In politica i nemici vanno e vengono. Ora, però, Silvio Berlusconi rischia di crearsene di nuovi, e inaspettati: i nobili. Secondo la bozza del decreto sviluppo, come è ormai noto, la quota legittima di eredità destinata ai figli verrebbe modificata. Si mantiene la soglia dei due terzi, ma cambia la ripartizione, e metà di questi due terzi sarebbe destinata a un “favorito”, secondo la volontà testamentaria. Una situazione che andrebbe a complicare i già spinosi passaggi di patrimonio di generazione in generazione. Dagli industriali fino ai proprietari terrieri di antica data.
Ma Berlusconi rischia davvero, nel suo ultimo scampolo di carriera, di far inferocire anche gli aristocratici? «Ormai, in Italia, le famiglie nobili sono circa 50.000», spiega a Linkiesta Andrea Borella, editore della SAGI (Società Araldica Genealogica Internazionale). «Di queste, solo il 5% ha mantenuto un patrimonio, diciamo, ragguardevole». Tutti gli altri sono persone che vivono in modo ordinario. «Conosco un conte che fa il benzinaio, un marchese che fa il sarto. E poi avvocati, medici, notai. Ormai fanno di tutto, con redditi normali», spiega.
Una legge come questa scatenerà il loro sdegno? Difficile, dice. «Al contrario, avrebbe potuto avere senso nell’800». Ma come. «Sì. Il decreto avrebbe potuto cambiare molte cose: in particolare, evitare la parcellizzazione delle proprietà». E, di conseguenza, salvare la nobiltà dalla rovina. La legge di Berlusconi, allora, arriva con qualche anno in ritardo.
«In realtà, il colpo di grazia per l’aristocrazia sono state le due guerre mondiali. E, prima ancora, tutto è cominciato con Napoleone». Cioè? «L’arrivo di Bonaparte in Italia ha significato l’eliminazione dell’istituto del fedecommesso, che permetteva di lasciare in eredità la totalità, o la quasi totalità del patrimonio, a un erede designato. Con l’obbligo di mantenerlo intatto». Un sistema che ha tenuto in piedi le aristocrazie, e i loro patrimoni, per secoli. Dopo Napoleone e l’eliminazione del fedecommesso, le ricchezze nobiliari si sono frantumate.
Tempi (e soldi) andati. Certo, se fosse vissuto più di cento anni fa, Berlusconi, con la sua legge, avrebbe potuto contenere il fenomeno. «Forse non del tutto, ma di sicuro un po’», sorride. Però, senza dubbio, il Cavaliere vive in quest’epoca, e, al giorno d’oggi, le cose sono diverse. «Una legge del genere è iniqua e non democratica», commenta Borella. Piuttosto, si «potrebbe intervenire vincolando, nei passaggi ereditari, le collezioni di quadri o di argenteria». Se suddivise, sottolinea, non hanno più lo stesso valore. E ancora «si potrebbe anche premiare chi, tra gli eredi, si sobbarca il costo di un palazzo o di un castello». Cose che, oggigiorno, sono più un peso economico e organizzativo che una risorsa. «Sarebbe anche un modo per preservare la nostra storia e le opere artistiche», spiega.
Del resto, di quel 5% di aristocratici che ha saputo mantenere una certa ricchezza, «la maggior parte ha convertito i propri palazzi in alberghi, o li ha riqualificati per i turisti». Un modo per contenere i costi e, insieme, salvaguardare il patrimonio storico dell’Italia. Sono quelli che potrebbero trovare sgradevole il ritocco sulla legittima, in particolare i più giovani eredi. Nomi, però, Borella non ne vuole fare e non ne fa. Ma basta qualche ricerca: tra i più ricchi happy few dell’antica aristocrazia, figurano i Borromeo. Non solo antenati nei Promessi Sposi: la famiglia ha isole, palazzi e castelli gestiti come luoghi d’attrazione turistica. L’eredità sarebbe pesante. E qualcuno di loro, in più, ha già potuto dimostrare che Berlusconi, insomma, lo gradisce poco.