Addio a Gheddafi, il beduino che ha tenuto in scacco il mondo

Addio a Gheddafi, il beduino che ha tenuto in scacco il mondo

Ancora una volta, era finito al centro dell’attenzione. Le ultime ipotesi, fornite dal Cnt, lo vedevano a capo di una coalizione di Tuareg, pronto a continuare la resistenza. A organizzare uno stato nel sud della Libia, con l’obiettivo di riprendersi il potere. Tutto falso.

Asserragliato negli ultimi bastioni di Sirte, Muammar Gheddafi è morto dove aveva detto che sarebbe accaduto: nella Libia più sua, quella della città che lo aveva visto (da lontano) nascere. Forse non combattendo, di sicuro resistendo. Se sono vere le ultime ricostruzioni, dopo la conquista da parte dei soldati del Cnt della città, un convoglio di 40 veicoli sarebbe partito in fuga. Direzione: Misurata. Ma l’intervento di elicotteri Nato avrebbe bloccato i carri, con l’intervento successivo dei soldati libici. Gheddafi non era lì. Una ricostruzione che si vedrà se regge nei giorni prossimi giorni. 

Chi lo conosceva, giurava che non sarebbe fuggito. E come sappiamo ora, si era nascosto in un buco, nel centro della città. Lì sarebbe stato scoperto da un soldato: «Non sparate!», avrebbe detto. Non è chiaro se sia morto subito, o solo fosse stato ferito alle gambe, come riportavano le prime notizie. il soldato avrebbe preso, come un trofeo di guerra, la sua pistola d’oro. Mentre Gheddafi, finito nelle mani del Cnt, sarebbe stato caricato su un’ambulanza diretta a Misurata. All’arrivo in città era già morto. La notizia ha suscitato gioia tra i libici. La vista del suo corpo martoriato, nelle fotografie, ha dato inizio alla festa, ai canti del popolo: che vede, con la sua morte, la fine di un lungo periodo. 

Gheddafi era uomo dal carattere ambizioso, istrionico e arrogante, che univa a un profondo senso dell’onore e dell’unità. Insieme, il gusto per il gesto teatrale, per la provocazione. E l’abilità del calcolo cinico, la spietata violenza. Scarso interesse per la vita altrui e molto per il potere. Ma proprio per questa miscela di caratteri, Muammar Gheddafi non era solo un dittatore di un Paese nordafricano, ma un personaggio: un’icona di mistero e fascino nota in tutto il mondo per i suoi atteggiamenti, le sue prese di posizioni, la stranezza e la ferocia.

Non si sa dove sia nato né quando. In seno a una famiglia beduina, lontano da ogni ufficio dell’anagrafe. Ma si dice a Sirte, perché era la località più vicina per indicare quell’angolo di deserto dove il futuro raìs ha visto la luce. E come data, il sette giugno. L’anno, invece, è certo: era il 1942, e la zona di Sirte era compresa nella provincia di Misurata. Ed era territorio italiano. Gheddafi nasce nelle zone dell’impero fascista: da qui apprende a odiare gli italiani. Il giovane Muammar, forse nipote di una donna ebrea, vive i primi anni in una carovana di beduini. E poi, per studiare, si allontana dalla famiglia. Per anni non li vedrà. E i parenti del clan risentiranno la sua voce, dopo tanti anni, solo nel giorno della presa del potere: quando alla radio di stato la nuova Guida della Rivoluzione, a 27 anni, proclama la caduta di re Idris. È il 26 agosto 1969: il colpo di stato si conclude il 1 settembre e apre la lunga stagione politica e culturale. Quando Gheddafi si autoproclama Colonnello.

Da qui parte la lunga parabola del raìs, che cavalca metà del novecento grazie alla forza del suo petrolio. Scacciati gli stranieri (italiani ed ebrei, ma anche Usa e Gran Bretagna) nazionalizza le proprietà petrolifere, rilancia l’economia. Addirittura, maniaco dello spettacolo e dei record, apre un sistema di canali che entra nel Guinness come il più grande del mondo. Con donativi compra potere e consenso, ma crea lavoro, apre strade e industrie. Inventa il socialismo islamico, scrive una costituzione (il Libro Verde) e, dal 1979 abbandona ogni carica politica per restare solo la Guida della Rivoluzione, che significa il potere vero del Paese. E, soprattutto si butta in una politica estera aggressiva e anti-americana, dai contorni oscuri e violenti. Uccide, il Colonnello. In patria e fuori.

È nel periodo della militanza islamica che Gheddafi mostra al mondo il suo volto più spaventoso: finanzia l’Olp e Settembre Nero ma soprattutto vende armi all’Ira e spara missili contro l’Italia, la Francia oltre a colpire un aereo scozzese, a Lockerbie, uccidendo 259 persone. Un altro sinistro primato, per Gheddafi, prima che arrivasse l’11 settembre. Cerca di fondare gli Stati Uniti d’Africa, a guida islamica (e, ancor di più, di Tripoli). Due anni prima di Lockerbie, sfugge al bombardamento di Reagan, intenzionato a ucciderlo. La provvidenziale telefonata di Bettino Craxi lo salva.

Cavalca il ’900, Gheddafi: come un beduino, segue le dune della storia, e sente il vento. Arriva il tempo di ammorbidire le sue posizioni e consegnare alla giustizia i responsabili dell’attentato di Lockerbie, con 11 anni di ritardo. Un gesto distensivo che l’Onu accoglie, eliminando l’embargo e ridando fiato all’economia in declino della Libia. Ma il pugno di ferro, in casa, non lo dimentica mai. Per tenere in mano il complesso gioco delle alleanze tribali, rilancia mitologie sempre più stanche, alimenta il consenso comprandolo. Resiste in sella, la Guida della Rivoluzione, e dopo l’11 settembre condanna gli attentati: una scelta che Bush mostra di apprezzare. Così la Libia non è più una nazione canaglia.

Ma quando cala la notte, nel deserto, anche il Colonnello avrà sentito la stanchezza. Il suo sofisticato gioco di potere, che tiene agguantati gli equilibri politici ed energetici del mondo, mostra la corda. Il Colonnello gioca sempre di più nello spettacolo: fa giocare il figlio nel Perugia, e compra il 10% della Juventus, pur avendo lui stigmatizzato il calcio. Accusa la Svizzera e ne auspica la cancellazione dalla carta geografica, incassando il timido appoggio italiano. Con lo sfarzo di chi controlla il petrolio, fa visite diplomatiche in tende e cammelli. O in Italia, per la prima volta, nel 2009, con un esercito di amazzoni, vergini guardie del corpo che affascinano anche Berlusconi. Tra baci, provocazioni, e promesse di collaborazione sui clandestini. E le polemiche che ne seguono.

Sempre così: il leader della Rivoluzione vuole ignorare il tempo che passa, e le forze telluriche bloccate dal suo potere, che prima o poi si strappano. E quando scoppia la ribellione delle primavere, il Colonnello non sa che la cavalcata, nel deserto della Libia, sta per finire. Lancia le ultime grida, dà gli ultimi ordini. Resiste ma non fugge. Perché dopo tutto questo tempo, pensa che sarà solo la lotta a fermarlo.

Così finisce la storia di un dittatore, di un Colonnello, di un uomo truce e violento. Se ne va, con la fine di questa guerra, Il beduino che ha creduto di ridare dignità alla Libia, ha cercato di guidare l’Africa e, per decenni, tenuto in scacco l’Occidente. Seduto sul suo tesoro nero. 

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