Con il poetry slam la poesia è una sfida all’ultimo verso

Con il poetry slam la poesia è una sfida all’ultimo verso

«È come per le gare di tuffi. Con un salto, l’atleta deve convincere i giudici che la sua è la migliore delle esecuzioni possibili. Così avviene per il Poetry Slam: tre minuti a disposizione in cui ogni poeta declama la sua poesia, compie il suo “avvitamento artistico”. E prova a dire “ecco, questa è la bellezza di cui sono capace”». Guido Catalano, poeta, scrittore e slammer, spiega con questa metafora il fenomeno del Poetry Slam, le gare fra poeti che stanno rivoluzionando il mondo della poesia.

Poetry: poesia. Slam: alla lettera «produrre un suono perché faccia rumore». Ma anche «schiaffo, impatto». Perché il Poetry Slam è in primo luogo poesia ad alta voce che non rinuncia ad essere provocazione, sfida ai “poeti laureati”. Un nuovo mezzo attraverso cui la poesia tenta di arrivare al grande pubblico spiazzando accademie e critici. Il Poetry Slam condivide con il pugilato il ring, l’agonismo dell’uno contro uno ed il concetto dell’ultimo che resta in piedi: il poeta che resiste porta a casa la cintura di campione. Come nella boxe, i concorrenti si sfidano e una giuria assegna i punteggi. Il poetry slam va oltre la pura competizione: esalta la parola. Mette in luce le doti performative del singolo poeta, non lo scontro. E chiama il pubblico ad una partecipazione diretta nell’evento.

Attraverso il voto di una giuria estratta a sorte, gli avventori di un Poetry Slam possono decretare la vittoria o l’oblio. Ma anche i non giurati partecipano attivamente. Urla, schiamazzi, battiti di mani. Contestano i voti dei giudici o li approvano. Li condizionano. Ed «è giusto così», continua a spiegare Guido Catalano: «La poesia è un atto rivoluzionario, richiede socialità e porta salvezza». Da cosa? «Dalla sclerotizzazione della cultura, specie quella italiana», aggiunge Alfonso Maria Petrosino, giovane poeta e “slammer” di Torino, nato a Salerno. «Lo slam chiede, per una sera, di uscire dalla superficialità con cui giudichiamo l’arte. È una chiamata alla partecipazione», continua. «La forma della competizione spinge i giudici alla responsabilità e chiede ad ognuno di schierarsi, di prendere posizione».

Guido Catalano ed Alfonso Maria Petrosino sono ancora delle “reclute” nel campo dello Slam italiano. Importato dall’America una decina di anni fa, dove nacque nel 1987 grazie ad un’idea del poeta e performer Marc Smith, il Poetry Slam ebbe il suo momento fondativo a Roma, nel 2001. In occasione del Romapoesia Festival, Lello Voce con la complicità di Nanni Balestrini e Luigi Cinque diedero vita alla prima sfida poetica italiana, che vide la partecipazione di Edoardo Sanguineti, mancato a maggio dello scorso anno. Da allora lo Slam non si è più fermato e, nonostante l’aperto conflitto con la tradizione, ha conquistato nuove leve, spopolando specialmente tra chi non ha avuto paura di contaminare la purezza della lingua consegnataci dal Petrarca, dal Bembo e dal Boccaccio, con i ritmi del rap e il linguaggio del corpo.

Maestri del Poetry Slam sono diventati Lello Voce, il padre adottivo degli scontri fra poeti in Italia il collettivo di «scrittura totale» Sparajuri di Torino, la poetessa Sara Ventroni, vincitrice del primo Slam italiano. Accanto a loro hanno slammato scrittori come Christian Raimo, Aldo Nove, Tiziano Scarpa. Ma i nomi da fare sarebbero troppi e non renderebbero giustizia ai tanti che si sono sfidati sul ring del Poetry Slam, e tutti sotto il primo insegnamento lasciato da Marc Smith: «La poesia non è fatta per glorificare il poeta, essa esiste per celebrare la comunità. Il punto dello Slam non sono i punti, il punto è la poesia».

Accanto agli slammer veterani esistono piccoli poeti, dai più sconosciuti, che sul palco però si trasformano in grandi oratori. A Milano si può incontrare l’elitario Beppe Ratti, i cui giochi linguistici affettati e scanzonati impietriscono la platea, complice anche la sua barba filosofica e la mise da impiegato catastale. O Massimo Santamicone, da Perugia, che ricorda Checco Zalone in quanto movenze e zazzera mancante. «Partecipo agli Slam prendendomi le ferie», confessa. «Ho cominciato scrivendo poesie su internet», dice. «Oggi la poesia non ha molti spazi. Lo Slam è una forma di agonismo un po’ caciarone, è vero, ma porta i versi a tutti».

