Tremonti non risarcisce le vittime dei crac immobiliari

Tremonti non risarcisce le vittime dei crac immobiliari

C’è stata un’epoca in cui gli anticipi versati da un acquirente al costruttore prima del rogito, venivano irrimediabilmente persi in caso di crac dell’impresa. Un incubo per le famiglie colpite. I risparmi di una vita bruciati. Su quel poco che avanzava dal fallimento, la precedenza andava ai creditori bancari, protetti da ipoteca sugli immobili in costruzione. Poi, nel 2005, è arrivata una legge, il Decreto legislativo 122. Obbliga i costruttori a rilasciare una fideiussione, bancaria, assicurativa o di altro intermediario, di importo pari agli acconti ricevuti. Se l’impresa fallisce, la fideiussione garantisce i versamenti effettuati.

La stessa provvedimento ha istituito un fondo di solidarietà per risarcire le vittime dei crac immobiliari avvenuti prima della sua entrata in vigore. È un fondo gestito da una società pubblica, la Consap, presieduta dall’ex Ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, sottoposta al controllo del ministero dell’Economia. Le risorse del fondo, però, arrivano però dagli stessi costruttori tramite un contributo del 5 per mille sugli importi delle fideiussioni rilasciate. Le banche o compagnie assicurative che rilasciano la garanzia a fondo, calcolano il contributo, lo versano al fondo e poi lo addebitano poi all’impresa cliente. Un meccanismo perfetto, se solo funzionasse. E funzionerebbe, se la legge venisse applicata.

Quell’epoca, dunque, non è finita. Perché la legge si può anche fare, ma poi bisognerebbe farla rispettare. E se i primi a non rispettarla, ad accumulare ritardi, a prendere tempo, sono gli stessi deputati ad applicarla, non se ne esce. Secondo una stima effettuata da Scenari Immobiliari per Filca Cooperative, in cinque anni (2006-2010), il livello medio di applicazione è stato di poco superiore a un quarto. L’istituto di ricerca ha calcolato che nel quinquennio in esame gli anticipi versati prima del rogito siano grosso modo 33 miliardi. Se per tutti questi anticipi versati prima del rogito fosse stata rilasciata la fideiussione di pari importo, il contributo del cinque per mille avrebbe portato nelle casse del fondo circa 165 milioni. E invece, a fine 2010, il «Fondo di solidarietà per gli acquirenti dei beni immobili da costruire» aveva registrato introiti per appena 44,38 milioni a fronte di fideiussioni effettivamente rilasciate per 8,8 miliardi di euro. Conclusione: la garanzia è stata rilasciata solo per il 26,8% dei casi in cui sarebbe stata dovuta.

La legge non prevede sanzioni efficaci, e una proposta di modifica del D.lgs. 122/2005 è stata stata presentata alla Camera dei deputati lo scorso 14 dicembre. Da allora è ferma. Nello stesso tempo, molti italiani non sono a conoscenza delle tutele previste dalla legge, e i costruttori più piccoli o meno seri spesso tacciono: le fideiussioni costano. Non solo. Pur di risparmiare, molte famiglie scelgono «operatori che eludono la normativa», nota Francesca Petrucci, ricercatrice di Scenari Immobiliari. Al contrario, gli operatori più solidi sono riusciti a  trasformare gli obblighi di legge in un elemento della propria strategia competitiva, riversando il maggior costo sul cliente, che però lo accetta come contropartita di maggiore sicurezza.

La regione più virtuosa dal punto di vista dell’applicazione è della legge, è il Trentino-Alto Adige. Si stima che nelle province di Trento e di Bolzano la fideiussione sia stata rilasciata per il 90% del valore teoricamente soggetto a garanzia. Il distacco con la seconda regione più diligente è notevole: nelle Marche la percentuale scende al 43,5%, in Emilia Romagna al 43 per cento. E via via sempre meno (la media nazionale è, come detto, del 26,8%) fino al misero 2,3% della Campania, dove secondo lo studio Scenari Immobiliari-Filca, su 1.550 milioni di acconti versati alle imprese per immobili in costruzione, sono state rilasciate garanzie solo per 36 milioni. «Ci sono delle evidenti disparità nell’applicazione della legge», rileva Franco Casarano, presidente della Assocond-Conafi, l’associazione dei condomini, che ha anche istituito un coordinamento nazionale delle famiglie vittime dei fallimenti immobiliari. «Ma c’è anche molta ignoranza, molti italiani non sanno nemmeno dell’esistenza di queste tutele perché non è stata fatta un’adeguata campagna informativa».

Se i soldi sono pochi, i risarcimenti sono a zero. Dalla fine del 2010 le consistenze del fondo sono lievemente aumentate: ora ammontano a 52 milioni di euro. Ma si tratta ancora di spiccioli rispetto al valore reclamato dalle 12.077 richieste di indennizzo presentate: oltre 777 milioni di euro. Quel che è peggio è che l’istruttoria sulle pratiche di risarcimento è in forte ritardo. «Dopo tre anni che si sono chiusi i termini di presentazione delle domande (il 30 giugno 2008, ndr) non abbiamo nessuna idea di quando concluse le istruttorie», rileva Casarano. Inoltre, mancano alcuni decreti attuatiti che impediscono di avviare i rimborsi. «Questo è inaccettabile – continua il presidente di Assocond-Conafi –  Anche se sono ancora pochi, quei soldi spettano alla gente non devono rimanere fermi nel fondo». Una prima lettura di tutte le pratiche, hanno riferito alcuni funzionari del fondo, dovrebbe essere completata entro la prossima primavera. Ma poi bisognerà procedere a una seconda lettura, tenuto conto dei chiarimenti forniti dai richiedenti, e infine deliberare. Tempi biblici, insomma, nella migliore tradizioni amministrativa italica.

