Nell’Italia delle mille crisi aziendali se ne sta per aprire una nel cuore del potere. I lavoratori a rischio sono 350, tutti dipendenti della Milano 90, l’azienda dell’immobiliarista Sergio Scarpellini. Dentro i suoi palazzi al centro di Roma i deputati lavorano, fanno riunioni, mangiano e bevono. L’affitto (salato) lo paga la Camera. Chi ha letto “La Casta” di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo conosce bene il personaggio. Scarpellini ha trovato in Montecitorio la gallina dalle uova d’oro mettendo a disposizione i suoi palazzi in zone strategiche della città e fornendo tutti i servizi possibili: pulizia, consegna della posta, manutenzione, sorveglianza, segreteria.
Un affare d’oro che i Radicali hanno documentato in un dossier che il patron di Milano 90 contesta dalla prima all’ultima riga. A conti fatti i 587 milioni di euro (dal 1997 al 2010) usciti dalle casse dello Stato per entrare in quelle dell’azienda immobiliare sarebbero molti meno: «A questa cifra dovete togliere l’Iva e tutte le spese che sosteniamo. Perché in quei palazzi ogni mobile, ogni computer, ogni lampadina la forniamo noi. Per non parlare dei servizi» spiega Scarpellini.
Ma oggi sui numeri incombe la cronaca. Incalzati dall’opinione pubblica, la scorsa estate i deputati hanno deciso di dare una sforbiciata (ma senza esagerare) ai costi degli immobili. E così la Camera il 31 dicembre lascerà Palazzo Marini 1 (12.000 metri quadri su piazza San Silvestro) e chiuderà la mensa di Palazzo San Macuto. Dove i deputati non mangiano quasi mai, visto che qui si sfamano soprattutto dipendenti e collaboratori. E non è finita: il Consiglio di Stato ha deciso di sbaraccare dalla sede distaccata di via delle Vergini con tre anni di anticipo. Dopo questi tre schiaffi Sergio Scarpellini ha annunciato i 350 licenziamenti. Due dipendenti su tre andranno a casa.
Le lettere non sono ancora partite ma l’intenzione è manifesta. «Tra servizio mensa e affitto di Palazzo Marini – spiega l’immobiliarista – avremo un mancato introito di oltre 11 milioni di euro. Sarò costretto a ristrutturare l’azienda e mandare a casa i miei ragazzi (li chiama sempre così ndr). Per risparmiare una manciata di milioni i politici manderanno sul lastrico centinaia di famiglie». In realtà Scarpellini avrebbe comunque dovuto licenziare, anche se solo qualche decina di dipendenti: l’organico della Milano 90 è sproporzionato rispetto alle esigenze. Uno squilibrio che spiega con l’alto tasso di assenteismo: il 40%.
Gli uomini e le donne che rischiano il posto guadagnano 1000-1200 euro mensili. I commessi di Camera e Senato, per svolgere compiti molto simili guadagnano circa 4 volte di più. Nel frattempo gli onorevoli lanciano una crociata per salvare i posti di lavoro? Si arrovellano per trovare un compromesso? Neanche per sogno. Come ha scritto Marco Sarti su Linkiesta, i parlamentari si infuriano, già, ma solo perché dovranno fare gli scatoloni e traslocare in un altro ufficio, che oltretutto dovranno condividere con un altro collega. Il palazzo affianco (Marini 2), sempre della Milano 90, potrebbe infatti ospitare i politici (sono 180) che verranno sfrattati a fine anno. Anche se l’azienda esclude questa possibilità: «Abbiamo regole di sicurezza ferree. Non possiamo stipare più persone di quelle previste dai piani di evacuazione».
Ma una dipendente di Scarpellini, che preferisce mantenere l’anonimato, la pensa diversamente: «A Palazzo Marini 2 ci sono molte stanze vuote. I parlamentari potrebbero spostarsi senza problemi. E con loro, anche qualcuno di noi». L’idea è semplice: qualche dipendente potrebbe salvarsi il posto di lavoro semplicemente spostandosi di pochi metri. Il numero dei parlamentari è rimasto identico, e i commessi di Marini 2 potrebbero non bastare. La stessa lavoratrice spiega che «dopo i 350 licenziamenti, rimarrebbero 200 lavoratori. Non basteranno per far funzionare gli altri palazzi, è matematicamente impossibile». Tra i dipendenti, qualcuno pensa che quello del loro presidente sia un gioco al rialzo. L’obiettivo: far cambiare idea alla Camera dei deputati.
La battaglia infatti non è finita. Si stanno muovendo i sindacati, che hanno incontrato più volte i tre questori della Camera. Ma a questo punto sembra più una guerra di nervi: da Montecitorio fanno sapere che la decisione di lasciar decadere i due contratti è irremovibile. La palla passa a Scarpellini. Che gioca tutte le sue carte. Con un occhio preoccupato al comune di Roma, alla Regione e al Tar del Lazio. Gli altri clienti autorevoli. Seguiranno la strada imboccata dall’emiciclo? Nel frattempo, i deputati sfrattati dal proprio ufficio possono sempre consolarsi con le prelibatezze del ristorante della Camera. Quello è di proprietà dello Stato e non corre alcun rischio. Tanto da potersi permettere prezzi stracciati. Pubblichiamo il menu di due settimane fa.