Il problema non è di quelli che fa tremare le piazze. Però Stefano Boeri, assessore alla Cultura e all’Expo, riesce lo stesso a mettere, nelle piaghe della giunta Pisapia un dito. E che dito: si parla del medio di Maurizio Cattelan, L. O. V. E., installato davanti alla sede della Borsa a Piazza Affari nel settembre 2010. E ora, dopo un anno, scade la proroga, votata a febbraio. Il 30 settembre il dito dovrà andarsene. O no? Maurizio Cattelan si è detto disposto a regalarlo al Comune, purché lo lasci dov’è. E, come al solito, ha provocato un dibattito. Stefano Boeri, di fronte alla proposta, ha colto l’occasione per sottoporre il problema ai milanesi. Prima su facebook, lanciando la questione dalla sua fan page “Stefano Boeri per il Comune”. Poi, proprio in Piazza Affari, con un incontro con la cittadinanza, un po’ dibattito, un po’ bagno di folla.
Appuntamento alle 18 di mercoledì 21. Piazza Affari è quasi vuota. Sono poche le persone presenti per il dibattito e la maggior parte è composta da giornalisti. Del resto, nemmeno Boeri è puntuale: alle 18.15 non si vede ancora. «Però l’iniziativa che ha avuto Boeri è una forma di democrazia diretta», ci spiega una signora divertita nell’attesa «io la trovo coraggiosa». E sul Dito che pensa? «S’inserisce bene del contesto», osserva, seduta sui gradini del Palazzo della Borsa. «Non la sposterei». Mentre Francesca e Daniele hanno un’idea diversa «Dovrebbe essere un simbolo itinerante, da spostare di fronte a sedi e Palazzi di istituzioni che non fanno il loro dovere». Chiaro. «Come il Tapiro», puntualizza Daniele. Per quanto tempo? «Un anno forse è troppo. Meglio sei mesi. Così non si abituano, e lo choc li colpisce». Intanto, mentre parlano, qualcuno in più nella piazza c’è. E, alle 18.30, arriva anche Boeri.
«Da quando c’è quest’opera, la Piazza è cambiata», dichiara. «Forse è un sberleffo. Alla Borsa? O dalla Borsa? E poi la mano ha le dita mozzate, un particolare che apre a considerazioni di ogni tipo». Di fronte alle sue parole, si crea un piccolo assembramento. Signori, signore. Alcuni in bicicletta. Altri, più lontani, stanno solo a guardare. L’assessore spende ancora qualche parola, chiude la prolusione, e il dibattito ha inizio. Con in mano il microfono, Boeri danza nella piccola folla. La quale, garbata, gli sta vicino e dice quello che pensa. «A me fa schifo. È volgare. Cattelan lo fa solo per farsi pubblicità e io, come milanese, mi sento offesa ogni volta che la vedo», afferma, indignata, una signora. «Vero. Brava. Ci credo che la regala. Chi mai avrebbe pagato per una cosa del genere?» spiega, con baffetti e gessato, un suo sodale in bicicletta. «Per me l’arte è bellezza, e questo non lo è». Boeri gira, gira, in mezzo alla gente, dando a tutti la parola e scomparendo tra le persone. Tra tutti, però, lo si distingue perché è il più elegante.
«Io accompagno i turisti, da tutto il mondo. Sono impressionati, è una cosa che li colpisce. Va tenuta», spiega uno della piccola folla. «No. La donazione è solo un escamotage per aggirare la democrazia e la volontà delle persone, o del Comune. Cattelan fa un ricatto? Si deve dire no», gli risponde un altro. E poi: «e l’ironia? Stiamo dimenticando l’ironia dell’opera. Messa in un museo non avrebbe senso». No allo spostamento, allora. Gli interventi man mano si fanno fitti, e si arricchiscono di volta in volta. Si parla di arte, di senso della bellezza, di testo e contesto. C’è chi cita Gertrude Stein «l’opera d’arte ha il dono dell’anticipo», e si ricorda la preveggenza di Cattelan di fronte alla crisi della Borsa e dei mercati. Chi discetta dei mali della Finanza e della Moneta, chi, invece, ricorda che, prima che la Borsa diventasse telematica, gli operatori comunicavano con gesti in codice: compra e vendi si decidevano con l’uso delle dita. «E questo Cattelan non lo ha dimenticato», spiega. C’è anche Jack Casale, padre di Rossana Casale, che con spiccato accento anglofono propone di costruire un anfiteatro, così «la piazza diventa più bella. E si può guardare meglio la statua. E dietro, la Borsa». Applausi, risate. E poi l’apice: una signora blocca Boeri, che girava, e dice: «vede? Il dibattito è interessante, ma non si può decidere. Perché Milano non può essere rappresentata dai quattro gatti che ci sono adesso qui». Boeri sorride. Le persone, anche se assembrate, sono poche, in effetti.
La danza dell’assessore continua a girare, ma il dibattito si spegne pian piano. C’è chi fa conferenze, e chi battute «è quasi un indice di borsa», dice uno. «Questo dibattito è la rivoluzione digitale». E anche: «se si toglie quello, allora si può togliere anche il Duomo». E l’assessore, stavolta risponde: «sì, magari ci mettiamo una moschea». Ancora qualche giro, e poi si concludono gli interventi. Alla fine anche Boeri può posare il microfono, respirare un poco e salutare la piccola folla. Che già si disperde, notando che è stato detto tanto, capito poco, deciso nulla. Del resto, sarà il Comune a prendere l’ultima posizione.
«Ma l’incontro è stato utile», spiega Stefano Boeri a Linkiesta, mentre si allontana a grandi passi da Piazza Affari. «io già pensavo di tenerla. Poi, si è visto come suscita dibattito, discussione, riflessione. È stato un esperimento, ma ha funzionato». E allora che si fa: si tiene o si non si tiene? «Se dovessi decidere adesso questa [la statua] resta qui. Eccome». Sorride. Ma si sarà divertito, poi? «Molto», dice. E, alle 19. 15, se ne va.