Mario Draghi termina il suo mandato da governatore della Banca d’Italia, sono sue testuali parole, «in una situazione confusa e drammatica sul piano nazionale, internazionale, politico ed economico». Quanto alle banche in generale, ha aggiunto che «la richiesta di coefficienti patrimoniali più elevati è necessaria per fronteggiare le attuali preoccupazioni degli investitori». Sulle banche italiane è stato rassicurante: «Sono in grado di rispondere a questa nuova sfida».
È un messaggio di fiducia, quello del governatore uscente, un’affermazione forte ma non priva di rischi: di questi tempi basta infatti poco perché qualcosa vada storto. Ne consegue che tanto le autorità di controllo quanto i controllati dovrebbero mandare ai suddetti investitori (il “mercato”) messaggi univoci, capaci di fare luce nel buio e di fornire qualche appiglio sicuro. Non di aggiungere confusione a confusione.
Perciò è preoccupante che in queste ultime settimane sia stata proprio la Vigilanza della Banca d’Italia a distinguersi come moltiplicatore di confusione in una vicenda che invece richiedeva percorsi, paletti e tempi certi. La vicenda in questione è quella che riguarda la ricapitalizzazione e il cambiamento delle regole governo della Banca popolare di Milano, istituto fra i primi dieci in Italia.
Un paradosso drammatico. Gli interventi a singhiozzo della Vigilanza della Banca d’Italia, che in ben tre occasioni sono stati dei veri e propri colpi di scena, stanno invece mettendo a repentaglio il successo dell’aumento di capitale da 800 milioni di euro della Bpm. Di sicuro, come raccontano le cronache di questi giorni, hanno creato una situazione paradossale di caos e di stallo. Dentro e fuori l’istituto cooperativo di Piazza Meda, tutti si aspettavano che l’assemblea dei soci di sabato scorso segnasse un punto di svolta. E invece sabato mattina è arrivata una lettera di Bankitalia: viene richiesto che i componenti del nuovo consiglio di gestione siano prescelti fra professionalità esterne, che non abbiano mai ricoperto cariche in Bpm. Una richiesta fuori tempo massimo. Da inizio mese, infatti, la lista degli Amici Bpm (i soci dipendenti), uscita poi vincitrice dall’assemblea, aveva candidato il direttore generale in carica, Enzo Chiesa, a consigliere delegato. Chiesa, che è stato promosso direttore generale a maggio, ha anche preparato il piano industriale sul quale è basato l’aumento di capitale da 800 milioni di euro. Ma sul suo nome c’è il veto di Bankitalia. Allo stato, non sembra una preclusione specifica sul manager, che lavora nel gruppo Bpm da circa 20 anni, ma piuttosto una questione di principio: «Promuovere – cioè – il definitivo superamento delle passate logiche gestionali», ossia dell’eccessiva influenza dei soci-dipendenti, «a presidio della sana e prudente gestione».
Ieri pomeriggio, riferisce oggi il quotidiano finanziario Mf, si è cercato un compromesso: nominare Chiesa per un anno, in modo da gestire l’aumento e avviare il piano industriale, e poi cercare con calma un nuovo consigliere delegato. Il vicedirettore generale Anna Maria Tarantola, che fra i membri del direttorio di Bankitalia è quello che sovrintende alle questioni di Vigilanza bancaria, è stata irremovibile. La mediazione tentata da Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca (la banca d’investimento che coordina l’aumento), non ha funzionato. Tanto che Chiesa ha messo sul tavolo la disponibilità a farsi da parte, chiedendo alla banca la risoluzione del rapporto. A nulla è valso far notare alla Tarantola che un consigliere delegato diverso da Chiesa implicherebbe uno slittamento della ricapitalizzazione. Prima di spendersi sul mercato, infatti, un nuovo manager chiederebbe di valutare il piano industriale e avrebbe bisogno di tempo per conoscere la banca e preparare le sue modifiche.
A queste obiezioni la Tarantola pare abbia risposto – secondo quanto riferiscono fonti finanzarie – che la posizione di Via Nazionale “è scritta nella lettera” e che la permanenza del direttore generale Chiesa è “fondamentale per l’aumento”. In sostanza, per Bankitalia si dovrebbe nominare un consigliere delegato di provenienza esterna, che avrebbe per definizione le deleghe, mentre, scrive oggi il Sole24ore, «dovrebbe lavorare con lui per la ricapitalizzaione delle banca». Oltre a ignorare le logiche del mercato, la posizione di Via Nazionale sembra sfidare anche la logica classica. Da un lato, Chiesa non può diventare consigliere delegato perché il suo lungo passato in Bpm non sarebbe garanzia di sana e prudente gestione; dall’altro, la sua presenza sarebbe fondamentale per quel rafforzamento del patrimonio che è premessa della sana e prudente gestione.
In tutto questo caos, il consiglio di sorveglianza (cds) si è riunito per la prima volta questa mattina, sotto la presidenza di Filippo Annunziata, per procedere alla nomina del consiglio di gestione, l’organo che poi avrà in carico l’effettiva conduzione della banca. I lavori sono stati interrotti più volte per dare modo di proseguire le trattative sul nome del consigliere delegato. I nomi sul tavolo, a parte l’ipotesi Chiesa censurata da Bankitalia, sono diversi. Una prima possibilità è Davide Croff (ex Bnl), già indicato come componente senza deleghe del consiglio di gestione, mentre la presidenza andrà per certo ad Andrea Bonomi, il patron di Bi-Invest che detiene il 2,6% della Bpm. Un altro papabile potrebbe essere Carlo Salvatori, ex presidente di Unicredit, ex a.d. di Unipol. O ancora Pietro Modiano (uno degli 80 soci de Linkiesta), già braccio destro di Alessandro Profumo a Unicredit, poi amministratore delegato del Sanpaolo e quindi direttore generale di Intesa Sanpaolo, che non dispiace ai sindacati interni. Ogni soluzione passerà, comunque, per una complicata rete di accordi e compensazioni tra consiglio di sorveglianza, Mediobanca e Bankitalia. Nel consiglio di gestione, oltre a Bonomi e a Croff, si prevede l’ingresso di Dante Razzano (in quota Bonomi/Bi-Invest), del banchiere Alessandro Foti e del manager Claudio De Conto (Pirelli e già consigliere di amministrazione della Rcs).
Tanto complicata si fa la partita che non è esclusa una soluzione salomonica in salsa italiana. Quale? Chiesa resta direttore generale. Sarà lui da quella posizione a gestire l’aumento di capitale, il cui avvio è confermato per lunedì 31, ma senza essere ricevere i gradi di consigliere delegato. Poi, a bocce ferme e aumento (si spera) riuscito, ci si ritroverà a parlarne attorno a un tavolo, magari nel giro di qualche mese. E a dispetto dei proverbi, chi non era buono per il re (il Chiesa bloccato oggi da Banca d’Italia), potrebbe tornare utile alla regina (sempre Chiesa, ma domani). Nel frattempo, un bell’aumento di capitale senza consigliere delegato.