L’Associazione Management Club e Federmanager Academy sta curando un ciclo di seminari con la finalità di comprendere questa progressiva débacle non solo economica ma anche culturale del Belpaese. “Quale sarà il futuro dell’Italia nel XXI secolo?” è il tema di fondo che ha ispirato il progetto che intende sollecitare studiosi e manager a formulare risposte adeguate e soprattutto credibili, dopo tante sterili diagnosi.
Sfidare la crisi che sta probabilmente attraversando il suo momento più drammaticonon è affare semplice, lo dimostrano i contrasti sollevati da una manovra finanziaria varata con difficoltà e caratterizzata da aspri contrasti. Gran parte degli esperti, cifre alla mano, sono già a giurare che non basterà, intanto i mercati continuano a fluttuare, ostentando molta diffidenza sulle reali possibilità di ripresa del nostro sistema Paese. E’ una diffidenza che costa non solo in termini di spread. La fuga degli investitori internazionali, anche dei più solidi, getta infatti una luce sinistra sul nostro debito pubblico.
Pochi giorni fa l’iniziativa è approdata a Milano. Ne è scaturito un vivace seminario che ha visto a confronto il politologo Marc Lazar, l’economista Tito Boeri e i vertici di Federmanager. “No future per l’economia italiana?” la domanda ha catalizzato la riflessione, aperta dal presidente di Federmanager, Giorgio Ambrogioni. «Il tempo dell’autoreferenzialità è finito. Il manager c’è e vuole farsi sentire di più, se non inneschiamo un processo di cambiamento dell’elite politica le problematiche che affliggono il sistema economico del nostro Paese sono destinate ad acuirsi». Secondo Tito Boeri «il vero problema, da cui deriva tutto è legato alla credibilità che l’Italia sembra aver smarrito. Il problema è strutturale, occorrono politiche concrete di riduzione della spesa e di rilancio dello sviluppo».
Dello stesso parere Marc Lazar, che ha ricordato come la crisi dei debiti sovrani, è il cancro che affligge tutti i paesi europei: «il banco di prova è la credibilità, su questo non farei troppe distinzioni, il vecchio Continente dovrà reagire con nuove politiche di coesione e di rilancio».
Per Ambrogioni che vive in diretta le difficoltà in cui versano molti dirigenti «bisogna ricordarsi del problema della dimensione delle imprese italiane, troppo piccole e poco dotate di manager».
Fortunatamente non sono piovute solo critiche. Dal seminario sono arrivate anche interessanti proposte. Quella di Boeri si può definire “pluridirezionale”: «Per uscire dall’empasse bisogna puntare su cose fattibili, possibilmente a costo zero. Per agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, per esempio, perché non provare a incentivare contratti che diano garanzie, puntare sulla partecipazione delle donne, lavorando anche sul fronte delle liberalizzazioni iniziate da Bersani eternamente incompiute. Facilitare l’accesso al credito, anche per le PMI, delegificare (cioè diminuire la complessità delle leggi) e diminuire il numero di parlamentari (che detengono due record poco edificanti: sono i più pagati del mondo occidentale e quelli col più basso grado di istruzione) e infine cambiare la composizione della spesa pubblica sono tutti interventi urgenti e sicuramente alla portata dell’esecutivo» (vedi grafico a torta NDR). Per Marc Lazar la prospettiva, di certo stimolante, nasconde però qualche incognita: «è vero che si parla di riforme a costo zero ma in realtà esiste un costo politico e sociale da considerare. Per altro occorre un ingrediente che scarseggia: il coraggio.
Chi è capace di prendere l’iniziativa? Formare una nuova classe dirigente, creare nuove scuole di governanti, diventa in una fase di certo drammatica per la storia europea, diventa di cruciale importanza». L’incontro di Milano ha aperto il sipario su altri due appuntamenti: “Sono legittime le elite politiche, pubbliche ed economiche per guidare l’Italia?”; “L’Italia sarà una provincia-museo nell’Europa e nel mondo globalizzato di domani?”.A conclusione del ciclo un evento riassumerà i risultati complessivi del percorso-studio.