La bomba è scoppiata ieri, rimbalzando dal Lussemburgo alla cittadina inglese di Portsmouth e da lì in tutta Europa. Si potrebbe già chiamarla ‘Sentenza Murphy’, sulla scia di quella Bosman che nel 1995 cambiò il calcio. Perché è di calcio che si tratta e di un nuovo possibile cambiamento che potrebbe investirlo. Ieri, 4 ottobre, la Corte di giustizia dell’Unione Europea, con sede nel Lussemburgo, ha decretato lo stop, per le leghe calcistiche europee, di vendere i diritti televisivi su base territoriale. Una sentenza che potrebbe portare a una vera e propria rivoluzione nei prossimi contratti.
Tutto comincia nel Red And White Pub di Portsmouth. La signora Karen Murphy, gestrice del locale, per far vedere le partite di Premier League (il campionato inglese) utilizza nel proprio decoder una smart card greca, meno costosa di quella di Sky. Il commento delle partite è in greco, ma agli avventori del pub poco importa: contano le immagini che immortalano i gol di Wayne Rooney o le parate di Peter Cech. Ma il problema c’è, eccome. Il network di Rupert Murdoch (assieme all’emittente statunitense Espn) ha firmato con la Premier League un contratto per la trasmissione in esclusiva delle partite del campionato britannico in Inghilterra. Un diritto di territorialità costato ai due colossi televisivi 2,5 miliardi di euro per tre anni. Si tratta del più ricco contratto stipulato in Europa tra una lega e un broadcaster. In Italia, il solo Murdoch ha speso 1,6 miliardi di euro per assicurarsi le immagini in esclusiva della serie A, contro gli 800 milioni di Mediaset per il pacchetto calcio di ‘Premium’ sul digitale terrestre.
Apriti cielo. Sky e Premier League fanno partire una causa contro Miss Murphy e contro tutti i gestori di pub che si comportano nella stessa maniera. La Corte inglese dà torto alla proprietaria del pub, condannandola a pagare una multa di 9.000 euro. Ma Karen Murphy non è rimasta a guardare ed ha fatto ricorso. La causa è arrivata fino al banco della Corte di giustizia Ue, che ha rivoltato la sentenza del Regno Unito. Bocciando l’esistenza di limiti territoriali nella trasmissione delle partite di calcio. Come si legge nella sentenza, «Un sistema di licenze per la ritrasmissione degli incontri di calcio, che riconosce agli enti di radiodiffusione un’esclusiva territoriale per Stato membro e che vieta ai telespettatori di seguire tali trasmissioni con una scheda di decodificazione in altri Stati membri, è contrario al diritto dell’Unione».
La sentenza parla chiaro. Non si può vietare l’utilizzo di una scheda di decodificazione straniera per seguire le partite nel proprio Paese. Non solo. La Premier League non può nemmeno rivendicare il diritto d’autore sulle partite, che non sono considerabili “creazioni intellettuali”: «Una normativa nazionale che vieti l’importazione, la vendita o l’utilizzazione di schede di decodificazione straniere è contraria alla libera prestazione dei servizi e non può essere giustificata né con riguardo all’obiettivo della tutela dei diritti di proprietà intellettuale, né dall’obiettivo di incoraggiare l’affluenza del pubblico negli stadi».
Cosa succederà, ora? La sentenza della Corte di giustizia della Ue è una di quelle che rischia di creare un precedente. Abolita l’esclusività territoriale e non riconosciuto il diritto d’autore, dovrebbe verificarsi, al momento della ridefinizione dei contratti, un generale livellamento dei prezzi e non più uno squilibrio così come era accaduto fino a ieri, con l’Inghilterra in testa alla classifica dei campionati con i più grandi introiti dalle televisioni. Potrebbe accadere che la Premier League venda a prezzo maggiorato i diritti ai broadcaster greci, per recuperare del ‘danno’ subito. O potrebbe accadere il contrario: parte dei match giocati a Londra e dintorni non verrebbero più venduti alla Grecia: in questo modo, si impedirebbe agli inglesi a caccia di partite a buon mercato di comprare le smart card elleniche.
La sentenza non colpisce solo l’Inghilterra, ma tutti i Paesi della Ue. Italia compresa. Dove Mediaset, per bocca del presidente Fedele Confalonieri, è pronta al ricorso. La decisione presa in Lussemburgo avvantaggia i locali (che per trasmettere le partite devono pagare, oltre all’abbonamento, un permesso speciale in quanto la fruizione dell’evento è pubblica) e rischia di far calare una mannaia sugli introiti delle televisioni. «Mediaset è pronta a fare ricorso. Ci saranno ricorsi su ricorsi, non solo da parte nostra ma di tutto il settore», ha spiegato Confalonieri, secondo cui rischiano di saltare tutte le esclusive. Gli effetti, sull’indotto generato dalla vendita dei diritti tv nel nostro Paese, potrebbe far andare in fumo parecchi soldi. «Con la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea il rischio è che la Lega italiana non possa più vendere i diritti all’estero che riguardano le piattaforme satellitari. Con questo provvedimento potrebbero venire a mancare 80 milioni all’anno», ha spiegato Tullio Camiglieri, presidente della open Gate Italia, società che lavora nell’ambito della comunicazione sportiva.
Gli effetti potrebbero ricadere anche sui bilanci delle squadre di calcio della serie A, più che negli altri Paesi. Se in realtà come Inghilterra o Francia, nei bilanci dei club la voce degli introiti dei diritti tv costituisce il 33% del fatturato, esattamente come le altre due voci (biglietti per vedere la partita allo stadio e merchandising), in Italia i diritti tv costituiscono il 60% degli introiti, contro il 25% del merchandising e il 15% dei biglietti. «La serie A avrà un aumento di circa 37 milioni di euro di introiti all’anno», aveva spiegato solo pochi giorni fa Maurizio Beretta, presidente della Lega Calcio, al raggiungimento dell’accordo per il triennio 2012-2015 tra la stessa Lega e Sky e Rti (gruppo Mediaset) per la trasmissione delle partite di calcio in Italia. Ma poi è arrivata la signora Murphy.