Je vote donc je suis! Io voto, dunque sono. E in Tunisia “per esserci” in tanti hanno aspettato tutta una vita.
“Ho 62 anni è la prima volta che vado a votare, ed è un’emozione che non si può descrivere”. Mohamed è un tecnico della Tunisiana, la compagnia telefonica, e stamattina è stato il primo ad entrare nel seggio di Rue De Marselle, a pochi passi dalla centralissima Avenue Bourguiba. All’uscita mostra orgoglioso l’indice annerito dall’inchiostro: “è la prova del voto – dice – e ora per la Tunisia le cose andranno sempre meglio”. E’ il primo di una lunga fila che scorre ordinata e lenta, e che passare delle ore continua a crescere. Ci sono uomini e donne con i bambini in braccio, molti giovani ma anche tanti anziani, accomunati da questa prima grande esperienza. Nell’attesa si parla dei cambiamenti degli ultimi mesi, di come la rivoluzione abbia dato una spinta in più al paese, anche se tutti ammettono di essere solo all’inizio.
Faysal ha 37 anni, e soddisfatto conta la gente in coda. “Voterò nel tardo pomeriggio – dice – quando avrò completato il giro dei seggi”. Ha deciso di candidarsi col Pdp, il partito democratico progressista perché vuole che il suo sia un paese laico. “Sono musulmano, ma ho paura della forza persuasiva del partito islamico – confessa – perché un conto sono le promesse elettorali in cui si dice che tutti avranno più diritti civili, un altro è un governo regolato sulla base della religione. Come facciamo ad essere sicuri che Enhada prenderà le distanze da ogni forma di radicalismo?” Il problema per Faisal riguarda anche il rilancio economico della Tunisia a livello internazionale. “In questi mesi di grande cambiamento si sono aperte molte possibilità – dice – ma settori come il turismo hanno avuto un calo. Un’ assemblea costituente che possa ragionare su una Carta davvero democratica è la base per la stabilità di un futuro governo, e per la crescita economica e lo scambio con gli altri paesi. Dobbiamo dare l’esempio e far capire che la Tunisia ha già scelto una strada diversa dall’Egitto e dalla Libia”.
Per Amina l’importante è aver recuperato prima di tutto l’esercizio del voto. E’ un’insegnate di 52 anni, non porta il velo e pensa che avere così tanti candidati per oltre mille e 500 liste sia una ricchezza: “Oggi siamo qui per dare una forma alla scena politica tunisina, con tutte le sue correnti e convinzioni. Finora le operazioni di voto – dice – si stanno svolgendo all’insegna della trasparenza. Staremo a vedere cosa succederà con lo spoglio, e poi con la formazione dell’Assemblea nazionale.
Ma la situazione di Tunisi non vale per tutto il paese. Nel sud, come confermano alcuni cooperanti di Ong locali e straniere, la presenza delle formazioni islamiste è quasi esclusiva, perché nei piccoli paesi l’unico collante di fatto resta la religione.
“Nella parte meridionale del paese sono nate tante associazioni più che partiti – racconta Irene, italiana che lavora su alcuni progetti internazionali con la Tunsia e che vive in questo paese da prima del 14 gennaio – ma l’attivismo dei giorni immediatamente successivi alla rivoluzione è andato scemando. L’appuntamento elettorale però ha dato una spinta nuova. Per le vie di Tunisi intanto dalle auto si sventolano le bandiere del paese, e davanti ai seggi si suona il clacson come in un giorno di festa. Nei caffè si chiacchiera seduti all’aperto, si commenta la giornata, si aspetta la chiusura dei seggi, giornali in mano. Su “la Presse” di oggi campeggia una vignetta: un uomo che imbuca nell’urna la sua scheda e dice “Sono ottimista, ma voto”.