L’Eta depone le armi (e forse è la volta buona)

L’Eta depone le armi (e forse è la volta buona)

Dopo 43 anni e 829 morti, il gruppo terroristico basco Eta comunica la fine definitiva della violenza e depone le armi. A quasi mezzo secolo dal lontano 7 giungo del 1968 in cui venne assassinata una guardia civile, prima vittima del sanguinario desiderio d’indipendenza per mano della banda terroristica, alle sette di sera del 20 ottobre del 2011 per la Spagna arriva la fine dell’epoca della paura. Siamo a soli due giorni dalla Conferenza organizzata dall’ala politica allontanatasi dal gruppo nella città di San Sebastian, da cui usciva un documento firmato da sei personalità internazionali tra cui il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, due ex primi ministri irlandese e norvegese, l’ex ministro degli Interni francese, il capo di gabinetto di Tony Blair, in cui si chiedeva come condizione imprescindibile per l’apertura di un discusso dialogo tra le istituzioni e il gruppo terroristico, la dichiarazione dell’abbandono della violenza da parte di Eta.

Pochi minuti dopo dalla diffusione del comunicato del 20 ottobre, il presidente del governo socialista dimissionario, José Luis Rodriguez Zapatero dal palazzo della presidenza, visibilmente commosso poteva commentare «l’evento storico» come nessun presidente spagnolo aveva mai avuto l’opportunità di fare. Mentre la patata bollente delle conseguenze del nuovo“corso legale” accettato dal gruppo terrorista con questo comunicato toccherà al prossimo governo, a quello ormai malvisto che conclude dimettendosi il suo corso spetta l’annuncio storico e a Zapatero il ruolo che rimarrà nella memoria collettiva: quello di poter essere il rappresentante della Spagna che ha messo fine all’ultimo terrorismo che restava nel cuore d’Europa.

Ma Zapatero, salvatosi almeno nella memoria dei posteri con questo calcio d’angolo, non se ne prende tutto il merito, e in un breve intervento dal palazzo presidenziale della Moncloa, dà merito della fine di Eta allo sforzo di tutti i governi democratici, alle Forze dell’ordine, alla collaborazione internazionale, specialmente a quella francese, all’unità tra i partiti politici e alla società spagnola, ricordando non ultimo le 829 vittime di Eta negli ultimi 43 anni. E aggiunge: «Da oggi in poi avremo una democrazia senza terrore, ma non senza memoria». Nessuna spugna, insomma, come chiede l’associazione delle vittime del terrorismo, al contrario, ancora una volta, come dal 2006 in poi, il governo Zapatero fino all’ultimo respiro non fa nessuna concessione al gruppo terroristico.

Ma questo non è solo il miglior momento della storia spagnola degli ultimi 40 anni, né del governo Zapatero da due anni a questa parte. La dichiarazione dell’Eta di mettere da parte definitivamente la violenza come strategia integrante della lotta per l’indipendenza rappresenta in qualche modo anche la vittoria del candidato socialista alle elezioni del prossimo 20 novembre, Alfredo Perez Rubalcaba, che in qualità di ex ministro dell’Interno del governo uscente ha gestito l’ultima fase del cammino verso la fine del terrorismo, lo stesso che non molti mesi fa dopo la cattura di membri dell’Eta installatisi in Francia con un arsenale capace di fare esplodere mezza città dichiarò: «Abbiamo modo di pensare che la fine di Eta si avvicina». Forte della riuscita dell’ultima parte della strategia del governo Zapatero per la cessazione della violenza, Rubalcaba non si è risparmiato un richiamo alla capacità che dovrà avere il governo che verrà dopo il 20 novembre, a cui «spetterà la soluzione per i reclusi e i clandestini» del gruppo terroristico, 559 solo nelle carceri spagnole, appellandosi per questo «all’unità dei partiti democratici».

Neanche il capo dell’opposizione Mariano Rajoy, candidato dei popolari alla successione di Zapatero ha potuto evitare un bilancio positivo per la politica nel suo commento al comunicato rilasciato dai terroristi, mettendo da parte così le critiche mosse in questi anni dall’ala radicale del suo partito che ha tacciato, anche con manifestazioni di piazza il governo Zapatero di accondiscendenza alla banda se non addirittura di incapacità nella gestione della problema. Mettendo da parte la fortunata coincidenza temporale dell’annuncio a solo un mese dalle elezioni politiche, oggi la Spagna può annunciare la fine di più di 40 anni di terrore, e vede finalmente realizzati e ricompensati gli sforzi di una strategia a lunga scadenza che in non pochi momenti storici, come durante l’attentato dell’aeroporto di Barajas del 2006 è stata sul punto di vacillare.

