“Ma il mio numero è su Facebook!”: scoppia il caso

“Ma il mio numero è su Facebook!”: scoppia il caso

La nostra rubrica telefonica non è solo nostra. È un po’ anche di Facebook e spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto. Ma soprattutto, non lo sanno i nostri amici e parenti che si ritrovano “schedati” sui server del più grande social network della Terra senza aver dato il permesso a nessuno. Tutta colpa della sincronizzazione tra smartphone e l’applicazione mobile di Facebook. Quello strumento che – tra le altre cose – ci mostra lo status e l’ultima foto del profilo dei nostri amici dentro la rubrica telefonica del cellulare. Il problema è che in cambio, il nostro telefono “dona” al social network tutti i nostri contatti (fissi o mobili pari sono), che a sua volta li ordina meticolosamente nella nostra pagina Facebook.

Per sfogliarli basta andare su “account”, poi su “modifica amici” e, sul menu a sinistra, su “contatti”. In realtà, chi non ha effettuato la sincronizzazione si ritroverà solo poche decine di numeri di telefono: quelli inseriti di proposito dai nostri amici al momento della registrazione. Fin qui è tutto regolare. Anche se in molti casi, quei numeri non li abbiamo mai chiesti di persona all’interessato. Bene: da domani potremo chiamarli e loro non potranno lamentarsi, visto che hanno acconsentito loro stessi alla condivisione.

Il discorso cambia quando su Facebook cominciano ad apparire anche i cellulari di persone non iscritte al social network. Nostro padre, nostra zia, l’amministratore di condominio, l’operaio che ci ha riparato il tetto. Antonino Polimeni, avvocato ed esperto di privacy lo considera «il più grande censimento telefonico di tutti i tempi». Perché è vero che quei numeri di telefono può vederli solo il titolare dell’account, ma è anche vero che quei dati si trovano sui server di Facebook. Un po’, sono anche di Mark Zuckerberg.

«E questo viola il nostro codice della privacy – continua Polimeni – che prevede un principio molto semplice: per trattare dati sensibili di privati cittadini è necessario il consenso esplicito». Insomma, Facebook ha nome, cognome e numero di cellulare di persone che non gli hanno mai dato l’autorizzazione all’utilizzo dei dati personali.

Secondo l’avvocato reggino, nel diritto italiano questa vicenda porterebbe a un numero imprecisato di cause civili contro Facebook. «Non si può prevedere l’esito di questi eventuali procedimenti, ma è sicuro che ci sarebbero le basi per intentarli», anche perché il social network possiede anche un dominio .it. E per attivarlo ha dovuto accettare la normativa italiana tramite la Lar (lettera di assunzione responsabilità).

Ma la questione è ancora più ampia. Investe i nostri diritti di cittadini europei e anche il nostro buon senso. Luca Bolognini, avvocato e presidente dell’Istituto italiano per la privacy, mette l’accento su una pratica che è ormai abitudine tra i colossi del web: «Per l’ennesima volta Facebook ha modificato le condizioni della privacy. E gli utenti sono stati avvertiti solo a cose fatte». La normativa europea è chiara: per cambiare le regole del gioco bisogna prima informare gli interessati. Non solo: bisogna anche ottenere il loro consenso. Facebook non potrebbe comportarsi così con i suoi utenti del vecchio continente. La domanda è sempre la stessa: il gigante di Palo Alto potrebbe essere portato in tribunale? Secondo Bolognini sì: «La nostra normativa sulla privacy si applica agli operatori extra-Ue solo se questi utilizzano strumenti in territorio europeo. Per ‘strumento’ si intende anche un cookie. E Facebook li usa». I cookie sono quei piccoli file di testo che quasi tutti i siti web installano nei computer per memorizzare alcune nostre informazioni.

Ma al di là dell’aspetto legale c’è un problema di cultura. Quando sincronizziamo le nostre rubriche mail o telefoniche sui server di Google, Facebook, Yahoo e via dicendo, nella cassaforte di questi colossi immettiamo dati che non ci appartengono. «Proprio questo è il punto: ognuno è libero di fare ciò che vuole con la propria privacy. Ma non con quella di terze persone» conclude Bolognini.

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