I governi sognano il controllo totale su internet

I governi sognano il controllo totale su internet

Attenzione: sul web c’è un problema di sicurezza. A lanciare l’allarme è l’Internet Governance Forum, che si è appena concluso a Nairobi. Si è trattato di una tre-giorni serrata di confronti e dibattiti sulla rete, sotto l’egida dell’Onu. Per questo, i delegati delle oltre 100 nazioni presenti al summit hanno esortato i governi a incrementare l’efficacia delle politiche di contrasto al cybercrimine. Un fenomeno che sta registrando negli ultimi anni un netto aumento, in particolare nei Paesi in via di sviluppo.

Da quanto è emerso durante i lavori dell’Igt, Internet sta diventando infatti un mezzo sempre più utilizzato per effettuare transazioni illegali di denaro, ma anche per chi traffica droga, armi o esseri umani. Non solo cybercrimine “tout court”, dunque, ma anche criminalità comune che sul web si ricicla e si rafforza. Senza dimenticare la pedopornografia, che proprio nella rete ha trovato un considerevole canale di diffusione. A detta dei partecipanti al forum, la criminalità informatica rappresenterebbe una seria minaccia anche per la sicurezza e la stabilità degli stessi Governi.

Sono stati numerosi gli argomenti affrontati durante la sesta edizione dell’Internet Governance Forum, che, sin dal titolo, si era sin da subito prefissato di affrontare un carniere di argomenti di tutto rispetto: «Internet come catalizzatore del cambiamento: accesso, sviluppo, libertà e innovazione». Piuttosto consistente è stata la presenza cinese, motivata forse più dai ghiotti risvolti economici che la rete è in grado di offrire che dalla convinzione di poter offrire al mondo un modello di web-governance esportabile. Lo stesso si può dire dell’Iran che, nonostante questo, è riuscito a portare a Nairobi il doppio dei delegati italiani. Non che fosse un’impresa ardua. A rappresentare l’Italia, infatti, c’era un unico delegato: il senatore del Partito Democratico Vincenzo Vita, vice presidente della Commissione cultura e membro della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. È stato proprio lui tra i principali fautori della proposta per «una grande iniziativa mondiale per la diffusione della banda larga», così come l’ha definita lui stesso. Ma a difendere la presenza tricolore c’era anche una delegazione dell’Istituto di informatica e telematica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa, eccellenza nazionale pioniera della diffusione di Internet e delle tecnologie informatiche nel continente africano. E, tra le grandi aziende, Telecom Italia.

La cerimonia di chiusura del Forum di Nairobi
Tuttavia al di là di allarmi, presenze inattese, assenze ingiustificate e buone intenzioni, agli osservatori più attenti non è sfuggito come il tema centrale del dibattito sia stato ancora una volta il rapporto tra Internet e politica, e la sottile linea di demarcazione tra la necessità di concordare una governance di Internet e la tentazione di imporre sulla rete un vero e proprio controllo politico. Tanto da suscitare allarme tra gli attivisti del web, alcuni dei quali hanno letto il summit quasi come fosse un abbozzo di “Stati Generali per il controllo globale della rete”. Vedendo, di conseguenza, nell’allarme-sicurezza lanciato dal Forum un tentativo di giustificare una maggiore ingerenza dei governi in Internet.

Come prevedibile, le posizioni circa le modalità di esercizio di questa governance, e soprattutto sui suoi confini, sono state discordanti. Sarà rimasto sicuramente deluso chi sperava che il summit potesse diventare un’occasione per sotterrare l’ascia di guerra dopo che il fenomeno Anonymous e, soprattutto, il caso Wikileaks avevano visto fronteggiarsi i puristi fautori della rete libera e del diritto all’informazione senza se e senza ma, da un lato, e dall’altro l’imprescindibile esigenza dei governi di garantire sicurezza e legalità nella rete.

Tra chi invoca la costituzione di un grande controllore del web sopranazionale e chi continua a fare il tifo per un modello di governance diffusa, priva di soggetti in grado di imporre urbi et orbi il proprio diktat, c’è chi prova a fare da sé, almeno in casa propria. Dimostrando una visione del web ben diversa da quel “catalizzatore del cambiamento” così accoratamente sbandierato dall’Igf. E senza dover citare per forza il regime comunista cinese o la teocrazia iraniana, qualche esempio di voce fuori dal coro si può trovare anche a casa nostra, nella Vecchia Europa.

In primis, quello francese. Per Parigi, ad esempio, Internet resta ancora un territorio selvaggio da civilizzare. Parola di Monsieur le Président, Nicolas Sarkozy. Il quale, non a caso, nel maggio scorso era stato il padre-padrone di eG8, una sorta di summit degli otto grandi interamente dedicato al web, e servito più che altro al premier francese per tastare il terreno in cerca di alleati internazionali che appoggiassero la sua linea “civilizzatrice”. Curiosità: anche allora, l’unico esponente politico italiano presente fu il senatore Vita. Con una differenza: in quell’occasione gli esponenti del nostro governo furono deliberatamente lasciati fuori dalla porta, nonostante le esplicite richieste di partecipazione.

E in Italia? Da noi le restrizioni alla libertà del web che periodicamente vengono riproposte in maniera frettolosa e raffazzonata come la panacea di tutti i mali, salvo poi fare altrettanto repentinamente dietrofront, sembrano essere frutto non tanto del desiderio di “addomesticare” la rete, quanto dell’incapacità di coglierne quegli aspetti peculiari che la rendono unica rispetto a tutti gli altri media. Ne sono un esempio lampante casi come la tanto vituperata delibera Agcom, riveduta e corretta prima ancora di essere emanata, o la cosiddetta norma “ammazza blog” in discussione in questi giorni. Insomma, in Italia il rapporto tra potere politico e web non è quello tra censore e censurato, con buona pace di chi grida al bavaglio, ma ricorda piuttosto quello tra il proverbiale selvaggio e la sveglia che porta al collo: non sa esattamente cosa di cosa si tratti, e la usa allora nella maniera che gli sembra più consona, assolutamente convinto che sia quella giusta.

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