I tempi della giustizia saranno anche lunghi, l’imputato innocente fino a sentenza definitiva e l’indipendenza della magistratura sacra. L’esperienza italiana, poi, insegna che l’esito delle più rumorose inchieste delle Procure è alquanto incerto e variabile. Eppure nella vicenda di appalti, tangenti e corruzioni che ha investito l’esponente del Pd Filippo Penati, si può arrivare già adesso a una conclusione che, anche al netto dei reati ipotizzati sull’acquisizione dell’autostrada Milano Serravalle, non lascia molto scampo al suo operato come presidente della Provincia di Milano.
Senza che sia necessario aspettare i tempi dei tribunali, dove le responsabilità vanno provate al di là di ogni ragionevole dubbio. Senza nemmeno bisogno di leggere le intercettazioni o di appostarsi lungo i binari del Malpensa Express per origliare il braccio destro di Penati, Giordano Vimercati, che a luglio di un anno fa si incontrava con il manager del gruppo Gavio Bruno Binasco «per un consiglio» sul pasticcio Serravalle. Nemmeno è necessario ripercorrere il pellegrinaggio delle mazzette, che dalla Lombardia andavano redimersi in Lussemburgo e poi facevano ritorno in quel di Sesto.
Per un giudizio su Penati amministratore pubblico non è insomma necessario aspettare le sentenze. Per una valutazione del suo operato di amministratore pubblico parlano i bilanci della Milano Serravalle, la società autostradale che gestisce le tangenziali del capoluogo lombardo e il tratto Milano-Genova. Parlano cioè i risultati di un’operazione complessa, costosa e controversa che per volontà dello stesso Penati era “l’operazione” su cui scommetteva le sue capacità di amministratore. E su cui si giocava la credibilità come forza di governo degli allora Democratici di sinistra in un importante territorio del Nord. Risultati che vanno confrontati con quello che lo stesso Penati promise pubblicamente.
La scommessa
Quando la Provincia acquisisce la maggioranza di Serravalle, è lo stesso Penati a rivelare la centralità dell’operazione rispetto al suo progetto politico: «Questo era un nostro obiettivo fin da quando la giunta provinciale si è insediata», fa scrivere nel comunicato stampa del 29 luglio 2005. Penati aveva intuito le potenzialità della Serravalle, fin lì rimasta in un limbo che ne faceva una delle società autostradale meno efficienti d’Italia, bloccata da conflitti di interesse, appalti poco chiari, inchieste giudiziarie. L’investimento messo in campo era notevole: 238 milioni di euro, a debito finanziato da Banca Intesa, per il 15% ceduto dal gruppo Gavio, che l’aveva rastrellato un anno prima a un terzo. La quota, sommata al 38% già posseduto, dava alla Provincia la maggioranza per far ripartire gli investimenti nella mobilità marginalizzando il 18% detenuto dal Comune di Milano. Il sovrapprezzo pagato, che permise una plusvalenza di 179 milioni al venditore Marcellino Gavio, trovava fondamento nelle «potenzialità intrinseche di sviluppo della Serravale», secondo la fairness opinion (opinione di congruità) firmata dalla Vitale e Associati guidata da Guido Roberto Vitale (socio de Linkiesta). L’elevato esborso poteva essere giustificato dal «ruolo attivo nell’indirizzare la società alla definizione e corretta realizzazione di un piano prospettico». Ma, appunto, bisognava mettere in efficienza la gestione e far crescere il business, chiudendo la stagione di stallo strategico e di contrasto con gli altri soci pubblici e privati (leggi la ricostruzione de Il post). «Abbiamo deciso d’investire nella società Serravalle, che è centrale rispetto alle scelte della mobilità milanese», dichiarava Penati. L’ambizione era di farne un soggetto centrale nell’ammodernamento delle infrastrutture milanesi e «di tutta la regione». Sono gli stessi mesi in cui Penati chiede insistentemente una legge speciale per Milano e prevede, per il 2009, la sparizione dell’ente provincia e la nascità della Città metropolitana. La sfida sulle capacità di governo del territorio con il sindaco del capoluogo Gabriele Albertini, ma anche con tutto il centrodestra, era lanciata. Con il 53% della Serravalle, concentrato nella holding Asam, Penati era in grado di dettare la linea nella gestione Serravalle. E così fu. Anche se le cose non andarono nella direzione annunciata.
Il risultato
Sono tanti i parametri che si possono adottare per valutare la conduzione di un’azienda. Nel caso di una società autostradale, l’incidenza del margine operativo lordo (mol) sui ricavi è un buon indicatore della gestione caratteristica (dato che non considera l’effetto degli investimenti). Quando la Provincia di Milano prende il controllo, la Milano Serravalle è fra le concessionarie peggio gestite in Italia: tasso di automazione dei caselli basso, assenteismo elevato, consulenze in abbondanza. A fine 2005, il rapporto fra margine operativo lordo (91 milioni) e ricavi (allora a quota 174 milioni) supera di poco il 50%, dodici punti percentuali in meno rispetto ad Autostrade per l’Italia. Tradotta in soldoni, la minore efficienza comporta uno spreco annuo di 20 milioni. Margini di miglioramento, dunque, ce n’erano: tanto più considerando l’intensità del traffico sui tratti autostradali gestiti. Ma restano tutti irrealizzati.
I primi due anni passano infatti inutilmente. Nel 2007, la Serravalle chiude il bilancio con ricavi a 194 milioni e un mol di circa la metà: il parametro mol/ricavi resta sempre al 50 per cento. Nello stesso anno, Autostrade si attesta al 63,2%, e rimane su questi livelli anche nei due anni successivi. Per la Serravalle, invece, cade al 47% e addirittura al 44,7% nel 2009, l’anno in cui la guida della Provincia passa al centrodestra. Per inciso, va rilevato che con Guido Podestà presidente si registra un miglioramento (mol/ricavi al 50% nel 2010), anche se permane una notevole distanza dai livelli di eccellenza del settore. Prima ancora il sovrapprezzo pagato, e le tangenti presunte su cui indaga la Procura di Monza, perciò, Penati è inchiodato da questi numeri: non meno di venti milioni di euro di margine operativo lordo buttati via ogni anno per quattro anni.
Nella “prossima puntata” vi racconteremo quali progetti di rilancio ed efficienza della Serravalle sono stati scartati dalla giunta Penati: progetti che avrebbero obbligato ad una gestione radicalmente diversa. E daremo di conto dei tanti interessi che premevano per la permanenza dello status quo, prolungando gli sprechi di cui abbiamo detto fin qua. Fin da subito, però, una cosa si può affermare: non c’era bisogno della Procura, né di un’eventuale condanna per dire che la Serravalle fu un’operazione malgestita e che non ha realizzato l’interesse pubblico. Gli elettori (forse anche per questo?) scelsero poi altro e votarono Podestà. Resta solo da chiedersi come il suo partito – che oggi segue i pm e lo sospende – abbia prima deciso di premiarlo, con ruoli di peso al fianco del segretario Bersani. I dati per decidere diversamente c’erano già: iscritti a bilancio.
Leggi anche: