Sembrava già finita, tra Emma Marcegaglia e Susanna Camusso: quell’armonia raggiunta, dopo lunghe discussioni, alle soglie dell’estate appariva compromessa. Tutta colpa di una lettera. Quella che Silvio ha portato alla Bce, con dentro le sue misure per la crescita, tra cui il “licenziamento facile”. Alla Camusso non è andata giù. Alla Marcegaglia, invece, piace. E l’alleanza tra le due, che insieme hanno affrontato e superato ostacoli come Berlusconi e Marchionne, sta crollando. Forse, però.
La loro nuova complicità sembrava (quasi) inossidabile. Fin da quel 28 giugno, quando Confindustria e i tre maggiori sindacati dei lavoratori (Cgil, Cisl e Uil) avevano trovato l’accordo sulla contrattazione. Ne avevano definito i limiti e anche stabilito, tra le altre cose, i contesti di efficacia dei contratti collettivi aziendali. Le parole erano di soddisfazione: «Abbiamo definitivamente sottoscritto l’accordo», aveva detto Emma Marcegaglia, raggiante. Sì, faceva eco la Camusso: ora «c’è un impegno formale a rispettare l’accordo. E abbiamo ribadito che la contrattazione è materia delle parti e non del governo». Il lungo cammino a braccetto comincia così.
Dopo quasi due mesi, la seconda tappa. Il 10 agosto il governo, da giorni travolto dalla caduta delle borse, si vede chiamato al varo di misure anti-crisi d’emergenza. Si riunisce al tavolo con le parti sociali. Ma le ipotesi sulla manovra lasciano tutti perplessi. «Se lo schema che leggiamo sui giornali verrà confermato nel decreto – sbuffa la Camusso – proseguiremo la mobilitazione per cambiare la manovra. Anche con lo sciopero generale».
E la Marcegaglia, scontenta, precisa: «Vogliamo vedere tagli alla spesa pubblica e provvedimenti sulla tracciabilità dei contanti, per combattere l’evasione fiscale. E poi più equità: chi ha di più può dare di più», e concludeva così: «La situazione è urgente, il Paese ha bisogno di risposte». Susanna approva, la situazione è difficile. Di fronte a quest‘unisono, a Berlusconi non resta che chinare il capo e tornare al lavoro.
Dopo Ferragosto, ecco il decreto legge. Va bene, dicono. Ma non convince del tutto: il 14 agosto Emma Marcegaglia racconta al Sole24Ore che «il metodo della coesione ha salvato l’Italia». Tutti i sindacati hanno agito insieme: una voce sola. Questo perché «ci vuole grande senso di responsabilità». A lei piace così, e dice: «È un’esperienza di cui ho fatto tesoro». Anche se «qualcuno ha ironizzato, era giusto tornare a riunirsi in un momento così drammatico». Facendo un «fronte compatto con storie diverse», cioè una risorsa. Di più: «un’alleanza, un patrimonio da valorizzare». Meglio di così.
Però non tutto procede come dovrebbe. All’inizio di settembre, il governo mette in campo l’articolo 8 della sua manovra: da quel momento in poi, i contratti di lavoro potevano essere decisi e firmati anche in deroga alle leggi vigenti. Comprese, tra queste, le regolamentazioni dei contratti collettivi nazionali. Ed estrema libertà anche sui licenziamenti. «È anticostituzionale», grida la Camusso. «Qui si vuole solo distruggere l’autonomia del sindacato», aggiunge.
Sul punto, però, la Marcegaglia pianino si sfila: «non è incoerente con gli accordi del 28 giugno», suggerisce. «Si dovrebbe essere aperti». Ma dura poco: «Decida da che parte sta», le intima la Camusso. O con il 28 giugno, o con l’articolo 8. E lei rientra, siglando un altro accordo con la Triplice, il 21 settembre, in cui si modera la portata dell’articolo 8. Ogni deroga dovrà essere approvata. Punto, a capo. Ma proprio quando l’armonia sembra ristabilita, un nuovo ostacolo si staglia all’orizzonte: Marchionne.
Dopo pochi giorni, arriva l’addio dell’amministratore delegato Fiat, che scuote Confindustria. Mr. Marchionne lascia il sindacato perché in disaccordo con il patto del 21 settembre. Meglio l’articolo 8, dice. «Sono motivazioni che non stanno in piedi», risponde subito la leader di Confindustria. È sconvolta e furente. Faccia quello che vuole, Marchionne, dice. In suo soccorso arriva Susanna: «È un innovatore che vuole tornare a ricette ottocentesche», dice. E poi: «la Fiat non dice quali siano i nuovi prodotti e che prospettive darà. Sa solo annunciare nuove casse integrazione».conclude.
E così, tra tagli del rating, manovre più o meno riuscite, critiche al governo e tentativi di crisi politica, la strana coppia è andata avanti. Fino a oggi. Tutta colpa di una lettera, o meglio, della lettera con la quale Berlusconi si impegna a liberalizzare il mercato del lavoro italiano. Per la Bce è troppo rigido, il premier deve metterci mano. E così Berlusconi ha presentato la sua ricetta: più mobilità per gli statali, più incentivi per le assunzioni e, soprattutto, licenziamento facile. Cioè: possibilità per le aziende di licenziare in caso di crisi.
«Niente di serio, solo tre attacchi contro i lavoratori. Misure da incubo», reagisce la Camusso. E poi ironizza: «il governo non ha nemmeno la forza per attuarle, queste misure». Cerca il sostegno dell’alleata. Ma stavolta non c’è. È a New York, lei. E da qui approva le misure: «È un passo nella giusta direzione», dice. «Bisogna eliminare tutte le rigidità e introdurre più flessibilità», aggiunge. E, al colmo: «Quella del governo è una chiara road map. Sono sicura che gli impegni saranno portati avanti».
Addio alleanza? Sembra di sì. Ed è quasi una separazione sentimentale. Lo lascia trapelare oggi, con rammarico, la stessa Camusso: «Sembra che Confindustria abbia ritrovato l’amore per il governo», accusa. Il nemico è sempre il governo: prima le univa, e ora le divide. L’allarme è lanciato, lo strappo, ormai, consumato: «ce lo ricorderemo, ogni volta che un’azienda ci chiederà di ridurre il personale», avverte, acquistando il consenso di Cisl e Uil.
Ma in ogni unione, anche politica, ci sono burrasche. Emma lo sa e cerca subito, in serata al Tg2, di ricomporre le divergenze. Ai sindacati propone di «ragionare insieme, anche con il governo, per capire cosa fare». Insieme, però. E chiede di «ridurre la rigidità in uscita». In cambio parla di nuovi «ammortizzatori sociali», di formazione e riduzione del precariato. L’importante è «superare le rigidità», che sono solo «deleterie». Ci vuole unione, occorre agire tutti insieme. È un appello e un invito alla riconciliazione. Il colpo di fulmine è finito, ma la storia, forse, continua.