Tra gli slammer che riscuotono più consensi a Milano e Torino ci sono proprio Guido Catalano e Alfonso Maria Petrosino. Il primo è anche l’MC, ovvero il Maestro di Cerimonia. Quella figura a metà strada tra il sacerdote e il conduttore che presiede ogni Slam, annuncia e presenta gli sfidanti. Il secondo, classe 1981, «figlio artistico di Bob Dylan, Dante e dell’amico e poeta Pierluigi Lanfranchi», strega le giurie con storie di vita quotidiana in rima. Frutto di un lungo lavoro di elaborazione che rende la sua poesia «bella da leggere e buona da pensare», come si legge nella prefazione della sua Autostrada del sole in un giorno di eclisse.

Non tutti gli slammer sono poeti puri. Alcuni come Davide Passioni, in arte Scarty Doc, provengono dal mondo dell’hip hop: «Rap e Poetry Slam sono due mondi distinti. Da quando ho cominciato a slammare ho dovuto riguardare la mia parte performativa e a ripensare al ritmo delle parole. In uno Slam non hai il sostegno del beat, la base ritmica, ma puoi contare solo sulla tua voce. Per questo non c’è una formula che rende un rapper speciale».

Poetry Slam, il manifesto di un evento
A Milano e provincia si “slamma” in parecchi luoghi. Dal Circolo familiare Cerizza di via Padova e alcuni centri sociali (Cantiere, Leoncavallo), al circolo Arci Scighera passando per il Binario 7 di Monza, i palchi si stanno moltiplicando. «Milano è una città di poeti», spiega Francesca Genti, 35 anni e autrice del fortunato Poesie d’amore per ragazze kamikaze. «Ma sono persone che spesso se ne stanno fuori dai luoghi istituzionali». Con la poetessa Anna Lamberti-Bocconi gestisce i “Mercoledì del Cerizza”: reading di poesia e Poetry Slam in formato mignon, ambientati nel ciabot – la casetta degli attrezzi – di una vecchia bocciofila incassata fra case di ringhiera e il naviglio della Martesana. «L’ambiente familiare del Cerizza», spiega Francesca, «ci aiuta a non creare un clima troppo agonistico pur mantenendo alta la qualità delle poesie. L’ultimo dei nostri vincitori si è ha portato a casa venti birre», racconta la Genti, «ma le ha poi condivise con il suo pubblico».

Democrazia, spontaneità e condivisione. Sono queste le parole che stanno portando lo Slam a cambiare il volto della poesia ufficiale, che piacciono a Dome Bulfaro, uno dei più attivi MC del Nord Italia. Dome vive e lavora a Monza ed è il creatore del progetto PoesiaPresente. «Di me dicono che sono un “eretico” perché ho osato guardare oltre la poesia ufficiale. Per me il poeta ha un inderogabile ruolo sociale e il Poetry Slam non fa che ribadire questo concetto: riporta la poesia al centro delle dinamiche collettive». Anche Marco Borroni, 30 anni e un passato tra i palchi del rap e del Poetry Slam, è un entusiasta. Autore dell’antologia IncastRIMEtrici, Marco è uno dei pochi studiosi del fenomeno Slam in Italia: «Sono convinto che lo Slam sia una frontiera comunicativa nuova e antichissima che ci riporta a bardi e cantastorie. Gli accademici italiani non si sono accorti di questa modalità espressiva al contrario delle case editrici che si stanno accaparrando i diritti per poter vantare il primato nella divulgazione di questo nuovo genere».

Lo Slam non piace a tutti. Per il poeta e presidente della Casa della Poesia di Milano, Giancarlo Majorino: «Il messaggio del Poetry Slam è camuffato: in nome di una presunta letterarietà crea forme agonistiche che assomigliano più allo sport che alla poesia». Anche Tomaso Kemeny, importante voce della poesia milanese, è cauto: «Lo Slam mischia alla poesia l’improvvisazione, frammentandone la ricerca. La poesia è fatica, dedizione e frequentazione. Non può essere un cabaret passeggero». Non si salva niente? «Sì, anche in quest’espressione un po’ volgare possono spuntare dei fenomeni. L’importante, in fin dei conti, è che l’ultima a vincere sia la poesia».

Flickr (jcolman)

LE REGOLE DEL “POETRY SLAM”

Il Poetry Slam è una gara di poesia. Ogni concorrente legge il proprio testo e viene valutato da una giuria estratta fra il pubblico. Il tutto sotto la direzione artistica del “MC” (Master of Cerimony). Poche ma precise LE regole: tre minuti a disposizione per ogni poeta, niente musica o costumi e voto di una giuria estratta a sorte fra cinque membri del pubblico. I punteggi, espressi da 0 a 10 (anche in decimali per evitare pareggi), vengono calcolati per somma dei voti escludendo quello più alto e quello più basso.
 

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