Tenerezza. A volte è questo il sentimento che infonde il Pd. Quella tenerezza che proviamo quando osserviamo una persona che prova in buona fede ad andare per la sua strada senza rendersi conto di quel che sta avvenendo attorno. Un po’ come Christiane, la protagonista del film Goodbye Lenin!, che si risvegliò dal coma a muro caduto e i figli non sapevano come dirglielo.
Perché può far solo tenerezza l’immagine – descritta dal Fatto quotidiano – di Bersani che dal palco della Festa democratica di Modena illustra le motivazioni che spingono il partito a non appoggiare il referendum sulla legge elettorale, mentre nel gazebo allestito a pochi metri da lui vengono raccolte più di mille firme in due ore. Un’istantanea che da sola basta a descrivere il dramma del Pd. Sì, dramma. Perché è drammatico un partito che è incapace di comprendere quel che sta avvenendo, non solo nel Paese, ma persino a pochi passi.
La questione è nota. Arturo Parisi, con l’adesione di Italia dei Valori, Sel (vale a dire Vendola) e Futuro e libertà, dà vita alla raccolte di firme per chiedere l’abrogazione dell’odiata legge elettorale – ribattezzata dallo stesso Calderoli “porcata” e divenuta per tutti il “Porcellum” – e tornare così al Mattarellum. I tempi sono stretti, certo: bisogna raccogliere 500mila firme entro il 30 settembre e poi bisogna sempre ottenere l’ok della Corte Costituzionale. Ma ci prova. E gli italiani gli vanno dietro. Perché, non è poi così difficile intuirlo, non ne possono più. Lo straordinario successo ottenuto con le amministrative e i referendum ha fatto capire loro che un altro modo per legiferare e contare è possibile. Insomma non è il caso di dilungarsi qui sul sentimento anti-casta che pervade questo Paese e sulla sensazione, sempre più dilagante tra i cittadini, che i politici, per dirla alla loro maniera, pensino solo ai fatti propri e alle proprie prebende.
Ebbene, in un simile contesto, che ti fa il Pd? Continua a mettere la testa sotto la sabbia. Seguita ad utilizzare un linguaggio che, più ancor che da prima repubblica, sembra quello della nobiltà prima del 1789. Sentite come risponde Fioroni oggi al Corriere della Sera che gli chiede: lei andrà a firmare i referendum? «A luglio – risponde con tono da brontosauro – la direzione del mio partito, il Pd, ha deciso all’unanimità di approvare una propria proposta di riforma elettorale… In quella sede si è anche deciso che il Pd non avrebbe sostenuto né il referendum Passigli né quello Parisi». Una dichiarazione che fa il paio con quella rilasciata ieri da Massimo D’Alema in un’intervista al Messaggero: «Io vorrei cambiare la legge elettorale, ma non per tornare al Mattarellum. Il referendum – il tono distaccato lo lasciamo immaginare a voi – può rappresentare uno stimolo positivo per una riforma da approvare in Parlamento. E il Pd ha presentato una sua proposta che mi sembra un buon punto di partenza».
Per carità di patria vi illustriamo brevemente la proposta del Pd: il 70% dei parlamentari con collegi uninominali a doppio turno e il restante 30% col proporzionale. Proposta che assai difficilmente, per usare un eufemismo, otterrà la maggioranza in questo Parlamento. A voler essere maliziosi verrebbe da pensare che in fondo a loro questa legge elettorale sta più che bene, visto che garantisce il controllo degli eletti. Ma il punto non è solo questo. Il punto è che la lezione referendaria di giugno sembra non aver insegnato nulla ai dirigenti del centrosinistra. Evidentemente non è bastata la figuraccia di un Bersani che si è ritrovato a festeggiare in piazza una vittoria contro quella privatizzazione degli acquedotti in cui favore lui si era battuto. Sbeffeggiato sulle bacheche di mezzo Facebook. Ma che vuoi che ne sappiano Bersani e gli altri di quel che accade su Internet e intorno a loro. È convinto, come gli altri, che basti andare in tv, guardare dritto nelle telecamere, e dire quattro stroppole che poi, chissà in base a quale meccanismo, dovrebbero essere acriticamente metabolizzate da chi è seduto dall’altro del televisore.
Non hanno capito, al Pd, che qui non si tratta di antipolitica. Tutt’altro. Non sono più i girotondi, lì erano un bel po’ di persone che si limitavano a protestare guidate da intellettuali di sinistra. Oggi è diverso. È voglia di politica, altroché. E poiché non si fidano più di chi è deputato a farla e a legiferare, hanno deciso, con consapevolezza, di poter incidere in prima persona. E hanno scoperto che vincono. Tutto questo a Bersani e soci sfugge. Sfugge che quel referendum, guarda caso, lo ha firmato Romano Prodi, per l’occasione tornato a fare pubblicamente un gesto politico. Con lui anche Veltroni, Fassino, Errani, certo. Ma il punto è Prodi. L’unico che ha saputo portare per ben due volte il centrosinistra al governo vincendo le elezioni. E, non a caso, un leader che viene immortalato dai fotografi mentre torna dal mare con secchiello, paletta e pinne, come un nonno qualsiasi; mica a bordo della sua barca a vela, modello Paul Cayard.
Insomma, il caso Pd non è limitato al solo Penati. Che pure incide, eccome, soprattutto in una Milano dove non a caso è diventato sindaco quel Pisapia che, alle primarie, sconfisse il Pd e Stefano Boeri, candidato sostenuto con forza proprio da Penati. Ma il fenomeno è ben più ampio. È un caso di miopia, quasi di cecità. Provino a cambiare lenti, e lo facciano in fretta, i dirigenti del Partito democratico. Scendano dal loro mondo e tornino sulla terra. Altrimenti quel che è avvenuto a Napoli, dove un signore di nome Luigi de Magistris ha vinto senza di loro, potrebbe essere l’anteprima di un film proiettato nelle sale di tutt’Italia.