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Ma anche nel giorno epocale della fine del terrore, i dubbi restano molti, quasi scritti nero su bianco nel comunicato diffuso da Eta, marcato nel video della lettura del testo da parte degli incappucciati e nell’edizione dei giornali Gara e Berria. La banda depone le armi, senza condizioni, l’unica cosa che chiede è che «un dialogo diretto» con il governo per risolvere le «conseguenze del conflitto». Insomma, Eta pensa ai suoi in carcere, a quelli che vivono in clandestinità, perché se la fine della violenza già non era più solo una speranza nell’aria in Spagna, soprattutto negli ultimi giorni, una cosa era chiara a tutti gli spagnoli: Eta aveva più affiliati dentro le prigioni spagnole che fuori.

Ma anche se l’Eta nel comunicato ci tiene a sottolineare che è stata la Conferenza Internazionale celebrata a San Sabastian in quanto «iniziativa di grande importanza politica» a dare la spinta alla decisione di abbandonare le armi con una «risoluzione che unisce tutti gli ingredienti per la soluzione del conflitto anche per contare con l’appoggio di vasti settori della società basca e della comunità internazionale». La fine dell’Eta è stato un lungo cammino, e una vittoria propiziata anche dal vecchio braccio politico della banda, la sinistra aberztale, che spalle al muro dalla pressione democratica, sociale, politica e giuridica si è rivoltata contro il suo stesso braccio armato.

Oggi quello che Eta chiede è che «un nuovo tempo politico», avendo di fronte «una nuova opportunità storica per dare una soluzione giusta e democratica al secolare conflitto politico» e rivendica che «di fronte alla violenza e alla repressione, il dialogo e l’accordo devono caratterizzare il nuovo ciclo», che in parole povere significa: «Il riconoscimento dell’indipendenza dei Paesi Baschi e il rispetto della volontà popolare che devono prevalere sull’imposizione. Questo il desiderio della maggioranza della cittadinanza basca», scrive arresa la banda.

Nessuna marcia indietro rispetto all’indipendenza dalla Spagna, né un segno di cedimento nelle intenzioni della banda, se non ovviamente dal punto di vista della violenza. Ma ha ancora senso per il gruppo terroristico parlare di politica, di cittadinanza a cinque anni di distanza dall’attentato del T4 di Barajas che significò la ripresa della violenza dopo la tregua e l’inizio del distanziamento delle sinistra abertzale con Eta? Ed è proprio qui, nell’inizio del piano B del governo Zapatero che prevedeva nell’eventuale fallimento del piano A, quello cioè della tregua e del dialogo, che arrivò a Barajas il 30 dicembre del 2006, l’inizio del progressivo isolamento della banda terroristica sia dal braccio politico che da nazionalisti e non dei Paesi Baschi.

Da qui al riconoscimento di Arnaldo Otegi, ex portavoce di Batasuna, (una delle formazioni politiche della sinistra arbertzale, resa illegale perché considerata braccio politico dell’Eta) condannato a 10 anni davanti al Tribunale Nazionale, del rifiuto del terrorismo da parte della sinistra abertzale «perché la società basca ormai non lo tollera», il passo è stato breve e la strada tutta in discesa rispetto al lento ritmo della lotta e del ripiegamento di Eta degli ultimi decenni. La delegittimazione sociale della banda è stata la chiave della strategia contro Eta e ad oggi sembra aver funzionato.

Intanto alle elezioni nazionali del 20 novembre prenderà parte anche Bildu, il nuovo partito basco di discendenza dello stesso Otegi, il partito che alle amministrative di maggio ha già ottenuto il miglior risultato della sinistra alberztale con il 25% dei voti, cosa che sembra segnare definitivamente la supremazia del braccio politico su quello armato. Ad accelerare i tempi, la scenografia montata dalla sinistra basca con la Conferenza Internazionale di San Sabastian alla quale il governo Zapatero, però, convinto della sua linea, non ha partecipato.

È davvero la fine dell’Eta? Secondo la Francia, parte in causa nella questione, il comunicato del 20 ottobre non segna la fine di tutta l’organizzazione, ma solo la nascita di due diverse correnti, quella che si arrende e quella che riprenderà le armi. Mentre il principale quotidiano spagnolo, “El Pais” propone un sondaggio a caldo ai suoi lettori: “Pensa che questo comunicato significhi realmente la fine dell’Eta?” E più del 55% dei votanti risponde ha risposto di sì.
 

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