Tutti contro il Porcellum. A leggere le dichiarazioni delle ultime ore non c’è esponente politico che non sia d’accordo. La riforma elettorale approvata nel 2005 è stata uno sbaglio. L’introduzione delle liste bloccate, un attentato alla democrazia. Troppo evidente la risposta del Paese – i comitati per il ritorno al Mattarellum hanno raccolto oltre un milione di firme in un paio di mesi – per non cambiare idea. Improvvisamente il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha aperto all’ipotesi referendum, il segretario del Pdl Angelino Alfano si è reso disponibile a modificare il Porcellum in Parlamento (domani a Palazzo Grazioli il coordinatore Denis Verdini dovrebbe presentare il progetto ai dirigenti del partito). Nella serata di ieri ha rinnegato la legge elettorale persino il suo ideatore, il ministro leghista Roberto Calderoli, che ha rivelato: «In realtà noi della Lega eravamo a favore del Mattarellum, ma ci hanno ricattato».
Il governo scricchiola, il voto anticipato sembra avvicinarsi. E i politici di ogni schieramento prendono le distanze da una delle riforme più impopolari degli ultimi anni. In queste ore si cerca un accordo per modificare la legge in Parlamento. Il rischio è che uno degli aspetti più discussi del Porcellum – la distanza tra elettori ed eletti – rimanga. Già, perché una classe di parlamentari nominati dalle segreterie di partito fa comodo a molti. Una parte del mondo politico non è disponibile a reintrodurre il sistema delle preferenze. A dispetto delle dichiarazioni di facciata, a Montecitorio il partito delle liste bloccate esiste ancora.
Le motivazioni sono diverse. C’è chi è convinto che le liste bloccate agevolino la carriera politica dei più giovani. Chi pensa che dare ai segretari di partito il potere di nomina dei propri parlamentari possa evitare guerre intestine tra le correnti. Ma c’è anche chi crede che un Parlamento di nominati dall’alto sia al riparo dalle interferenze della criminalità organizzata. Tanti peones, alla prima esperienza in Parlamento, hanno motivazioni più “private”. Si sono resi conto che se venisse abolito il sistema delle liste bloccate – dove in alcuni casi si sono già conquistati un posto per meriti sul campo – non avrebbero alcuna possibilità di essere rieletti.
Tra i fedelissimi della lista bloccata – almeno a leggere le dichiarazioni del ministro Calderoli – ci sarebbe il presidente della Camera Gianfranco Fini. Anzi, sarebbe stato proprio l’ex delfino di Giorgio Almirante ad aver ricattato la Lega Nord nel 2005, ottenendo l’abolizione delle preferenze. Fini oggi smentisce quella ricostruzione. Ma il leader de La Destra Francesco Storace conferma: «È stato lui a mettere la pistola alla tempia dei deputati che allora erano in An per imporre quella legge. Pena la non ricandidatura».
In Futuro e Libertà ancora oggi c’è chi difende apertamente le liste bloccate. È il caso del deputato emiliano Enzo Raisi. In molti, invece, hanno cambiato velocemente idea. Poche ore fa sul sito del partito il vicepresidente Italo Bocchino spiegava: «Fli e il Terzo Polo ritengono indispensabile che il Parlamento approvi almeno una modifica che permetta agli elettori di scegliere gli eletti». All’inizio di questa legislatura, però, la pensava diversamente. Tanto da proporre come primo firmatario un disegno di legge per modificare il sistema elettorale delle Europee (con abolizione delle preferenze). È interessante leggere quello che Bocchino scriveva nella relazione al documento. «Negli ultimi tempi, in particolare a proposito delle elezioni politiche nazionali, si è da più parti ritenuto che ripristino del voto di preferenza possa rappresentare l’attribuzione di una maggiore facoltà di scelta da parte dei cittadini. Solo ad un’analisi superficiale si può pensare che questa affermazione corrisponda al vero». Il vicepresidente futurista era convinto che il meccanismo delle preferenze avrebbe provocato un aumento «dei costi delle campagne elettorali e, più in generale, di tutta la politica». Ma, soprattutto, avrebbe indebolito i partiti. Favorendo «la formazione di un sistema di correnti organizzate che mina l’unità di indirizzo del partito politico». Lunga la lista dei firmatari di quel ddl: da Giorgio Stracquadanio al neoministro per le Politiche europee Anna Maria Bernini.
In questi giorni anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa si è detto disponibile a correggere la legge elettorale in Parlamento. «L’opinione pubblica – le parole dell’esponente del governo – si è giustamente convinta che i cittadini devono scegliere in tutto o in parte i parlamentari. Allora facciamo questa modifica». Eppure lo stesso ministro nell’estate del 2008 spiegava al quotidiano Europa i suoi dubbi rispetto al sistema delle preferenze. Un meccanismo che «manda a rappresentare i partiti persone non sempre adeguate».
Non è l’unico, all’interno del Pdl, a criticare le preferenze. Questa mattina il presidente della bicamerale per l’Attuazione del federalismo fiscale Enrico La Loggia ha confermato la sua «totale contrarietà» all’ipotesi di ripristino delle preferenze. «Un meccanismo che in passato ha spesso determinato una serie di condizionamenti per lo più negativi, ed in certi casi addirittura criminali». Il capogruppo dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto ha a cuore il tema economico: «Il sistema delle preferenze è stata una delle cause delle crisi della Prima Repubblica perché costringe i candidati a cercare risorse molto rilevanti». È d’accordo con lui il portavoce del partito Daniele Capezzone, che teme un ritorno «del peggio della vecchia politica, con lotte selvagge tra cordate e correnti, voti controllati da piccole e grandi organizzazioni criminali e esplosione dei finanziamenti illeciti». «Le campagne elettorali – insiste il Pdl Giuliano Cazzola – costeranno milioni, che saranno versati ai candidati dalle lobby che chiederanno in cambio favori». Più sintetico il ministro Altero Matteoli: «Per quanto mi riguarda sono contrario alle preferenze».