Signor Tex Willer, confesso che provo imbarazzo a intervistarla.
E perché?
Diciamo che non è facile, ecco. Cose da chiederle, in realtà, ne avrei tante. Ma oggi, le farei solo una domanda. Su Sergio Bonelli.
È stato un dispiacere enorme. Sarà strano da dire, e da capire. Ma è così. Lo ricorderanno tante persone, come un protagonista del fumetto italiano. E lo era. Io ho avuto l’ovvia occasione di conoscere sia lui che suo padre. Entrambi erano persone rispettose, garbate. Dei sognatori, ma con attenzione e cura per le piccole cose.
Cosa ricorda di Sergio?
Ha cominciato facendo i mestieri più umili, come il magazziniere, o il fattorino. Faceva chilometri in strada in motorino, per trasportare le tavole delle mie storie. Poi è cresciuto, e, con la nuova casa editrice, si è sbizzarrito scrivendo storie e inventando nuovi personaggi. Per me sono quasi colleghi, anche se molto più giovani.
Sta parlando di Zagor, o Mister No, immagino.
Sì, ma anche Billy River. Insomma, le ambientazioni sono state diverse, ma su tutte prevaleva il richiamo più forte, che, per lui e anche per me, è il west.
E quindi…
Quindi, negli anni Settanta, ha scritto anche alcune mie storie. Ma poi gli impegni di lavoro da editore lo hanno distolto. Ha continuato a leggerle, però, con grande divertimento.
Fino in fondo, lui ha sempre amato il West, e le sue avventure. Del resto è un mito che dura da sempre. Perché?
Non so. Quello che faccio, o meglio, mi fanno fare, è senz’altro avventuroso. Di sicuro, la cosa più affascinante sono i paesaggi, le ambientazioni delle mie storie: praterie infinite, villaggi semi-abbandonati. Le intemperie e la vita a cavallo. E poi, nelle mie storie, alcuni si sono premurati a dire che si è rotta la contrapposizione tra indiani e bianchi. Lei lo sa, io sono stato sposato a una donna indiana, Lilyth, che, prima di morire, mi ha dato il mio solo figlio, Kit. Per me, invece, è tutta una questione di umanità. Forse la gente cerca solo questo, un po’ di semplicità, anche ingenua, nelle cose. E la bellezza di sapere che il bene vince sempre, o quasi, sul male.
Bene o male, in tanti hanno visto Tex Willer come un eroe che esprime valori di destra.
Solo perché in Italia si devono sempre dividere le cose tra destra e sinistra. No, io sono solo un ranger, devo cercare e arrestare i banditi, e in questo senso sono un uomo d’ordine, quindi, magari, mi possono apparentare alla destra. Ma che c’entra? Io sono un “buono”, e questo per il mondo dei fumetti basta e avanza. Ma che significa, che so, conservatore? Sono concetti che non afferro. Per lo più, cerco sempre di capire gli altri, gli stranieri, i diversi. Appunto, sono stato sposato con un’indiana. Se ho un’idea di giustizia, è sempre dalla parte dei più deboli. E questo, invece, sarebbe di sinistra. No?
Sì. Appunto: non pensa che ci vorrebbe un Tex anche in Italia, ora?
Le ricordo che sono un personaggio dei fumetti. Questa domanda è retorica, e non mi piace. Quello che posso fare, lo faccio nelle vignette, nelle tavole. Io sono un personaggio del West. Punto. Il fumetto, poi, è per sognare, per uscire dalla realtà, per immaginare. Tutto ciò che è fuori è più difficile, noioso, arduo. In una parola, complicato. Dove capita, se non nel mondo della fantasia, che in migliaia di sparatorie io non sia mai stato ucciso? Questo dice tutto. Spesso, però, per la politica mi hanno usato come termine di paragone.
Si riferisce a Sergio Cofferati?
Sì, lo “sceriffo”. Un mio grande fan, un esperto, devo dire. Ma non credo proprio che possiamo essere accomunati. Troppo diversi. Lui sostiene che ci lega l’attenzione all’ordine, alla realtà. Ma io non sono un politico. Mi fan fare il ranger, che risolve le ingiustizie, che sfugge agli spari, non piani di governo del territorio, o ordinanze sull’ordine pubblico. Non c’entra nulla.
Ha qualche rimpianto?
No, per le cose che ho fatto no. Che dire? Come personaggio, ho sofferto per la morte di Lilyth. Ho vissuto e corso rischi insieme al mio amico Kit Carson e me la sono sempre cavata. Ma, appunto, sono storie, solo sogni per ragazzi o per adulti che hanno nostalgia di quando erano giovani. Sono il segno di un tempo che non è mai esistito, e storie che non sono mai successe davvero. In fondo, come le ho detto, qui le cose sono più semplici. La vita, quella vera, ecco, mi manca. Per questo ammiro molto Sergio. Per come ha saputo vivere, con determinazione, e fantasia. Ha mantenuto l’amore per l’immaginazione, anche dovendosi scontrare con l’aridità di tutti i giorni. Ha continuato a far vivere i sogni, scrivendo e inventando le mie avventure. Per questo lo ammiro. E sì, rimpiango la sua morte, mi dispiace davvero.
La capisco.
E io la ringrazio. Ora, però, devo tornare nel mio mondo. Nel West, quel vecchio West che vi piace tanto, e continuerò a fare quello che ho sempre fatto. Dare la caccia ai criminali, girare per deserti e praterie, incontrare indiani e personaggi straordinari, bellissimi e inesistenti. A lei, invece, la saluto.