Il solito groviglio kafkiano. Anche se pochi, i soldi non possono essere distribuiti perché manca il solito decreto attuativo. I ministeri dell’Economia e della Giustizia dovrebbe definire delle «sezioni autonome corrispondenti ad aree territoriali interregionali individuate sulla base della quantità e della provenienza territoriale delle richieste di indennizzo… in modo da assicurare una gestione equilibrata delle sezioni». Inizialmente, si era pensato a tre grandi sezioni (nord, centro, sud), poi si è anche ragionato su  macroregioni geografiche, si sono persino ipotizzati mprobabili raggruppamenti che mettevano assieme Lombardia e Lazio. Al dunque, però, nulla. Il decreto non c’è ancora. «È una triste realtà e una nota dolente – ammette poeticamente l’avvocato Renzo Baffi, funzionario della Consap – Il ministero (dell’Economia, ndr), che abbiamo sollecitato più volte, non ha determinato le macroaree per effettuare le partizioni dei flussi». Il ministero di Giulio Tremonti, secondo quanto Linkiesta ha potuto ricostruire, rinvia il provvedimento ufficiosamente perché chiede che la Consap completi prima tutte le istruttorie, in realtà perché vuole evitare una nuova grana politica.  

Il “sezionamento” del fondo, infatti, non è una banale questione organizzativa. La legge prevede che i contributi al fondo che arrivano dall’area di competenza di ciascuna sezione «sono destinate alla soddisfazione delle richieste di indennizzo… in relazione agli immobili ubicati nel territorio di competenza della sezione medesima». In prima battuta, ogni sezione risarcisce i “suoi” e poi, quando ha esaurito il suo compito, riversa i contributi sulle altre. Perciò, se in una certa area la legge è poco rispettata, e di conseguenza affluiscono pochi flussi, i risarcimenti saranno più bassi o quanto meno più dilazionati nel tempo. Non bisogna essere leghisti di Pontida per rendersi conto che, se si opta per la più semplice delle partizioni interregionali (nord, centro e sud), il grosso delle risorse andrà tutto alle regioni del Nord, le stesse peraltro arrivano anche i contributi. Al Sud le vittime dei fallimenti del passato avrebbero poco da dividersi. Metterlo nero su bianco crea non pochi imbarazzi al ministro Tremonti. E d’altra parte, quando è stata fatta la legge, non era così difficile prevedere un simile esito. «Per certi versi è come il federalismo – annota un osservatore – stabilito il principio generale, non si sa come applicarlo o non si ha la forza di farlo». Alla Consap fanno notare che finché non vengono create le sezioni «è inutile accelerare sulle istruttorie, perché tanto non potrebbe essere fatta la liquidazione».

Un ragionamento, che secondo l’Assocond-Conafi, «è la classica foglia di fico»: si tratta di un rimpallo di responsabilità fra enti dello Stato, il cui unico risultato è uno stallo. Dal quale, secondo Casarano, si può uscire in un solo modo: spingendo per una maggiore e più diffusa applicazione della legge. «L’unico dato incontrovertibile è che le attuali risorse del fondo sono troppo basse, perciò bisogna spingere per una maggiore applicazione della legge, attraverso una adeguata campagna informativa, che finora è mancata». L’anno scorso a Natale, per la verità, ne è stata fatta una sulla Rai tramite i fondi di Palazzo Chigi per la Pubblicità Progresso. Ma è andata in onda per pochissimo tempo. Quest’anno sembra che la Consap ritenterà la stessa strada. «Sono in corso trattattive con la Rai per ripetere gli spot», rivela Banfi. Le associazioni delle vittime dei fallimenti immobiliari avevano addirittura chiestoche si ricorresse anche alla pubblicità commerciale, reti private incluse, addebitando i costi al fondo. La convinzione è che si tratterebbe di soldi ben spesi, perché un aumento della consapevolezza dei rischi che si corrono porterebbe gli acquirenti a prentendere più puntualmente la fideiussione. E quindi a generare flussi per il fondo di solidarietà. «Ci sono forti vincoli su questo», ribattono in Consap. In realtà, anche televisioni e radio private mettono a disposizione spazi pubblicitari gratuiti per le onlus o per le campagne informative di interesse sociale.

Una vittima di un fallimento immobiliare che dieci anni fa ha perso 180 milioni di lire scuote la testa: «Non hanno nessuna fretta, nessuna sollecitazione, la sensazione è che l’unico vero interesse di Consap sia prolungare nel tempo l’esistenza del fondo e quindi della stessa Consap». Se si va avanti così, è probabile che prima o poi qualcuno chieda di riaprire i termini per la presentazione delle domande al fondo. Nel tempo sta infatti crescendo una zona grigia in cui finiscono tutte le vittime dei crac immobiliari scoppiati dopo l’entrata in vigore della legge. Secondo i dati dell’Osservatorio trimestrale sulla crisi d’impresa del Cerved, fra il 2009 e il 2010 ci sono stati circa 4mila fallimenti di imprese nel settore delle costruzioni. Non si sa quante siano le famiglie coinvolte e quanti siano gli anticipi versati prima del rogito e inghiottiti nelle lunghe procedure falimentari. Una cosa, però, si sa. Il fondo di solidarietà copre solo le vittime di crac accaduti dall’inizio del 1994 a metà 2005. Dopo questa data, chi, per ignoranza o per azzardo, non ha chiesto le garanzie previste dalle legge, è privo di qualsiasi tutela. 

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