La Ue embarga Damasco, ma senza Pechino è inutile

La Ue embarga Damasco, ma senza Pechino è inutile

L’ultimo messaggio del regime di Damasco contro le sanzioni imposte dalla comunità internazionale è affidato al ministro della salute del governo Assad. Attraverso l’agenzia di informazione di stato Sana, Wael Al- Halqi ha fatto sapere che qualsiasi blocco economico non avrà conseguenze su sistema sanitario perché il paese è provvisto di 124 ospedali e 1890 centri medici in grado di andare avanti per oltre un anno con le proprie scorte, mentre la produzione nazionale di farmaci può coprire il 92% delle necessità mediche.

L’intenzione dell’establishment siriano è quella di dimostrare stabilità  nonostante le pressioni di Unione Europea e Stati Uniti. Non a caso proprio questa settimana sono partiti anche gli incontri preliminari per la cosiddetta fase di dialogo nazionale voluta dal governo per discutere, ufficialmente con le forze di opposizione, i temi delle riforme politiche e della situazione economica nel paese. Un’iniziativa che viene annunciata per la terza volta da quando, nel marzo scorso, sono iniziate le proteste.
 
Dal 3 settembre intanto, la Siria è sotto embargo petrolifero per i paesi dell’Unione Europea. La decisione è arrivata durante il vertice dei 27 ministri degli Esteri che hanno approvato un terzo pacchetto di sanzioni dove per la prima volta compare anche il divieto all’esportazione di greggio. La Siria è il 33° paese produttore con 400mila barili al giorno, secondo i dati dello scorso anno. Il petrolio esportato quotidianamente equivale a 150mila barili e di questi il 95% finisce in Europa, in particolare in Germania, Francia e Italia. Proprio il nostro paese ha beneficiato della deroga all’embargo fino al 15 novembre decisa per consentire agli importatori di chiudere i contratti in scadenza.

Se quella contro l’export di petrolio è la più drastica misura economica finora adottata, considerato che il settore rappresenta per Damasco il 25% del prodotto interno lordo, non è però l’unica strada intrapresa perché l’Europa ha anche deciso di allungare la lista dei soggetti e delle società a cui ha congelato i beni depositati negli stati membri. Le imprese colpite dal provvedimento sono la banca del settore immobiliare Real Estate Bank, il gruppo di investimenti Cham Investment e la società di trasporti Mada Transport. Fra le personalità interessate dalle sanzioni, ci sono invece alcuni capi dipartimento dell’intelligence militare coinvolti nella repressione dei civili durante le manifestazioni, finanziatori e collaboratori a vario titolo del regime, e lo stesso presidente Bashar Al Assad.
 
Non è escluso che nuove misure potrebbero essere decise a breve, almeno stando alle dichiarazioni di Germania e Francia. Il ministro degli Esteri francese Alain Juppé ha parlato di «necessità di aumentare le pressioni, se non ci saranno cambiamenti di rotta nel regime», e il suo collega tedesco Westerwelle non ha escluso «nuove misure, nel caso in cui la repressione continui».

Gli Stati Uniti, già promotori di un embargo petrolifero nei confronti della Siria (simbolico più che sostanziale, non avendo canali di importazione di greggio da Damasco) hanno espresso grande apprezzamento per le misure europee, al contrario della Russia che, come prevedibile, ha manifestato il suo disappunto per bocca del ministro degli esteri Sergey Lavrov: «Le sanzioni dell’Ue – ha dichiarato – non porteranno nulla di buono perché fatte in maniera unilaterale». Una posizione, quella di Mosca, già riferita in sede Onu, con la presentazione di una bozza alternativa di possibile risoluzione per la Siria, sostanzialmente priva di sanzioni e contenente la richiesta ad Assad di accelerare i tempi delle riforme.

Il veto della Russia si somma a quello della Cina, che negli ultimi anni ha intensificato i rapporti con Damasco. Nel 2010 gli investimenti di Pechino in Siria hanno superato i due miliardi di dollari, con la presenza nel paese di colossi come la China National Petroleum Corporation. Proprio Bashar Al Assad, nel 2004, fu il primo leader siriano a visitare la Repubblica Popolare.

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