«Votate senza paura». Questo è l’appello finale del primo ministro tunisino Beji Caid Essebsi, pronunciato giovedì sera prima della chiusura della campagna elettorale per la nuova assemblea costituzionale. Un momento storico per il paese. Secondo alcuni, con il voto di domani si deciderà non solo la composizione della costituente, ma anche l’esito dell’intera primavera araba. In ogni caso, un segnale importante, pochi giorni dopo la morte del Colonnello Muammar Gheddafi in Libia, con la quale dovrebbe finire la guerra (anche se la Nato ha annunciato che concluderà le operazioni il 31 ottobre). Mentre in Siria il presidente Bashar al Assad resiste alle proteste, soffocandole nella violenza.
Un contesto che, in particolare, dà rilievo a queste elezioni. Anche dal punto di vista storico: la Tunisia, dal 1956, anno in cui la Francia concesse l’indipendenza totale, ha sempre avuto elezioni controllate. La maggior parte dei partiti d’opposizione era bandita. Quelli ammessi alla corsa erano, in generale, partiti del regime mascherati, per mantenere una parvenza democratica. Nel corso delle elezioni non mancavano episodi di violenza e intimidazione per orientare il voto. In ogni caso, il ministro dell’interno aveva il compito della conta dei risultati, lasciando agli avversari solo un pugno di seggi in parlamento.
Ora le cose sono diverse. L’assemblea dovrà redigere una nuova costituzione, sostituendo quella del 1956, decidendo anche le future elezioni. Ci sarà un presidente, che avrà carica più onoraria che effettiva. La durata del mandato non è specificata, ma gli dodici più importanti partiti si sono accordati perché non duri più di un anno. I candidati rispecchiano il più possibile la società tunisina: il 7 settembre, al termine della settimana di registrazione delle liste candidate, il risultato era di 81 partiti e centinaia di associazioni indipendenti. Tra questi, anche Ennahda (“Il Partito della Rinascita”), guidato da Rachid Ghannouchi: il suo ritorno in Tunisia alla fine dello scorso gennaio, dopo 22 anni di esilio, era stato salutato da una folla festante. Era il primo segnale evidente della grande popolarità di Ennahda, che non ha mancato di suscitare preoccupazione, all’estero, per la sua natura religiosa e le sue intenzioni non proprio limpide.
La forza di Ennahda, anche secondo quanto spiega il leader, è la sua attiva presenza nella società tunisina. Con opere di carità e assistenza ai bisognosi, ricorda. Oltre a quella che considera una «naturale simpatia» per un movimento tenuto in esilio per oltre 20 anni. Vero. Ma, va aggiunto, anche all’abilità di stabilire legami tribali e alleanze. Ora, secondo gli ultimi sondaggi, Ennahda dovrebbe ottenere il 25% dei voti, per raggiungere i 54 seggi, su un’assemblea di 217. Sarebbe un successo enorme.
«Noi siamo sempre stati dalla parte della democrazia», ha dichiarato Ghannouchi il 17 ottobre. Il suo era insieme un appello al voto, ma anche una proclamazione di intenti. Un modo per rassicurare l’occidente e i laici tunisini. «Abbiamo sempre ritenuto che fosse la via migliore contro l’ingiustizia e l’autoritarismo». Non solo: «grazie ai suoi meccanismi, permette la protezione dei diritti delle persone e la pacifica trasmissione dei poteri». Tra i diritti, sottolinea, anche quelli delle donne. Uno dei punti più delicati. Sul punto Ennahda è visto con sospetto: la sua radice religiosa comporterebbe, secondo molti, anche una visione precisa del ruolo della donna, che si ispirerebbe agli usi islamici. In un paese ancora legato alla tradizione, una posizione rigida sulla questione porterebbe a un’involuzione generale della partecipazione della figura femminile nella società. Questo è il timore.
Niente di tutto ciò è vero, assicura. «Si tratta di una serie di attacchi che subiamo ogni giorno da parte dei nostri avversari. Oltre a ciò, il partito paga vent’anni di fobia instillata dal passato regime. Ma il nostro programma, dove la parità tra i sessi figura tra i punti fondamentali, è chiaro». E, per rendere chiaro anche il concetto, tra i candidati del partito c’è anche una donna: Souad Abdel-Rahim. La sua figura, in effetti, si inquadra poco con la tradizione. Veste sportivamente, ha un piglio sicuro e gira senza il velo. «Ma questo non significa che siamo contro l’uso del niqab», spiega Souad. «Al contrario, noi vogliamo che la donna tunisina si senta libera di indossarlo, se vuole. E di non indossarlo, se non vuole». Semplice. Ma non convince tutti. Secondo molti, si tratta solo di un modo per tranquillizzare i laici. E anche dal punto di vista elettorale, una mossa strategica: il 45% degli elettori che voteranno domenica sono donne.
Nonostante le assicurazioni di Ghannouchi e dei suoi militanti, il dubbio sulle reali intenzioni del partito rimane. Non per nulla le dichiarazioni dello scorso agosto, rilasciate a un giornale del Cairo, hanno generato allarme. Ghannouchi aveva parlato di istituire un califfato in Tunisia come «obiettivo ultimo». Aldilà di considerazioni di opportunità, dettate dalla volontà di assicurarsi l’appoggio dei Fratelli Musulmani, la forma del califfato non ha molti punti di contatto con la democrazia moderna. In ogni caso, dal punto di vista ufficiale, il partito vuole porsi come un punto di riferimento sicuro, non attaccato alla tradizione e aperto a importanti riforme. Una posizione di equilibrio che tiene conto anche del suo bacino elettorale, radicato nelle campagne e nelle periferie.
Si tratta, comunque, di un momento storico. Si deciderà il futuro della Tunisia, ma anche della Primavera araba: le elezioni potrebbero costituire un modello e un precedente importante. Va ricordato, però, che dei sette milioni di tunisini aventi diritto di voto, si sono registrati solo poco più della metà. Un fenomeno prevedibile, secondo molti, in un paese che aveva da tempo perso fiducia e interesse nei meccanismi democratici. Secondo le cifre dell’ISIE (Instance Superieure Indépendente pour les Elections), organismo indipendente creato a maggio per organizzare le elezioni, gli elettori saranno 3.882.727. Di questi, i giovani (d’età compresa tra i 18 e i 30 anni) sono il 26%. Si comincerà a votare alle sette, e i risultati saranno noti già domenica, o lunedì. E allora si saprà che svolta avrà avuto il fragoroso vento di questa primavera.