Il governo Berlusconi ci riprova. Proprio come un anno fa l’esecutivo sta tentando di introdurre la legge che vieterebbe ai giornali di pubblicare intercettazioni telefoniche e verbali di interrogatorio. Ma il famigerato ddl Alfano ne ha anche per il web. Il comma 29 prevede, infatti l’obbligo di pubblicare la rettifica per tutti i “siti informatici”, «entro 48 ore dalla richiesta con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono».
A provocare la sollevazione popolare in rete, però, è soprattutto l’entità della multa prevista per chi sgarrerà: fino a 12.000 euro. Una cifra irrisoria per un grande gruppo editoriale, ma un’enormità per un blogger che scrive a tempo perso. E secondo l’avvocato Fulvio Sarzana, esperto di diritto dell’informatica, la legge che presto verrà discussa in Parlamento «è talmente vaga che potrebbe avere l’effetto opposto a quella che si prefigge». Mirare a tutti per non colpire nessuno. Del resto, secondo l’opinione di Sarzana il testo ha più un effetto dissuasivo. «Anche se un blogger ritiene di aver ragione, chi avrà voglia di pagare 12000 euro o di iniziare un costoso procedimento giudiziario? Meglio pubblicare la rettifica senza dannarsi troppo».
I punti deboli del testo più bersagliato del momento sono molti. A cominciare dall’ambito di applicazione. La legge parla di «gestori di siti informatici». Una categoria nella quale potrebbe rientrare di tutto. Anche i social network, persino i commenti (spesso piuttosto coloriti) che i lettori lasciano in calce alle notizie pubblicate su una testata giornalista online. Secondo alcuni addetti ai lavori non c’è da preoccuparsi troppo perché il ddl Alfano andrebbe a modificare parte della legge sulla stampa del 1948. Quindi sarà, nel caso, solo un problema dei giornalisti di professione? Il nostro esperto alza le mani: «Impossibile dirlo, il testo è troppo vago. L’impressione è che, se da una parte si vieta a un giornale di pubblicare le intercettazioni, il governo voglia anche impedire al singolo giornalista di aprire un blog e divulgare in rete ciò che sulla carta stampata non ha potuto rendere noto».
E il cittadino offeso da un articolo, in che modo potrà chiedere la rettifica? La risposta è: in qualsiasi modo. Anche via mail. Non necessariamente la posta certificata. Anche in questo caso il ddl ammazza-blog è nebbioso. Cosa succederà se la richiesta di rettifica finirà, senza che ce ne accorgiamo, nello spam della nostra casella email? «Intanto pagheremo i 12.000 euro di multa. Dopo, in tribunale, starà a noi dimostrare davanti a un giudice, che magari non ha mai aperto una casella di posta elettronica in vita sua, che la colpa era del filtro anti-spam”» spiega l’avvocato.
Insomma, il ddl ammazza-blog applica al mondo del web un principio che finora è valso solo per la stampa. Ma su internet non esistono “stampatori”, così come non servono né editori né direttori responsabili per divulgare notizie e commenti. Bastano un computer e un filo di rame.
Tanto rumore per nulla? In parte, sì. Anche perché la Corte di Cassazione sta continuando ad applicare una distinzione molto chiara: una cosa sono i blog, altro è la stampa. Se la legge dovesse passare, quindi, potrebbe essere la stessa Cassazione a renderla lettera morta. A quel punto, mancherebbe solo un blogger disposto a pagare 12.000 euro di multa più altre centinaia di spese legali, pur di creare il precedente. Chi si offre?