Per evitare fraintendimenti, meglio dirlo subito: Marco Pannella ha raggiunto il suo obiettivo. Farsi martire tra i martiri e da loro essere lapidato, sintesi sublime di tutta una vita «da un’altra parte». Ancora una volta, come altre mille volte, il leader radicale ha fatto strame di sé, perfida autoflagellazione sulla pubblica piazza, per disvelare l’altrui indecenza. Che si è mostrata in tutta la sua infinita capacità, spericolato viaggio nelle viscere inquiete di un Paese malato, avvitamento senza speranza delle peggiori intenzioni.
Ma ancor prima di ragionare su ciò che di squisitamente politico è accaduto in quella piazza con Pannella, dovrebbero sbalordire le umanità. Dovremmo davvero sussultare per qualcosa che ha molto a che fare con l’indignazione, e che anche la più aspra delle contrapposizioni politiche non può spiegare, né giustificare. Indignazione che non ha (apparente) attinenza con le economie slabbrate del mondo, ma che si riconduce direttamente alla nostra idea di vecchiaia. Cos’è per noi un vecchio di ottant’anni, quali relazioni pensiamo di intrattenere con lui, quali modi, quale galateo, quale capacità di critica siamo in grado di muovergli? E se questo vecchio si chiama Marco Panella, cambia forse qualcosa?
Nell’affrontare Pannella, a rendersi sin troppo riconoscibile è stata la classe media e di mezza età, acculturata e dunque – per definizione – più incline al ragionamento e meno agli atteggiamenti violenti. Ma è anche la classe che ha vissuto pienamente questi ultimi vent’anni di contrapposizione politica. I vecchi come Pannella, ma anche i giovani che lo affrontavano per strada, pur senza negare l’asprezza del confronto, partivano da qualcosa che ci piace ancora chiamare «rispetto». Quando si è fatto avanti un uomo fatto e finito, nel pieno delle sue forze fisiche e intellettuali, un classico cinquantenne, e gli ha sputato addosso urlandogli un qualcosa, in quel momento è morta ogni idea di confronto civile. In quel momento, cade a terra la mela marcia di molti lustri passati nell’identificazione di un nemico.
Per capire la nostra sostanza politica, la venuta in piazza di Marco Pannella è stata un’autentica benedizione dal cielo. Ci ha raccontato nella maniera più piena e luminosa quali rovine ci lascia il nostro secondo tentativo di fare repubblica, a quale squallida semplificazione ci ha abituato, di quali risorse umane e politiche ci siamo impoveriti. Ci rivela, perfidamente, la nostra natura – oggi che siamo devastati dal ventennio berlusconiano, a cui davvero – ahinoi – pochi hanno saputo resistere, anche e soprattutto sotto il profilo delle ambizioni e dei comportamenti personali. Sabato in piazza è venuto Pannella, ma per quella piazza era BERLUSCONI. Un trasferimento di sentimenti, a quanto pare pienamente riuscito.
C’è da chiedersi se molto di quel rancore è di una certa sinistra, quella sinistra che ambirebbe a votare Partito Democratico. Le prime parole di Rosy Bindi, rabbbiose, contro i radicali che secondo lei tradivano un’alleanza, direbbero di sì: «Quando gli stronzi sono stronzi galleggiano senz’acqua». Ma al di là della contrapposizione politica, e più strettamente parlamentare, si avverte da tempo un’urgenza disordinata, anche nelle classi dirigenti, che tenderebbe a rimuovere l’ostacolo Berlusconi come fosse semplicemente una macchina in sosta vietata. E’ la sindrome del «tutti insieme contro…», che magari può produrre un risultato sul breve, ma destinata malinconicamente a fallire su tempi medio-lunghi.