una storia a sé (da oggi ufficialmente conclusa, sebbene l’affetto per l’anziano vescovo sia ancora vivo e convinto). L’insediamento di Scola – nella giornata di domenica – dura quattro ore, fino alle 20, quando il nuovo Arcivescovo saluterà la piazza affidandosi, dal sagrato del Duomo, alla “Madunina”, immerso in una plateale standig ovation che commuove i fedeli, ora che la piazza si accende di luci artificiali (ed i milanesi fanno ritorno nelle proprie abitazioni, qualcuno di loro ha portato con sé la seggiola per godersi comodo la serata). Poco prima lo avevano salutato le istituzioni, dal bacio mimato di Lupi al baciamano con inchino di Formigoni alla urbana stretta di mano di Pisapia, Scola aveva abbracciato i ragazzini in sedia a rotelle ed era corso veloce lungo la navata centrale, mandando in tilt il cerimoniale.

Alle quattro del pomeriggio, l’appuntamento è alla basilica di Sant’Eustorgio: antichissima porta della città per ogni nuovo arcivescovo, accesso alla metropoli ambrosiana. Non proprio un bagno di folla, ma le tre navate sono gremite nonostante il sorprendente caldo fuori stagione. Pochi poliziotti, stipati nelle vie laterali ed in piazza XXIV Maggio, tantissimi gli uomini della security coordinati dalla Diocesi. Il nuovo vescovo arriva a Milano da Malgrate, paesino in provincia di Lecco che gli ha dato i natali 70 anni fa. Dalla chiesa dove fu consacrato nella comunità dei battezzati nel 1941 è partito un pellegrinaggio che ha previsto anche una visita al cimitero del paese dove riposano Regina, la madre casalinga, e Carlo, il papà camionista e socialista. In corso di Porta Ticinese stanziano, a decine, Audi scure. Lo accolgono il sindaco, il governatore, il presidente della provincia ed anche i ragazzi dell’Azione Cattolica (un’apertura maliziosa, secondo i dietrologi, considerata la vicinanza del vescovo a CL e la nota rivalità trai due grandi movimenti cristiani). Anche Silvio Berlusconi in un messaggio scritto ha parlato di «arricchimento per tutta la comunità milanese». Secondo la tradizione millenaria, Scola offre alla Basilica il “rocchetto”, la veste liturgica di lino bianco che indossa. Contestualmente, riceve in dono la capsella, un’urna con la terra del campo santo dell’antica chiesa, ove riposano le spoglie dei primi martiri cristiani ambrosiani. Un rito che si ripete da secoli, immutato nelle forme.

Scola legge un’omelia per circa dieci minuti: «Con commozione sincera, mi dico lieto di essere qui. In mezzo ai catecumeni che cercano l’incontro personale con Cristo. Sono felice della vostra presenza che testimonia in maniera visiva, evidente la partecipazione a questo evento di passaggio. Milano è terra di mezzo, crocevia di incontro, città sempre accogliente. Prego per chi ci vive e – sottolinea – per quanti vengono ad abitarci. Tutti siamo chiamati da subito a dare testimonianza del Regno di Dio». Il coro esegue: «Cantate inni, cantate con gioia» e gli addetti formano un cordone per contenere la folla, che – nel frattempo – è cresciuta di misura. La piazza antistante l’antico luogo di culto è gremita, parte l’applauso sostenuto e scandito che accompagna la processione lungo la navata centrale. «Magnificat, anima mea», Scola prosegue in auto, a bordo di una Volkswagen grigia, praticamente seminando le vetture della questura. Corre per via Torino, tra l’incredulità di turisti e coppie in giro per negozi. Il Duomo è praticamente saturo in ogni spazio, musica solenne e profluvi d’incenso. Centinaia di prelati e truppe di giornalisti, tante le autorità militari e di altre confessioni religiose, poi i parenti sulla destra e mezzo consiglio comunale sulla sinistra.

In piazza un sole caldo acceca i fedeli costretti a seguire il rito dai maxischermi posti ai due lati del Duomo. Il rito è solenne: prevede la lettura della missiva apostolica con cui Papa Benedetto XVI augura a Scola buon lavoro e lo ringrazia per quanto fatto a Venezia. In piazza scatta l’applauso, in Duomo – vista la compostezza e il rigore della cerimonia – è fin qui impossibile emozionarsi. «Vedrai come sarà pesante il pastorale di San Carlo», Tettamanzi cita Martini al passaggio di consegne. Prosegue: «è il bastone a portare il Vescovo a Milano, non viceversa». Scola è assiso sul trono episcopale, bacia la croce capitolare di San Carlo, in silenzio ascolta le parole di benvenuto espunte dal sinodo diocesano («lo stuolo di guglie oranti e soprattutto viventi la accoglie, carissimo fratello e padre»). Poi un “Gloria” magistrale eseguito dall’orchestra, quasi cavalleresco o medievale. Letture del profeta Geremia ed agli Ebrei (precedentemente, in Sant’Eustorgio, si era proclamata la parabola del “Regno dei Cieli simile a un tesoro nascosto in un campo”). Si allude ad un «discendente che sieda sul trono d’Israele» e della ricerca della città «non di quella stabile ma di quella futura».

