Torna in pista, più o meno, per aiutare o «dare una mano» Marco Formentini, primo e unico sindaco di Milano della Lega dal 1993 al 1997. Dopo l’addio al partito, si è rifugiato di volta in volta con i Democratici, la Democrazia Cristiana per le autonomie, la Margherita. Ora, però, sembra voler tornare con il Carroccio. Non saranno forze fresche (è nato nel 1930, e ha avuto una lungo corso nella politica) ma di sicuro sincere. A Linkiesta racconta la crisi della Lega e fornisce previsioni sul suo futuro. Non sono cupe.
Formentini, cosa vede nella politica italiana, travolta da una crisi infinita?
Eh, la situazione è grave e difficile, come tutti sappiamo. Oltre alla crisi economica, la maggioranza è a pezzi. Si può anche ritrovare unita nei voti di fiducia, ma che significa? Berlusconi vacilla. Ha perso voti, ha perso consenso. Ha perso la presa sull’opinione pubblica. Questa è una cosa che si tende a dimenticare, negli ambienti di centrodestra. Prima con le amministrative, poi con il referendum di Parisi, gli elettori gli hanno dato una legnata. Sta affondando.
E la Lega?
È quella che ne fa più le spese. Se Berlusconi crolla, porta con sé, nel baratro anche Bossi e tutti i leghisti. Può finire male.
Ma quando? Nel 2013?
No. Secondo me non durerà: ha ancora potere sui parlamentari, ma questa zeppa del referendum gli darà un po’ di fastidio. Ha avuto una bella pensata Parisi, che è una persona intelligente: ha trovato il dispositivo che più di qualunque altro può portare alla fibrillazione della maggioranza. La legge elettorale loro non la faranno mai, perché non è un’idea condivisa. Proporzionale? No. Maggioritario? No. E quindi il referendum potrebbe passare: ma sarebbe una tragedia non per i partiti, ma per le segreterie di tutti i partiti, che ormai si erano ben abituate a gestire le liste degli uomini da far eleggere. Tutti, non solo la destra. L’unico modo per fermarla è andare alle elezioni prima: nel 2012.
E in quel caso cosa succederà?
L’unica che ne uscirà bene è la Lega.
La Lega?
Sì, ma deve sottrarsi all’orbita berlusconiana. Ogni giorno che passa la paga, questa fedeltà a Berlusconi: se votano, che so, il processo breve, sarebbe una cosa con effetti devastanti per il suo interno. Per i sostenitori e per i tesserati. Finora hanno votato le peggiori malefatte parlamentari, e li capisco. Silvio ora è uno svantaggio, ma è stato anche positivo.
In che senso positivo?
Ad esempio grazie a lui la Lega ha ottenuto il federalismo. In ogni caso, ha ottenuto che l’idea del federalismo superasse il vaglio degli scettici. Che diventasse un’opzione credibile, pensata. Questo è importante in politica.
Sì, ma lei era per un’alleanza con il centrosinistra, piuttosto che con Berlusconi.
Vero. Mi sono sbagliato, succede. Credevo che potesse rendere di più alla Lega stare da quella parte. E invece ha avuto ragione Bossi. Ha fatto bene ad andare con Berlusconi.
Quindi ci ha ripensato.
I risultati gli hanno dato ragione. Ma ora bisogna staccarsi, altrimenti sarà un cataclisma. Avrebbero dovuto farlo già ad Aprile, ma ci sono anche questioni di fedeltà alla base. Silvio ha salvato la Lega nel 2010: avevano puntato sul federalismo, ma i tempi non erano ancora maturi. Ora però basta: la Lega deve trovare un forte messaggio nordista, in primo luogo, con cura. È possibile, non lo nascondo, che sia chiamato anche io a dare una mano. E poi correre alle elezioni: il centrodestra è da rifare, e la Lega, secondo me ha molto spazio per vincere.
Ancora con la destra?
Certo. Perché se la destra è da rifare, la sinistra è ancora più scassata, non le pare?
Quindi la ricetta è la Padania.
No, no. Il nordismo. Senza perdersi nel folklore della Padania, che fa più male che bene. L’Italia ha bisogno di un messaggio chiaro, che punti sull’economia. Contro lo spreco delle risorse, che dovrebbero restare a disposizione della comunità, senza interventi dello stato (a meno che straordinari). Va rimesso in piedi un sistema produttivo, con nuovi investimenti. Chi lo può fare? Il nord. E poi insieme ai moderati di destra, che sono sempre più al centro. Ma senza Berlusconi: il grande capo è un peso.
Ma su Berlusconi la Lega è divisa. Lo è perfino su Bossi.
Ma no, si figuri. Bossi non si tocca. Sono tutte esagerazioni.
Ma come. E il cerchio magico?
Non penso che ci siano i presupposti per una rottura. Bossi è il fondatore, e anche se può avere la tentazione di riposarsi, i fondatori non perdono mai il loro partito. Lui, poi, non ha mai perso il polso dei suoi elettori. Sa sempre cosa vuole la sua gente, la capisce, la ascolta, la sa leggere.
Sì, ma non sempre si comporta come se lo facesse. Ad esempio, far eleggere il figlio Renzo ha indispettito tutti.
È stato un errore, certo, la successione dinastica non piace a nessuno. Ma mi ascolti bene: Bossi non sbaglia mai una parola. Secondo lei, perché lo ha chiamato “trota”? Per indicare che sì, è suo figlio, un bravo ragazzo, ma non sarà mai un delfino, un dirigente. Se l’Umberto dovesse scegliere un successore per guidare la Lega del domani, che, ripeto, avrebbe grandi prospettive nel futuro, non sarebbe senz’altro lui.
E chi sarebbe?
Maroni.
Ah.
Sì, è il più sottile di tutti. Aveva alcuni problemi con la comunicazione, difficoltà di carisma. Ma è cresciuto anche lì. Un ottimo ministro dell’Interno, che ha mandato in carcere più boss mafiosi di tutti quelli che sono venuti prima di lui. Ha lavorato bene, piace alla base e ha soddisfatto tutti. Sarebbe una Lega a guida maroniana, con grandi praterie nel centrodestra, impostazione nordista e benedizione del fondatore, l’Umberto. Ecco il futuro che vedo io per il Carroccio. Non mi sembra male, no?