«Il vescovo è preso a servizio del popolo santo di Dio», così comincia l’omelia di Scola. «Cristo è vivente ed amato. Sommo ed eterno sacerdote». Cita anche Cesare Pavese a proposito degli uomini sopraffatti dal “mestiere di vivere”. «Costoro non vedono la ‘convenienza’ del cristianesimo». Rievoca l’arcivescovo Montini, poi divenuto Paolo VI ed il suo “Venite ed ascoltate”. «“Se non vi abbiamo compresi, se non siamo stati capaci di ascoltarvi come si doveva, oggi vi invitiamo: ‘Venite ed ascoltate’”. Tuttavia questo messaggio presuppone da parte dei cristiani un ‘andare’, un rendersi vicini agli uomini e alle donne in tutti gli ambiti della loro esistenza. Gesù stesso poté dire ai due discepoli del Battista che gli chiedevano di diventare suoi familiari “Venite e vedrete”, perché con la Sua missione andava verso l’uomo concreto, per condividerne in tutto la condizione ed il bisogno. L’unico nostro intento è far trasparire Cristo luce delle genti sul volto della Chiesa». Ma «la Chiesa – prosegue – non prenda a pretesto il travaglio proprio della convulsa transizione in cui siamo immersi, che ha nel male oscuro della cosiddetta crisi economica, finanziaria e politica la sua palese espressione», per non confrontarsi con la crisi più grave, quella dello scollamento tra la fede e la vita, che ha «condotto al massiccio abbandono della pratica cristiana».

Richiama la seconda lettura e parla di libertà: «la differenza tra il saggio e lo stolto si gioca su questa questione: ascoltare e mettere in pratica». Invita tutti gli astanti al Settimo Incontro Mondiale delle Famiglie cui parteciperà anche Ratzinger e pone il nucleo domestico al centro del suo discorso che qualcuno già definisce “programmatico”, specie quando parla di «una riflessione sul significato dell’uomo-donna, del matrimonio, della famiglia e della vita. Che, insieme a lavoro e riposo (la festa), all’edificazione di una città giusta, la condivisione magnanima e perciò equilibrata delle fragilità, delle forme di emarginazione, del travaglio dell’immigrazione descrivono l’esperienza comune di ogni uomo». Incoraggia la «vita associata importante in ogni paese ed in particolare nel nostro». «Cristo ha bisogno di testimoni», spiega ed aggiunge: «Obbedite ai vostri capi, state loro sottomessi. Sembrano ostiche queste parole, ma lasciano spazio alla libertà. Ho bisogno di voi, di tutti voi, per svolgere, nella gioia e non nel lamento, questo gravoso compito di cui dovrò render conto. Faccio mie parole del Papa: “l’Arcivescovo viene da Milano e tutto il suo cuore sarà per Milano”. Non dimenticate che la «la gioia del vostro pastore è un “vantaggio per voi”». La roccia su cui il saggio costruisce è il Duomo, la “Madunina” che svetta sulla città ed è Assunta nella gloria poiché intercede per noi come la mamma coi suoi bimbi».

Conclude accorato: «Vi scongiuro, sosteniamoci lungo questo cammino». Niente applausi all’interno del Duomo, scroscianti quelli in piazza (i dati ufficiali parlano di 8 mima fedeli all’interno e 15 mila all’esterno). Si prosegue con le litanie, nella preghiera dei fedeli si ricordano quanti sono «costretti a lasciare i loro paesi in cerca di migliori condizioni di vita» e si prega «per la società civile e per chi ha responsabilità politiche ed amministrative». Il cardinale ha scelto per il suo stemma l’immagine di una nave (il cui albero maestro rappresenta Cristo Crocifisso) guidata da una stella, simbolo della Madonna oltre che segno cristologico – spiega l’araldica. Il motto del suo apostolato sarà “Sufficit gratia tua”. In alto, il logo della città miniaturizzato, prova della volontà del nuovo vescovo di inserirsi nel tessuto cittadino.

Monsignor Marco Navoni spiega che «la croce rossa su campo argento ha la sua origine nella nascita del libero comune di epoca medievale, nella lotta per le libertà civili, politiche e religiose di Milano: momenti difficili (inevitabile il richiamo all’attualità, ndr) in cui grandi vescovi seppero unificare l’intera società». Nel corso della benedizione eucaristica le campane del Duomo suonano a festa, nel frattempo l’addetto stampa della diocesi smania al cellulare per chiarire il messaggio del vescovo e corregge il titolo di un giornale: «Metti “Connettiamo fede e vita”, “La Chiesa torni tra la gente” è troppo forte e Scola non può averlo detto».

Ringrazia poi Papa Benedetto XVI, i fedeli e le autorità delle zone d’Italia che lo hanno ospitato (Lecco, Grosseto, Venezia ed ora Milano), evoca don Giussani «vero genio della fede», poi scherza: «pensavo si sudasse di più nella Venezia di terra e di mare, ma sono stato smentito». Quando ringrazia «sinceramente» i Milanesi, per la prima volta, scatta l’applauso anche in Cattedrale. Ricorda un aneddoto singolare sulla sua prima visita a Milano: i capannelli di cittadini che in piazza discutevano animosamente, segno della «democrazia che nasce dal basso e mette in relazione una città plurale». Conclude con un augurio rivolto alla città «illuminata, laboriosa, ospitale: Milano non perdere di vista Dio!». 

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